Mannarino, Tom Waits e le sue radici calabresi

Salire fino a 1788 metri sopra il livello del mare, raggiungere con l’ovovia la vetta del monte Curcio, all’interno del Parco nazionale della Sila, e osservare dall’alto il lungo tappeto di gente che si srotola giù, uniforme, fino al palco dove l’artista romano Alessandro Mannarino sta già ululando il primo pezzo dell’ultima tappa del suo tour Corde 2015 (spettacolo che sancisce anche la chiusura della seconda edizione della rassegna “La Sila suona bee”, organizzata da Giampaolo Calabrese).

Il cantautore romano che voleva essere Tom Waits è sembrato in buona forma e ha fatto cantare a squarciagola un pubblico numeroso salito in cima al monte con il chiaro intento di non risparmiarsi nella festa. E “Al monte” è proprio il nome del suo ultimo album, un lavoro che sembra essere forse più adulto rispetto ai precedenti “Bar della rabbia” e “Supersantos”.

«Tutti mi chiedono quanta Roma c’è nelle mie canzoni» ha detto un Mannarino che è sembrato in buona sinergia col pubblico «ma nessuno mi chiede mai quanta Calabria c’è. E ce n’è tanta, visto che le mie radici, fino ai miei nonni e a mio padre, affondano in questa terra».

pubblico

Uno spettacolo che nel complesso ha divertito. In nuovi pezzi come “Deija”, “Scendi giù” o “Malamor”, più riflessivi, introspettivi e attenti, si sono mescolati con facilità ai classici alcolici da bettola romana come “Me so’ mbriacato” e “Bar della rabbia”, o alle tarante velenose come “Scetate vajo”. Un’ottima chiusura, dunque, per questa seconda edizione del “Sila suona bee”, che dopo Paola Turci su monte Cocuzzo, e Manu Chao nella località Malarotta di Camigliatello silano, si è confermato anche quest’anno tra gli eventi più interessanti dell’estate calabrese.

Enrico Miceli