‘Ndrangheta in Emilia: assoluzioni impugnate per il processo Grimilde

«Abbiamo posto all’attenzione della Suprema Corte due passaggi della sentenza che non ci hanno convinto, riguardanti alcuni reati di intestazione fittizia che sono la nuova arma utilizzata dalle mafie imprenditrici per incidere sul tessuto socio-economico». Sono alcuni dichiarazioni rilasciate alla stampa dalla procuratrice generale reggente di Bologna, Lucia Musti, e dalla sua sostituta, Beatrice Ronchi, per motivare l’impugnazione davanti alla Cassazione alcune assoluzioni e proscioglimenti decisi nel processo d’Appello di “Grimilde”. Nello specifico, si tratta delle assoluzioni dalle accuse relative al reato di intestazione fittizia di beni di Antonio e Cesare Muto, e dei loro parenti Domenico Parrinelli, Rosetta Pagliuso, Rossella Lombardo e del commercialista Donato Agostino Clausi. Da precisare che in secondo grado si sono visti ridurre la condanna per altri illeciti, Cesare Muto a 2 anni e 8 mesi di carcere (in primo grado erano stati 3 anni e 6 mesi) e Antonio Muto a 2 anni e 10 mesi (3 anni e 10 mesi in primo grado).

Presentato ricorso anche contro i proscioglimenti per prescrizione di Salvatore Grande Aracri, di sua moglie Carmelina Passafaro e del genero Pietro Passafaro dalle contestazioni di reati societari.
Lo scorso 16 giugno, come si ricorderà, la Corte d’Appello di Bologna aveva inflitto 25 condanne (20 le pene ridotte e 5 quelle confermate) e disposto 12 assoluzioni e 3 proscioglimenti al termine del processo di secondo grado nato dall’inchiesta “Grimilde” che nel 2019 disarticolò le infiltrazioni del ramo emiliano della cosca Grande Aracri di Cutro tra Brescello, Parma e Piacenza.
Tra gli assolti Donato Agostino Clausi, Domenico Parrinelli, Rosetta Pagliuso e Rossella Lombardo, A riguardo, per i due magistrati, la sentenza d’Appello è «manifestamente illogica e non ha tenuto conto delle precedenti pronunce».