Nicola Abate alias Mangiacani, un omicidio irrisolto

Foto tratta da "Mamma 'Ndrangheta"

Noi di Iacchite’ ci siamo spesso occupati di molti casi di omicidi avvenuti in città mai risolti.

A questo argomento abbiamo dedicato nella categoria cronaca, una sezione  denominata Cold Case, appunto. Quello che ci chiediamo con questo articolo dedicato all’uccisione di Nicola Abate, alias Mangiacani, avvenuta la sera del 23 febbraio del 2000, un omicidio rimasto irrisolto, è capire come mai nessun pentito ha parlato di questo agguato. Né i pentiti di passata generazione, né i pentiti di nuova generazione. Ma andiamo per ordine.

Chi era Nicola Abate? Tutti lo conoscevano come Nicola Mangiacane, nato e cresciuto a Casali di professione macellaio.

Nicola era un ragazzo scaltro ed intelligente, ma soprattutto era nu guagliuni d’azione. Gestiva una macelleria nella città vecchia: ara Chiazza Piccola. Quando la Chiazza Piccola era il luogo di “presidio” del clan Perna. Nicola era un uomo pragmatico, caratteristica tipica di chi sceglie come mestiere rapinare banche.

Già, perché Nicola era un rapinatore di professione. Banche per lo più. E per questo aveva formato una delle “batterie” più attive in quegli anni.

Si deve a lui e non solo, la fama di ottimi rapinatori che accompagna i cosentini nelle galere, siamo agli inizi degli anni 90, insieme ai bergamaschi, e ai catanesi. Una sorta di antesignano della rapina Takeaway.

Specialità tutta cosentina che si sviluppò proprio in quegli anni. Chi non ha mai sentito parlare della banda del taglierino? Nicola è sempre stato, a sentire gli amici, fuori dal giro, inteso come affiliazione ad una cosca, anche se la DDA di Catanzaro nell’operazione Garden, lo aveva accusato di essere organico all’irriducibile boss Perna e ai fratelli Mario e Pasquale Pranno. Accusa da cui, Nicola, nel 97, fu completamente prosciolto e assolto con formula ampia.

Fu invece condannato a sette anni e sei mesi di reclusione , nel 1998, al termine del maxi processo “Attila-Alarico” che lo vide alla sbarra accusato da due pentiti, Giuseppe Bonfiglio e Luigi Tripodi, di associazione a delinquere finalizzata alle rapine.

Facciolla
Facciolla

Venne scarcerato subito dopo per scadenza dei termini di custodia cautelare. Ma la libertà dura poco. Il PM Facciolla, il 16 maggio del 1998, ne ordina di nuovo l’arresto, accusandolo di aver organizzato un colpo ad una banca in quel di Sersale (Catanzaro) il 4 giugno del 91. Ma il TDL annullò il provvedimento emesso dal dottor Facciolla, applicandogli solo la misura di sorvegliato speciale.

Anche la procura di Reggio aveva emesso un provvedimento,  a suo carico, accusandolo di un assalto ad una agenzia della Carical di Reggio Calabria, il 15 luglio del 91 con un bottino di 115 milioni delle vecchie lire. Insomma Nicola si era conquistato sul campo la sua nomea di rapinatore. E tutti lo rispettavano. Ma qualcosa nella sua vita criminale deve essere andata storta. E una sera di febbraio del 2000, Nicola Mangiacani, cade in quello  che a leggere la ricostruzione della scientifica sembra essere un vero e proprio agguato.

La ricostruzione dell’omicidio.

È il pomeriggio del 23 febbraio del 2000. Un inverno freddo a Cosenza quell’anno. Sono le 16,00 e Nicola esce di casa a bordo del suo fuoristrada Suzuki.  Deve sbrigare mmasciate e vedere qualcuno.

Dopo qualche ora ritorna nel quartiere, ed è qui che sarà visto per l’ultima volta attorno alle 18 dal figlio. Da quel momento in poi, nonostante i tanti e vani tentativi della moglie di rintracciarlo sul telefonino, di Nicola si perdono le tracce.

Verrà ritrovato da una pattuglia della squadra volanti riverso nel suo fuoristrada, in una stradina che costeggia la superstrada per la Sila, poco dopo il cimitero di Cosenza. Un luogo appartato e scusagno, spesso meta in quegli anni di coppiette.

E’ da poco sorta l’alba del 24 febbraio e la scena che si presenta ai poliziotti è micidiale: lo sportello del lato guida della Suzuki era aperto e sul sedile accasciato il cadavere di Nicola. Il finestrino era intatto, mentre quello del lato passeggeri risultava infranto e il freno a mano tirato.

A pochi passi dall’auto cinque bossoli calibro 9. All’interno della Suzuki i poliziotti trovano due ogive e cinque denti della vittima, falciati dal piombo. Sul cruscotto dell’auto diverse cambiali e un telefonino che squilla in continuazione.

guerra-mafia-cosenza Nicola è stato attinto da 4 colpi alla testa ed uno al torace. Per lui non c’è stato scampo. La scena del crimine lascia immaginare anche la dinamica. Il killer ha aspettato che Nicola arrivasse, e quando Nicola ha tirato il freno a mano per fermarsi, segno evidente che era andato ad un appuntamento, gli è piombato da dietro. Ha aperto lo sportello ed ha subito sparato.

E questo è confermato anche dalla posizione del corpo di Nicola: non ha avuto neanche il tempo di abbozzare la benché minima reazione. E’ stato fulminato. E’ chiaro che Nicola, da persona navigato qual era, non si sarebbe mai recato da solo in una strada scusagna di sera (la sua morte è stimata tra le 20,00  e le 22,00 del 23 febbraio del 2000), se non fosse stato attirati lì da qualcuno di cui si fidava ciecamente. Qualche caro amico che gli ha fatto credere qualcosa a cui Nicola, per recarsi lì quella sera, doveva tenere, oppure gli ha fissato un appuntamento con qualcuno a cui non poteva dire di no. Ma sta di fatto che Nicola cade vittima di un agguato.

Le ipotesi investigative.

Da subito le indagini vengono condotte dall’allora capo della mobile Stefano Dodaro (e che te lo dico a fare). E da allora di questo omicidio non si è saputo più niente.

C’è chi dice che Nicola sia stato ucciso perché in quel periodo che si inquadra nella seconda guerra di mafia tra clan a Cosenza, si era avvicinato troppo ai Bella Bella. Ma c’è anche chi dice che sia stato ucciso perché si era rifiutato di versare il 50% dei proventi delle rapine ai clan. Una regola che a quei tempi bisognava rispettare.

Nessun pentito ha mai parlato di questo omicidio, neanche Oreste De Napoli, rapinatore pentito, che bene conosceva Mangiacani.

GdD