(DI DANIELA RANIERI – Il Fatto Quotidiano) – Peccato che Bruno Vespa avesse solo 5 minuti, l’altra sera, quando con sapiente gioco di dissolvenze delle due tragedie di Bucha e Crotone ha dato il benvenuto a Giorgia Meloni, prima ospite del suo nuovo programma; altrimenti chissà quante domande le avrebbe fatto sul naufragio di 64 persone, di cui 14 bambini, davanti alle nostre coste. Una cosa ha fatto in tempo a chiedergliela, si fa per dire: “L’opposizione attacca duramente la politica sui migranti”, ciò che dà agio a lei di formulare un assioma di offensiva banalità: “Più gente parte, più gente rischia di morire” (come se quella “gente” non rischiasse di morire anche lì da dove parte) e di deviare l’attenzione del pubblico sulla presunta notizia che l’opposizione attacca la “politica” del governo contro le Ong (che non operano in quella zona), invece che sulle parole appena pronunciate dal ministro dell’Interno Piantedosi.
Vale la pena studiare il video della conferenza stampa del ministro (VIDEO CONFERENZA STAMPA), per quanto ciò sia snervante e tale da attivare tutte le nostre barriere morali. Il ministro è corrucciato, ma l’eloquio perentorio rivela subito che non è lì per esprimere cordoglio, bensì rabbia: “Rispetto a tragedie come quella di oggi, non credo che si possa sostenere che al primo posto venga il diritto e il dovere di partire”. Sembrerebbe che il ministro stia rimproverando i morti in mare per aver esercitato un diritto-dovere che non spettava loro. Un cronista (Bruno Palermo di Crotone, ndr) gli chiede se, nel caso fosse disperato, lui cercherebbe di raggiungere un’altra parte del mondo; il ministro è sicuro: “No, no, no!”, quindi si avventura in un discorso che si rivela un monito ai migranti: “Sono stato educato alla responsabilità, di non chiedermi sempre io cosa mi posso aspettare dal Paese in cui vivo, ma anche quello che posso dare io al Paese in cui vivo per il riscatto dello stesso”.
Una citazione di Kennedy, forse, mentre si decompongono i corpi di 14 bambini affogati. I giornalisti provano a dire cose come “quei poveracci, la guerra, la fame”; lui, con gesto categorico della mano, azzera le chiacchiere con queste testuali parole: “Vabbè: guerra, fame… le potrei indicare le nazionalità di maggiore arrivo (sic) di queste persone, che non sono riferite all’evento di cui stiamo parlando, e non sempre si tratta di venire da luoghi dove ci sono guerre e cose”.
Allora: subito dopo una tragedia che lo ha fatto molto arrabbiare perché i morti non hanno fatto abbastanza per il riscatto del loro Paese (o del nostro, vai a capire), il ministro allarga il discorso al fenomeno migratorio per accusare non questi morti, ma altri passati o futuri, di partire senza valide motivazioni, ma per puro capriccio.
Aggiunge: “L’unica cosa vera che va detta: non devono partire! Poi le possibilità, salvare, non salvare… Se noi non lanciamo al mondo questo messaggio che è etico prima di tutto: non bisogna partire, non bisogna esporre donne e bambini alle condizioni di pericolo”.
Dalle farneticazioni di questo ex prefetto si capisce che lui e il governo in cui siede non hanno alcuna idea di cosa stanno parlando; del resto il ministro il 10 gennaio disse a L’aria che tira che dall’insediamento del governo gli sbarchi avevano subito una “flessione” rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente (governo Draghi), ma non era vero: sono raddoppiati, o almeno così dicono i dati forniti dal suo ministero. Invece di spiegare perché la Guardia costiera (a cui compete la salvaguardia della vita umana in mare e che dipende dal ministero dei Trasporti di Salvini) non ha salvato i naufraghi nonostante l’allarme di Frontex, Meloni da Vespa ha ribadito che occorre “fermare le partenze”: evidentemente non basta l’accordo con la Guardia costiera libica (grazie alla “dottrina Minniti”, subito sposata dal governo dei postfascisti) e il fiume di soldi che l’Europa corrisponde a chi “trattiene” i migranti nei lager.
Meloni che piange davanti ai peluche dei bambini (bianchi) morti a Bucha è la stessa persona che presiede un governo il cui ministro dell’Interno biasima i genitori dei bambini (neri) morti in mare (“La disperazione non può mai giustificare condizioni di viaggio che mettono in pericolo la vita dei propri figli”). Quando c’è da mostrare la faccia buona, Meloni ostende in prima persona la sua materna pietas; quando c’è da fare la faccia feroce, manda avanti gente come Piantedosi e Valditara, i ministri tromboni che amano punire chi è più debole di loro (e minacciano querele o provvedimenti: Piantedosi ha dato mandato all’avvocatura dello Stato di verificare le dichiarazioni di un medico soccorritore a Non è L’Arena secondo cui la tragedia “si poteva evitare”; Valditara lancia un avvertimento a una preside antifascista e minaccia di querela persino degli studenti minorenni). Quanto all’etica del governo, è ben espressa da quell’intercalare di Piantedosi: “salvare, non salvare…”, per questa gente è lo stesso.