C’è fermento in Comune. La sconfessione dei commissari di Cannizzaro della gara di appalto per il rifacimento di piazza Bilotti, ha messo in evidenza un fatto. Se intorno agli atti comunali c’è silenzio, nessuno degli organi preposti si prende la briga di sollevare anomalie, se invece, qualcuno, in merito agli stessi, suscita vespai e polemiche, che diventano pubbliche, non si può tacere, e bisogna far valere la Legge. Insomma, le marachelle passano solo se nessuno dei cittadini se ne accorge. Perciò il problema diventa chi divulga determine, atti amministrativi e delibere e ne evidenzia la scarsa conformità con le regole. E quindi, va messo a tacere.
Ora, giusto per fare un inciso: in un paese normale sono atti messi a disposizione di tutti i cittadini, la famosa trasparenza. Invece a Cosenza c’è un altro modo di intendere la funzione pubblica. Se un consigliere che fa bene il suo lavoro, e per questo si adopera per rendere pubbliche, secondo legittimità politica e amministrativa, atti pubblici, che altrimenti resterebbero sepolti in chissà quale scaffale, diventa un infame, un cantaro, un pentito, e per alcuni addirittura una fonte da tenere segreta. Mah, roba dell’altro mondo.
E per zittire il cantaro, le strade che percorrono i marpioni, quando si trovano di fronte questo tipo di soggetto, sono sempre le stesse: si fa una offerta economica al cantaro, con i soldi dei cittadini ovviamente, e quando questo non è possibile, si passa alle vie di fatto. Fatti che da noi possono declinarsi in diversi modi: macchina del fango, riesumazione di scheletri nell’armadio, abboccamenti vari, e quando queste vengono meno, si può sempre organizzare un bel trappolone, preceduto da qualche minaccia preventiva, più o meno esplicita. Oppure, stimolare l’ego del cantaro, che magari, ma non è detto, in buona fede ha delle legittime aspirazioni di natura, diciamo così, professionale. O che addirittura crede in un progetto sociale e culturale, e che ha avuto l’ardire di presentare senza nessuno sponsor. Ma ciò che i marpioni offrono al cantaro non è certo roba sborsata di tasca loro. Si fanno padroni delle cose di tutti. Utilizzando il patrimonio pubblico, come mera merce di scambio. Insomma, in poche parole: il vecchio vizio, mai perduto, di far passare il diritto come favore.
La congiuntura politica favorevole, con Venere in Mercurio, di quel momento, e il forte senso di impunità, derivante dalla capacità del sindaco e del suo vice di mobilitare amicizie importanti che operano in pubblici uffici, li fa sentire come dei supereroi. Capaci di aggiustare ogni cosa, e con ogni mezzo necessario. E devo dire anche con una certa disinvoltura. Credendo legittime cose, che in contesti civili non sono ritenute tali. Una sorta di buona fede avallata dall’assunto del: “così fan tutti”. Insomma, è prassi, recarsi nelle redazioni dei quotidiani, ad esempio, e chiedere conto di questo o quell’articolo. Oppure di rivolgersi all’amico dirigente in questura, o in tribunale, per chiedere una mediazione. O peggio, rivolgersi a qualcuno, per interposta persona, capace di dispensare buoni consigli a chi ne ha bisogno.
MARIO E KATYA
La coppia Mario e Katya, a quel tempo era ancora affiatata. Ed entrambi iniziano a battere le proprie conoscenze per meglio capire come porre un freno a barbudos e giornalisti che gli stanno alle costole. Bisogna mettere in campo qualcosa di efficace, che mandi un messaggio chiaro e tondo a tutti: chi si mette contro di noi ne paga le conseguenze, ma siamo sempre pronti ad accogliere nuovi fratelli e sorelle, redenti, nella nostra grande e amata famiglia.
In città, intanto, va agitandosi OIL. Discute, propone, denuncia fatti e misfatti, tra i partecipanti si saldano rapporti, si fanno nuove amicizie. Le presenze sono trasversali. Lo zoccolo duro è composto da precari dell’informazione, ma si trova un po’ di tutto, ed ognuno con i propri problemi. Significative presenze, anche di esponenti della cosiddetta società civile. E di politici provenienti da vari partiti, e alcuni di loro con esperienze amministrative alle spalle. Un coacervo di identità e saperi che fa paura ai marpioni. Almeno nella sua fase iniziale. Perché a differenza dei movimenti già presenti sulla scena politica cittadina di ispirazione anticapitalistica, a cui io sento di appartenere, la composizione sociale, di questo movimento, cambia. Media-alta borghesia – figli di famiglie abituate a sistemare economicamente i propri congiunti, che ora non hanno più nessun potere contrattuale – che sente vacillare, anch’essa, le proprie certezze, e vede la possibilità di uno sbocco occupazionale allontanarsi sempre più.
Uomini e donne che vorrebbero fare quello per cui hanno studiato, senza essere sfruttati, o peggio, umiliati nel proprio lavoro (del resto se vuoi fare, ad esempio, il giornalista a Cosenza, quelli sono i giornali, e se le condizioni di lavoro sono quelle che sappiamo, va da se che, o accetti, o fai le valigie). Ed è proprio questa “peculiarità” che più spaventa i marpioni, perché questa è gente che sa. Non sono come quei barbudos che risolvono tutto con un bel pistolotto politico, o con delle pallose, chilometriche risoluzioni strategiche, per finire poi con le solite ipotesi di complotto. Molti di loro hanno sentito, visto, vissuto, e ben compreso le dinamiche degli intrallazzi, e ben conoscono chi li fa. Possono raccontare aneddoti, circostanze, senza tema di smentita. Perchè vissuti in prima persona.
Un conto è se la storia dello sfruttamento sul posto di lavoro la racconta un sindacalista che non ha mai fatto una ora nella sua vita alla catena di montaggio, un altro è se la racconta in prima persona l’operaio che a quella “catena” sta legato 8 ore al giorno. E siccome nell’immaginario collettivo ci può stare che si sfruttano i braccianti agricoli, perché nel loro caso così è, e così sempre sarà (?!), ma non ci può stare che questo immaginario si sposti nei luoghi che dovrebbero rappresentare il fiore all’occhiello del vivere civile e del rispetto delle regole, nonché, in alcuni casi, luoghi la cui vocazione dovrebbe essere quella di stare a guardia della democrazia.
Per cui se si scopre che anche in questi posti è tutto un “magna magna”, rendendo di dominio pubblico tutte le schifezze, finisce poi che nessuno crede più alle chiacchiere dei marpioni e dei padroni, e minare la loro credibilità, di questi tempi, significa mettere in crisi i loro affari.
Mentre Mario e Katya si organizzano, nell’esperienza di OIL, conosco Rosa. Entriamo da subito in sintonia. Sono tante le questioni che lei da giornalista tratta. Come tanti si è fatta le ossa nelle redazioni locali. Ha, come tutti, legittime aspirazioni professionali, ma che a Cosenza, come per tutti, si scontrano con un sistema che proprio non le va di assecondare.
E lei, disoccupata, insieme a molti suoi colleghi precari o nella sua stessa condizione, ad animare OIL. Si dice che i movimenti sono come le meteore, e il logorio avviato dal duo di cui sopra, inizia a dare i suoi frutti.
C’è il rischio concreto che neanche dopo qualche mese dalla sua nascita la meteora OIL sia già passata. E tutta la sua potenzialità persa. Ma ancora capace di far scoppiare…la Bomba.
Michele Santagata
3 – (continua)