‘Ndrangheta, il pentito Ficarra: “Anche Sculli tra i re della mala di Milano”

“C’è Beppe Sculli, ex calciatore di Lazio e Genoa, nipote del boss Giuseppe Morabito “u Tiradrittu”, c’è il “trafficante” siciliano Carlo Zacco, il cui padre, “Nino il bello”, negli anni Ottanta fu proconsole milanese di Cosa nostra. E c’è Girolamo Piromalli, detto Mommino, habitué dei locali della movida e nipote del nonno omonimo a capo di una delle più potenti cosche della Calabria”.

Inizia così l’articolo pubblicato in data odierna dal Fatto Quotidiano, in riferimento ad alcuni summit mafiosi di coloro che sono stati definiti “i nuovi re della mala di Milano”. In decine di verbali sono state messe per iscritto le parole del nuovo collaboratore di giustiziaDomenico Ficarra: classe ’84, alias “Corona” coinvolto nell’inchiesta “Cavalli di razza” coordinata dalla Dda di Milano e accusato, oltre che di estorsione, anche di essere tra i capi di un’organizzazione mafiosa tra Milano e Como“Davanti a tutto questo, il giovane boss, innamorato della bella vita, dei casinò e delle Ferrari noleggiate da una nota concessionaria, lo scorso marzo ha deciso di collaborare con i pm Sara Ombra e Pasquale Addesso, titolari del fascicolo che nell’ottobre scorso portò a 54 arresti”, si legge nell’articolo.

“La famiglia Ficarra – spiega il nuovo pentito in uno dei sei verbali depositati dalla Procura al processo con rito abbreviato iniziato ieri – è stata sempre al servizio di Molè (…). Fino all’omicidio di Rocco Molè (2008) eravamo a sua disposizione per tutto. Io rimasi sconvolto, ero molto legato a Rocco, dopo l’omicidio sono salito a Milano (…). Abbiamo colto l’occasione per iniziare a insediarci in Lombardia”, prendendo di mira l’ex politico e funzionario di banca Cesare Pravisano, avvicinandosi poi alla sponda nobile della ’ndrangheta di Gioia Tauro, i Piromalli. Secondo Domenico Ficarra, anche Massimiliano Ficarra (suo zio)era coinvolto nell’inchiesta e finito in carcere per un giro di frodi fiscali, è il commercialista della cosca: “era a disposizione di Rocco Molè e riciclava i loro soldi (…) organizzava truffe milionarie e Molè incassava gli interessi (…). Dopo la morte di Molè si era avvicinato ai Piromalli (…). Seguiva l’autolavaggio di Girolamo Piromalli detto Mommino”.

Il pentito ritiene invece che il “trafficante di droga” sia Antonio Carlino, che con il commercialista Ficarra si è preso l’esclusivo ristorante “Unico” all’ultimo piano del World Join Center, primo grattacielo della nuova Milano verticale. “Carlino – afferma Ficarra – mi disse di appartenere alla ‘ndrangheta e in mia presenza tirò fuori un sacco con dentro mezzo milione in contanti. Sul tavolo aveva 6 chili di cocaina” che “furono portati a Milano (…). Un chilo è stato dato a Giuseppe Sculli in via San Marco a Milano (…) presso un’abitazione di Sculli data in affitto a Daniele Ficarra (zio del pentito, ndr). Mio zio mi ha riferito di cessioni di cocaina a Carlo Zacco il quale venne anche da me per chiedermi dove trovare mio zio per avere droga (…). Carlino aveva grosse disponibilità economiche (…) e necessità di riciclare denaro (…). Quando veniva a Milano alloggiava all’hotel Palazzo Parigi”.

Giuseppe Sculli, ex calciatore di Lazio e Genoa, (Il Fatto Quotidiano scrive che non è indagato al momento, così come Carlo Zacco) viene tirato in ballo dal pentito per una vicenda spinosa sull’affare dei trasporti per conto della Spumador Spa gestiti in totale monopolio dallo zio di Ficarra. Una parte di questi venivano dati ad altri calabresi, la famiglia Palmieri imparentati con i Medici a loro volta legati al clan Muscatello. “La ragione del mio intervento è dovuta al fatto che Palmieri voleva allargarsi e avere più lavori”. È in questo contesto che il pentito richiama di nuovo la figura di Sculli al quale un uomo di Ficarra deve portare “l’ambasciata”. Questo è avvenuto nel 2020.

“Angelo Molteni – afferma ancora il pentito – doveva recarsi da Giuseppe Sculli, nipote di Giuseppe Morabito Tiradrittu, per farlo intervenire sui Palmieri in quanto sia loro che i Morabito sono famiglie della Ionica”. E che quell’incontro, che però non avverrà, fosse un incontro di ’ndrangheta lo spiega sempre Ficarra ricordando l’episodio dell’orecchino: “la ragione per cui Molteni doveva togliersi l’orecchino era perché quando si va a incontri di ’ndrangheta occorre presentarsi puliti e gli orecchini sono visti negativamente”. Ficarra poi racconta della conoscenza con i Pio di Desio, famiglia coinvolta nell’operazione Infinito. “I Pio erano conosciuti come persone appartenenti alla ’ndrangheta”. Saranno i Pio ad avere a disposizione il ristorante “Unico ” “per un incontro con i cinesi (…). Carlino aveva messo a disposizione il ristorante”. E’ questo il capitolo iniziale di una collaborazione che si annuncia decisiva per le sorti delle inchieste.