Questa mattina, in Verona e provincia, investigatori della Polizia di Stato hanno eseguito un’ordinanza che dispone misure cautelari nei confronti di 26 indagati, ritenuti responsabili, a vario titolo, di associazione mafiosa, traffico di sostanze stupefacenti, riciclaggio, estorsione, trasferimento fraudolento di beni, emissione di false fatturazioni per operazioni inesistenti, truffa, corruzione e turbata libertà degli incanti, anche aggravati dalle modalità mafiose.
Corruzione, collusione, estorsioni, reimpiego dei capitali accumulati illecitamente utilizzando magari ed anche aziende fittizie pronte ad evadere il fisco pur di garantire delle provviste di denaro contante.
I metodi sono più o meno sempre gli stessi, quelli cioè che la ‘ndrangheta ha da sempre attuato nel suo territorio d’origine, la Calabria, ma che da anni ha ormai esportato altrove, nelle altre zone d’Italia più ricche e dalle opportunità economiche migliori: anche nel florido nordest del paese.
E l’operazione “Isola Scaligera”, eseguita stamani dalla polizia di Verona, e tra l’altro con un imponente dispiegamento di forze, oltre 200 uomini, non è che l’ennesima dimostrazione.
Le indagini, dirette dalla Procura distrettuale presso il Tribunale di Venezia e condotte, tra il 2017 ed il 2018, da un gruppo di lavoro composto da investigatori della Prima Divisione del Servizio Centrale Operativo della Polizia di Stato e delle Squadre Mobili di Verona e Venezia, hanno disvelato la strutturata esistenza di un’autonoma locale di ‘ndrangheta operante a Verona e nella provincia, riconducibile alla potente cosca degli “Arena-Nicoscia” di Isola Capo Rizzuto (Crotone).
L’inchiesta, corroborata dal contributo di alcuni collaboratori di giustizia, ha fatto emergere gravi indizi di condotte criminali tipiche delle propaggini extra-regionali della ‘ndrangheta, ispirate alla commistione di metodologie corruttive-collusive ed estorsive, ed ha consentito di registrare anche indebiti rapporti tra alcuni appartenenti al sodalizio mafioso in questione ed i dirigenti di una società municipalizzata veronese, operante nel settore della raccolta dei rifiuti urbani. Tra gli indagati ci sarebbe l’ex sindaco di Verona Flavio Tosi.
L’indagine ha consentito l’emersione di un’articolazione della locale scaligera, facente capo alla famiglia Giardino, di origine isolitana, che ha radicato, in modo autonomo, le proprie attività illecite nella provincia veneta, mantenendo stabili rapporti affaristici con le analoghe strutture mafiose, operanti in Emilia-Romagna e Lombardia.
Nel medesimo contesto, è stato disposto il sequestro preventivo di un ingente patrimonio immobiliare, aziendale e finanziario, per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro, ritenuto provento delle attività illecite del sodalizio mafioso, frutto degli approfondimenti investigativi e patrimoniali svolti dalla Sezione specializzata del Servizio Centrale Operativo.
Il boss della ’Ndrangheta che gestiva l’organizzazione nel veronese è Antonio Giardino detto “Totareddu”, uomo vicino alla cosca Arena-Nicoscia. L’attività del gruppo mafioso – è stato detto da inquirenti e investigatori a Venezia – ha portato al sequestro di 15 milioni di euro frutto di un’attività volta al riciclaggio ed allo spaccio di stupefacenti, con società fittizie che evadevano il fisco e creavano provviste di denaro.
Una famiglia che secondo gli inquirenti avrebbe radicato, ed in modo autonomo, le sue attività considerate illecite nella provincia veneta, mantenendo però anche degli stabili rapporti affaristici con le strutture mafiose che operano in Emilia Romagna e Lombardia.
In questo contesto è stato disposto poi un sequestro preventivo che ha riguardato un ingente patrimonio immobiliare, aziendale e finanziario, per un valore complessivo di circa 15 milioni di euro, e ritenuto il provento delle attività illecite del gruppo mafioso, un risultato quest’ultimo ottenuto grazie agli approfondimenti investigativi e patrimoniali svolti dalla Sezione specializzata del Servizio Centrale Operativo della polizia.