Il ministro della Sanità Orazio Schillaci aveva annunciato che nella manovra sarebbero entrati con un emendamento 10 milioni per la prevenzione dei tumori nel 2023, e altrettanti nel 2024. Soldi che però non sono stati trovati e il Piano Oncologico Nazionale, che aveva l’obiettivo di potenziare le strategie e e le azioni per la prevenzione, la diagnosi, la cura e l’assistenza a 3,5 milioni di malati oncologici, è rimasto senza fondi. Non solo, nella legge di bilancio non ha trovato spazio nemmeno l’incremento di 200 milioni di euro dell’indennità degli operatori sanitari del pronto soccorso, che erano stati promessi dal governo. Il motivo dello stanziamento era stato spiegato dallo stesso ministro in un’intervista a La Stampa. Chi lavora nei reparti emergenziali non fa attività privata, e ha quindi redditi inferiori rispetto a molti colleghi. L’obiettivo sarebbe stato «rendere più attrattive queste specialità», aveva spiegato Schillaci. Promesse non mantenute, perché nessuno dei due emendamenti è entrato in manovra.
1,4 miliardi bruciati dal caro bollette
Come fa notare il quotidiano di Torino, inoltre, dei 2,2 miliardi alla sanità previsti nella legge di bilancio, ben 1,4 miliardi vengono bruciati dal caro bollette, lasciando agli interventi strutturali appena 800 milioni. Che dovrebbero servire recuperare tutti gli interventi saltati a causa del Covid, così come tutte le visite posticipate e ad assumere nuovo personale e a trattenere quello che già ci lavora. «Con la necessità di aiutare famiglie e imprese stritolate da inflazione a caro bollette sinceramente non si poteva fare di più», ha giustificato il ministro. Inoltre, «la sanità è stata definanziata dal 2013 al 2019, mentre qui abbiamo il maggior rifinanziamento di sempre: 4,2 miliardi in più, considerando quelli già programmati» dal governo Draghi, ha aggiunto.
Tuttavia, le regioni fanno notare che per Covid e caro energia, sono stati spesi 3,8 miliardi in più che il governo non ha coperto. Allargando l’orizzonte temporale, si nota che «dal 2000 ad oggi la nostra sanità ha viaggiato a un ritmo di crescita della spesa del 2,8% l’anno contro il 4,2% in media degli altri Paesi Ue e questo ha comportato una costante crescita della spesa sanitaria privata con conseguente riduzione del livello di equità del sistema di protezione», ha spiegato a La Stampa Federico Spandonaro, economista sanitario dell’Università San Raffaele di Roma.
Le prestazioni saltano e gli italiani fuggono nel privato
Durante la pandemia sono state quasi 100 milioni le visite ambulatoriali saltate che vanno ancora in parte recuperate. Rispetto all’era prepandemica, 1,744 milioni di persone non hanno potuto essere ricoverate. E le liste d’attesa continuano ad allungarsi, con il 71% degli assistiti che ha dovuto attendere oltre i limiti stabiliti dalla normativa nazionale, sia per effettuare visite di controllo, che per interventi chirurgici. Il risultato è che bisogna attendere due anni per una mammografia, e circa un anno per una tac, o un intervento ortopedico.
E così medici e pazienti scappano nel privato. La spesa sostenuta di tasca propria dagli italiani è passata dai 34,8 miliardi del 2019 ai 37 miliardi del 2021, nonostante i 3,4 milioni di visite di controllo in meno. Solo per chi può permetterselo, però. Infatti, lo scorso anno sono stati 5,6 milioni gli italiani che hanno rinunciato alle cure. Erano stati 3,9 milioni nel 2019 e 4,8 nel 2020. A ciò si aggiunge il problema dell’invecchiamento della popolazione, con sempre più malati cronici che non riescono a essere presi in carico dal servizio sanitario nazionale.
Il confronto con gli altri Paesi europei
Il peso dei 37 miliardi tagliati tra il 2010 e il 2020 si sente tutto. Tutti i Paesi Ue hanno aumentato la spesa sanitaria durante la pandemia, ma l’Italia resta comunque molto indietro. Se da noi si spendono 2.609 euro pro capite, in Germania sono 4.831, in Francia 3.764 e in Gran Bretagna 3.494, che pure è infiammata da scioperi del personale del settore. Infatti, l’Italia è fanalino di coda in Europa per prestazioni saltate durante la pandemia.
Gli stipendi degli operatori sanitari
In Italia, gli stipendi degli operatori sanitari sono tra i più bassi d’Europa, e le prospettive non sono per nulla buone. La Finanziaria non ha rimosso il vincolo che pende sulle regioni e impedisce loro di spendere per il personale al massimo tanto quanto si spendeva nel 2004. Tra disorganizzazione e inefficienze, il 27% dei ricoveri è inappropriato e i lavoratori del Ssn sono costretti a turni massacranti anche alla luce del «taglio di 7 mila unità operative in 10 anni», fa notare Pierino De Silverio, segretario nazionale dell’Anaao, il più forte sindacato dei camici bianchi ospedalieri.
Inoltre, «il contratto 2019-2021 e già scaduto, e non ci hanno ancora convocato», continua De Silverio, «anche se sappiamo che con 618 milioni sul piatto non si andrà oltre aumenti medi di 80 euro al mese». Infine, fa notare il sindacalista «si è avvantaggiato chi lavora a gettone nelle cooperative estendendo la flat tax fino a 85mila euro di reddito. Il dubbio che si voglia spostare la sanità verso il privato c’è». Forse più di un dubbio. La paura di De Silverio «è già realtà, visto che oggi il 54% degli italiani si cura privatamente».