‘Ndrangheta in Piemonte: il “metodo Bafunno” per riciclare i soldi sporchi del boss Ietto di Natile di Careri

Denaro proveniente dalle attività illecite della ‘ndrangheta riciclato attraverso un sistema ingegnoso, messo in atto da un commercialista e la compiacenza di alcuni imprenditori.
Sono più di 10 anni che la Dia di Torino sta addosso ad un clan della ‘ndrangheta reggina: 7 anni fa aveva arrestato quattro soggetti coinvolti, a vario titolo, in attività finalizzate a riciclare il denaro del crimine organizzato. I reati contestati erano: riciclaggio, interposizione fittizia, bancarotta fraudolenta, falso in bilancio, trasferimento fraudolento di valori ed emissione di documentazione per operazioni finanziarie inesistenti.

Ieri, a sette anni di distanza, la Dia torinese è ritornata all’attacco sequestrando beni per 4 milioni di euro alla “mente” del clan.
Il denaro da “lavare” – accumulato grazie al sequestri di persone e al traffico di stupefacenti – è quello delle cosca Ietto-Cupua-Pipicella di Natile di Careri e l’attività di riciclaggio era portata avanti da Francesco Ietto, il boss, condannato per associazione mafiosa nell’ambito delle inchieste Crimine-Infinito.

Attraverso imprenditori compiacenti e un giro di false fatturazioni, Ietto è stato in grado di immettere nel mercato legale il denaro sporco.
Ad architettare il meccanismo per riciclare queste ingenti somme, un noto commercialista torinese, Pasquale Bafunno, di chiare origini meridionali.

Il professionista era riuscito a creare il cosiddetto “metodo Bafunno”: un sistema di documentazione contabile intersocietaria, basato su rapporti commerciali e finanziari fittizi, così da rendere difficile il controllo da parte delle autorità.
Oltre a Ietto e Bafunno, la richiesta di custodia cautelare in carcere era stata spiccata all’epoca anche per  due imprenditori operanti nel torinese accusati di false fatturazioni ed evasione fiscale.
L’operazione era stata denominata “Panamera” e aveva portato al sequestro preventivo di beni, mobili ed immobili, per un importo complessivo di circa 5 milioni di euro. Ai quali adesso si aggiungono i 4 milioni sequestrati ieri al culmine di nuove indagini che hanno dimostrato quanto fossero potenti gli agganci della ‘ndrangheta in Piemonte e in modo particolare a Torino.