Manna, Porcaro e quella “fortuna” piena di mazzette

Dal contenuto dei primi verbali depositati dalla Dda di Catanzaro all’udienza preliminare in corso nell’aula bunker di Lamezia Terme a carico di 250 indagati nell’inchiesta “Reset”, rilasciati dal super pentito Roberto Porcaro, un dato emerge chiaro: la necessità da parte degli investigatori di “puntellare” l’impianto accusatorio dell’inchiesta sulle cosche confederate cosentine, specie nelle parti che non hanno retto “all’urto” del Tribunale della Libertà e della Cassazione.

Porcaro, con le sue “prime” dichiarazioni, conferma quanto sostenuto dai pm antimafia sul ruolo e sulle attività illecite svolte dagli indagati, soffermandosi prima sull’aspetto associativo del clan, e poi sulla caratura criminale di quelli che gli investigatori ritengono essere ai vertici del sodalizio mafioso: Patitucci, Di Puppo, Piromallo, Illuminato, Luigi e Marco Abbruzzese, D’Ambrosio, ed altri. Robertino conferma in toto tutto quello che Patitucci racconta in chiaro nel salotto di casa sua, così come risulta dalle intercettazioni effettuate dalla microspia inserita nel decoder del televisore dalla Dda, ai tanti sodali che andavano e venivano giornalmente dal suo appartamento: pizzo, strozzo e pezzata, su tutto.

Non solo malandrini nei racconti di Porcaro ma anche corrotti e colletti bianchi. A cominciare dagli avvocati Manna e Gullo, passando per il consulente finanziario Andrea Mazzei, fino ad arrivare all’assessore De Cicco. Tutti personaggi coinvolti nell’inchiesta “Reset” che ora dovranno nuovamente attrezzarsi per confutare le dichiarazioni di Porcaro in merito a diversi intrallazzi criminali organizzati e posti in essere con gli stessi in prima persona. Porcaro parla di incontri faccia a faccia con gli avvocati Gullo e Manna, dice di aver consegnato al primo la somma di 30 mila euro, e di aver incontrato il secondo nel suo studio per meglio definire il piano di corruzione del giudice Petrini titolare, all’epoca, del procedimento penale a carico suo e di Patitucci, accusati di essere tra i mandanti dell’omicidio di Luca Bruni. Ed è proprio in questa occasione che Manna dice a Roberto Porcaro una frase che la dice lunga sul sistema di corruzione messo in piedi dall’avvocato: “… che con il dottore Petrini ci abbiamo fatto una fortuna”. Che cosa vuol dire quel “ci abbiamo fatto una fortuna?”. Perché usa il plurale? E soprattutto chi sono quelli che hanno fatto fortuna con lui?

Una prima considerazione viene spontanea: le dichiarazioni di Porcaro sulla corruzione del giudice Petrini, corrispondono per filo e per segno alle dichiarazioni rese dallo stesso subito dopo il suo arresto. Accuse che il giudice Petrini, dopo aver subito pressioni dai fratelli massoni attraverso la sua famiglia, aveva ritrattato, salvo poi confermarle nell’incidente probatorio finito nel processo che si è concluso, in primo grado, con la condanna di Manna e Petrini  a 2 anni e 8 mesi per corruzione in atti giudiziari.

Petrini, nelle sue dichiarazioni, racconta di aver ricevuto dall’avvocato Gullo e dall’avvocato Manna due “bustarelle”, una con 2500 euro e l’altra con 5000 euro, dopo aver concordato con l’avvocato Manna di taroccare la sentenza di appello per i due boss. Fu Manna, dice Petrini, a proporgli “l’affare”, che lui non esitò ad accettare. Le stesse parole pronunciate da Porcaro. C’è una sola discrepanza nel racconto del pentito, lui parla di 30 mila euro, ma Petrini ne riceve solo 7500 euro. Gli altri denari dove sono finiti? Probabilmente ci saranno state altre “donazioni” ma di sicuro qualcosa di quei 30 mila euro – per utilizzare un eufemismo – dev’essere finita anche nelle tasche dei due mediatori, Manna e Gullo. Altrimenti dove?

L’espressione usata da Manna, stando al racconto di Porcaro, “ci abbiamo fatto una fortuna” non lascia spazio ad altre interpretazioni se non a quella che era prassi consolidata da parte dell’avvocato rivolgersi al corrotto giudice Petrini per aggiustare, dietro bustarelle, processi. Manna chiedeva i denari ai suoi facoltosi clienti in difficoltà giudiziaria per corrompere il giudice, e poi una piccola parte la “devolveva” a Petrini che rovinato com’era accettava anche miseri compensi per “elevati servizi” che altri giudici corrotti vendono a caro prezzo, intascandosi tutto il resto. È chiaro, quindi, che le bustarelle elargite a Petrini, da parte di Manna, non si limitano solo a quelle relative al processo a carico di Patitucci e Porcaro, ma sono molte di più. Ecco perché dice “ci abbiamo fatto una fortuna”, perché intascava denaro da tutte le parti. Chissà quanti saranno i processi aggiustati e soprattutto chi sono i facoltosi imputati in grado di pagare così care parcelle. Di sicuro gli investigatori avranno già approfondito l’argomento con il pentito,  perciò non ci resta altro da fare che aspettare di capire se questa grave affermazione avrà sviluppi investigativi, oppure se tutto finirà, ancora una volta, a tarallucci e vino.