La città di San Giovanni in Fiore si prepara ad un’altra triste giornata. Oggi alle 15 nell’Abbazia florense sarà celebrato il funerale di Serafino Congi, il 48enne tragicamente morto dentro un’ambulanza che dopo tre interminabili ore di attesa lo stava trasportando dalla Sila a Cosenza in un sabato di “festa” per cinque (!) dei sei medici in servizio al Pronto Soccorso della città silana.
La salma di Serafino è stata restituita alla famiglia dopo l’esecuzione dell’autopsia, sui risultati della quale – conoscendo la corruzione che dilaga tra i magistrati e i “periti” del porto delle nebbie di Cosenza – nessuno, ma veramente nessuno nutre un minimo di fiducia.
L’esame autoptico sarebbe fondamentale per chiarire se Serafino, deceduto – lo ribadiamo – per arresto cardiaco lo scorso sabato 4 gennaio dopo oltre tre ore di attesa, poteva essere salvato o se il tragico epilogo era inevitabile.
Per riepilogare meglio i fatti, riportiamo ancora una volta quanto ha detto la moglie Caterina per ricordare la sua odissea alla Rai calabrese: “Tutto è cominciato dopo pranzo. Serafino si è sentito male, diceva di sentirsi soffocare e insisteva per andare al pronto soccorso di San Giovanni in Fiore. Andiamo e nonostante i sintomi e la forte agitazione gli danno un codice giallo. Due ore dopo ci dicono che ha un infarto in corso ma l’ambulanza per trasportarlo in ospedale non può partire perché non c’è neanche un medico. Quando arriva quella da Cosenza è ormai buio, sono le 18.15, sono passate tre ore dal nostro arrivo al pronto soccorso. Serafino muore in ambulanza alle 18.50. Adesso chiedo solo che si faccia sulla luce su questa morte assurda, sul perché un comune montano difficilmente raggiungibile possa essere lasciato senza medici”.
Il primo punto da chiarire sarebbe proprio perché l’uomo sia stato trattato in pronto soccorso a San Giovanni in Fiore come un codice giallo e non rosso, nonostante il malore accusato e i sintomi riconducibili a un infarto. E poi l’attesa, estenuante, di un’ambulanza. Un mezzo arrivato dopo 3 ore dall’ingresso in ospedale. C’è tutta una comunità, quella di San Giovanni in Fiore, che si è stretta attorno alla famiglia dicendo basta alle illusioni e alle bugie. Martedì sera più di 5 mila persone (ma c’è chi dice che erano più di 8 mila) hanno protestato vivacemente contro la malasanità e la malapolitica ma ovviamente al sistema di potere che ammorba la Calabria da decenni anche le proteste di popolo scivolano addosso. E non solo, purtroppo. Il professore Salvatore Belcastro, chirurgo di grande spessore di San Giovanni in Fiore, con alle spalle una lunga ed onorata carriera in Italia e all’estero, ha già reso noto che gli “amici degli amici” stanno facendo di tutto per “taroccare” l’autopsia di Serafino, come da scontatissimo copione.
“Qualcuno – ha rivelato il professore Belcastro – sta tentando di dire, ricorrendo a rumors che vengono dalla camera autoptica che le condizioni di Serafino erano severe. Non è questo il problema. La gente è sufficientemente intelligente da capire che una cardiopatia grave comporta alti rischi, altrimenti Serafino non avrebbe accusato il malore fatale. Il problema è la garanzia della sicurezza dell’assistenza primaria a San Giovanni in Fiore. La manifestazione di martedì dice che non c’è”. Checché ne dicano gli “amici degli amici” del porto delle nebbie, manculicani e arrassusia. Ma qui la “giustizia” non esiste, esistono solo le pratiche che portano agli insabbiamenti. E ci sono decine e decine di casi come quello di Serafino che gridano ancora vendetta e sono stati insabbiati.