‘Ndrangheta, false fatture all’ombra del clan Arena: il ruolo dei contabili

«Questo ti fa fare i soldi nel senso, sa tutti gli escamotage che sanno se li tengono per loro giustamente… lo sai quante aziende fa?». Il presunto giro di false fatture per 20 milioni di euro attraverso società cartiere messo in piedi nella Bergamasca da un gruppo criminale contiguo alla cosca Arena di Isola di Capo Rizzuto, sarebbe stato possibile grazie ad una rete di commercialisti compiacenti che avrebbe svolto un «ruolo fondamentale nella organizzazione delle frodi». Lo ha scoperto la Procura antimafia di Brescia con l’inchiesta venuta alla luce lo scorso lunedì con l’esecuzione di 33 arresti, per un totale di 66 indagati, oltre al sequestro di 6,5 milioni di euro, nell’ambito di un’operazione condotta da Finanza e Carabinieri tra Lombardia e Calabria. Sotto la lente degli inquirenti è finito lo studio di commercialisti, Cogede di Milano, facente capo a Guido Tonarelli per il quale sono scattate le manette nel blitz del 5 settembre. “L’ha c’ha più aziende sue che clienti – dice di lui Martino Tarasi, l’ipotizzato referente della ‘ndrina isolitana a Bergamo, in una conversazione intercettata il 31 ottobre 2019 – c’ha quattro commercialisti novantenni che firmano al posto suo… Che gli devono fare a un commercialista di 90 anni? Niente!”.

” Tarasi – scrive nell’ordinanza il gip Carlo Bianchetti – magnificava l’organizzazione dello studio Tonarelli” e in particolare l’impegno profuso da due collaboratori del commercialista specie Luca Litta, finito in carcere. “Luca si è fatto più bravo di lui a “imbrogliare” – evidenzia Tarasi – è lui che fa il cassiere… gli facevo io le fatture a lui… gli portavo i soldi, il contante… Una volta si metteva con la macchinetta… li contava ta ta ta ta… e li metteva nel cassetto”. E che le parole di Tarasi non fossero diffamatorie nei confronti dei commercialisti tirati in ballo lo prova il contenuto della conversazione del 17 aprile 2020 avvenuta negli uffici della Cogede di Milano, dalla quale si apprende che il ruolo rivestito da Luca Litta nell’ambito dello studio non è quello di un mero esecutore di ordini.

Così parla Tarasi nel dialogo captato dagli investigatori: “Gli ho fatto due aziendine, nuove, e a due ragazzi non hanno fatto niente… bravi ragazzi, puliti e tutto… se ti serve qualcosa…”.

Litta: “Ma per i contanti? Quanto?”

Tarasi: “Ci mettiamo d’accordo…”

Litta: “Come attività cos’hanno?”

Tarasi: “Edilizia… hanno già il codice univoco e tutto…”

Da qui la valutazione del gip bresciano: “Il contenuto delle affermazioni rese dal Tarasi trovava conforto nell’assenza di qualsivoglia tipo di beni strumentali all’esercizio di attività di impresa presso le sedi aziendali”. Intanto, nei giorni scorsi sono iniziati gli interrogatori di garanzia degli arrestati davanti al giudice Bianchetti.