‘Ndrangheta e narcotraffico al porto di Gioia Tauro: i nomi degli arrestati e i dettagli del blitz

Trecento militari del Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Reggio Calabria, sotto il coordinamento della locale Procura della Repubblica – Direzione Distrettuale Antimafia, diretta dal Dott. Giovanni Bombardieri, stanno eseguendo – con il supporto di altri Reparti del Corpo, nelle province di Reggio Calabria, Vibo Valentia, Bari, Napoli, Roma, Terni, Vicenza, Milano e Novara – provvedimenti restrittivi della libertà personale, emessi dalla Sezione G.I.P. del Tribunale di Reggio Calabria, nei confronti di 36 soggetti (34 in carcere e 2 ai domiciliari) coinvolti in un traffico internazionale di sostanze stupefacenti aggravato dalla finalità di agevolare la ‘ndrangheta.

I nomi degli arrestati

In carcere: Vincenzo Giuseppe Albanese; Galliano Aseo; Salvatore Bagnoli; Domenico Bartuccio; Rosario Bonifazio; Vincenzo Brandimarte; Salvatore Cananzi; Salvatore Copelli; Alessandro Cutrì;  Salvatore Dell’Acqua;  Girolamo Fazari; Santi Fazio; Roberto Ficarra; Francesco Giovinazzo; Domenico Gulluni; Domenico Iannaci; Rocco Iannizzi; Vincenzo Larosa; Domenico Longo;  Giuseppe Papalia; Renato Papalia; Damiano Rosarno;  Pasqualino Russo; Pasquale Sergio; Antonio Sciglitano; Filippo Strano; Nazareno Valente, Antonio Zambara; Franco Barbaro; Antonio Bruzzaniti; Bartolo Bruzzaniti; Bruno Carbone; Domenico Cutrì; Raffaele Imperiale.

Ai domiciliari: Francesco Gullace; Michele Silvano Mazzeo.

Coinvolto funzionario dell’Agenzia Dogane

Il funzionario coinvolto nell’operazione, di cui al momento non é stata resa nota l’identità, era in servizio nell’ufficio istituito dall’Agenzia nel porto di Gioia Tauro, che in passato ha collaborato innumerevoli volte con la Guardia di finanza in occasione dei tanti sequestri di sostanza stupefacente. Tra i soggetti coinvolti figurano anche 4 narcotrafficanti internazionali, 2 originari della fascia ionica reggina e 2 di origine campana, di cui uno di rilievo criminale assoluto che è stato recentemente espulso da un paese mediorientale per fatti analoghi.

Un sequestro da 7 milioni

Contestualmente, sono state eseguite perquisizioni e sequestri per dare esecuzione a provvedimenti cautelari reali finalizzati alla confisca, anche per equivalente, di beni e disponibilità riconducibili ai membri dell’organizzazione, fino alla concorrenza dell’importo di oltre 7 milioni di euro, nonché dell’intero patrimonio aziendale di n. 2 imprese, attive nel settore dei trasporti ed utilizzate per il compimento degli illeciti.

L’operazione costituisce l’epilogo di complesse indagini, nel cui ambito sono state sequestrate oltre 4 tonnellate di cocaina per un valore al dettaglio di circa 800 milioni di euro, condotte dal Gruppo Investigazione Criminalità Organizzata (G.I.C.O.) del Nucleo di Polizia Economico Finanziaria di Reggio Calabria.

La “logistica” dell’organizzazione

L’organizzazione, che avrebbe assicurato la logistica del narcotraffico come fosse una e propria società di servizi, era articolata su 3 distinti livelli di soggetti coinvolti con esponenti delle principali famiglie di ‘ndrangheta, in grado di garantire l’importazione delle partite di cocaina in arrivo dal Sud America. C’erano i coordinatori delle squadre di operatori portuali infedeli che avrebbero retribuito la squadra con una parte della “commissione” variabile tra il 7/20% del valore del carico. E c’erano operatori portuali materialmente incaricati di estrarre la cocaina dal container contaminato e procedere al trasferimento dello stesso verso luoghi sicuri.

Il ruolo dei portuali e il “sistema ponte”

Dalla minuziosa ricostruzione sarebbe emerso che, dopo l’indicazione ai referenti locali da parte dei fornitori sudamericani del nominativo della nave in arrivo e del contenitore con lo stupefacente, l’importazione passava sotto la supervisione dei dipendenti portuali, i quali si attivavano affinché il container venisse sbarcato al momento opportuno e posizionato in un luogo sicuro appositamente individuato per consentire lo spostamento del narcotico in un secondo container nelle ore successive, che sarebbe stato ritirato da un vettore compiacente e trasportato nel luogo indicato dai responsabili dell’organizzazione. Questo sistema veniva nominato dagli stessi “sistema del ponte”.

In sostanza lo stupefacente veniva continuamente spostato da un container all’altro (4 in totale) sui quali venivano applicati sigilli contraffatti. Mentre il funzionario dell’ufficio anti-frode dell’agenzia dell dogane di Gioia Tauro agevolava l’organizzazione sfruttando le proprie mansioni di controllo e alterando l’esito della scansione radiogena operata su un container con all’interno 300 chili di cocaina. Il doganiere avrebbe ottenuto una somma di denaro pari al 3% del valore del carico.