Nocera Terinese, il “ballo” di Pasquale (Motta) per mettere le mani sulla città

Pasquale Motta e il suo prestanome sindaco di Nocera Terinese

Si può essere giornalisti e dichiararsi addirittura “paladini della legalità” e poi essere presi con le mani nel sacco dal magistrato che loro stessi giudicano il migliore di tutti perché vicini – per usare un eufemismo – ai clan mafiosi? Sì, in Calabria è possibile. E non c’è neanche l’umiltà di ammettere le proprie responsabilità e dimettersi ma solo l’arroganza di continuare a prendere in giro la gente, gettando la maschera e accusando adesso lo stesso magistrato che prima idolatravano… Della serie: tutto e il contrario di tutto.

Pasquale Motta, direttore di LaC News, falso moralizzatore de noantri, è indagato da Gratteri per concorso esterno in associazione mafiosa e continua a rimanere al suo posto, “protetto” da un editore che – se possibile – è anche peggio di lui. Del resto, Dio li fa e poi li accoppia. Quello che emerge dall’ordinanza dell’operazione Alibante è allucinante.

L’impegno del giornalista Motta – incandidabile perché condannato dalla Corte dei Conti per danno erariale all’epoca in cui era sindaco – alle elezioni comunali di Nocera Terinese del 2018 è, per il giudice, più che evidente: «Benché Motta non figurasse formalmente nella lista, l’attività di intercettazione dimostrava come questi ne fosse il regista occulto e il dominus incontrastato, il cui fine ultimo era quello di portare sullo scranno comunale dei soggetti da lui completamente eterodiretti». Quella lista era «riconducibile» all’ex sindaco. Lo prova anche un’intercettazione nella quale Bagalà dice, a proposito della civica, «”Pasquale vince sicuro”, con ciò certificando chi fosse il vero regista della competizione elettorale». Bagalà non parla a caso: “Unità popolare nocerese” vince. Massimo Pandolfo diventa sindaco, Salvatore Grandinetti e Rosario Aragona («appoggiati da Carmelo Bagalà») e Domenico Motta («candidato di punta di Luigi Ferlaino (altro ex sindaco, ndr)») diventano consiglieri comunali…

Non solo: per aiutare la propria coalizione, organizza anche una lista civetta guidata da Rino Rocca, «con il solo scopo di togliere voti alla candidata da lui avversata, peraltro riuscendo nel suo intento, poiché solo grazie al “sacrificio” di Rocca si riusciva a ottenere l’elezione a sindaco di Massimo Pandolfo». Fernanda Gigliotti denuncia tutto in un interrogatorio del 13 giugno 2018. Facendo nomi e cognomi….

Ferlaino ne condivide la gestione con Motta, suo successore e sodale. «Un ulteriore colloquio – segnala il gip – tra i due confermava che Motta e Ferlaino erano i veri padroni occulti della lista capeggiata da Massimo Pandolfo, ridotta a un involucro di prestanome compiacenti; difatti, nel corso del dialogo intercettato, i due discutevano sulla spartizione degli assessorati e delle deleghe tra i candidati eletti, in tal modo esautorando la competenza del sindaco eletto».

Dietro tutto questo c’è ovviamente il boss Carmelo Bagalà. Al quale «venivano immancabilmente sottoposti» i nomi dei principali candidati alle elezioni. Questo ingombrante socio (politico) di maggioranza «riusciva a far convogliare sui candidati da lui appoggiati un numero impressionante di voti, segnando inevitabilmente le sorti della campagna elettorale». È così che “Unione popolare nocerese” vince le elezioni. Bagalà, in particolare, si sarebbe «attivato fattivamente per procurare voti a Massimo Pandolfo, intimando, inoltre, a Vittorio Macchione di ritirare il suo appoggio alla lista dell’avversario politico Fernanda Gigliotti».

Stesso percorso seguito da Motta, che avrebbe assicurato a Macchione «che, qualora fosse stata eletta la lista di Pandolfo, l’amministrazione comunale (con logica evidentemente clientelare) avrebbe tutelato anche i suoi interessi». Lo si evincerebbe dalle parole dello stesso Macchione: «Pasquale, a me, che ti devo dire… mi ha detto “archite’, tu stai tranquillo perché se vinciamo noi, tu sarai trattato come uno di noi”»…

Tra liste civetta, dominus occulti e l’ombra della ‘ndrangheta, le elezioni vedono il successo di Massimo Pandolfo nel giugno 2018. Ma la gioia per la vittoria dura poco. Il neo sindaco si trova subito sottoposto a grosse pressioni sugli incarichi. E, quando si rifiuta di premiare con una consulenza Franco Motta, «candidato non eletto nella lista di maggioranza», entra «in forte contrasto con Pasquale Motta». Pandolfo sceglie addirittura «di portare a esecuzione la sentenza di condanna per danno erariale emessa nei confronti di Luigi Ferlaino per l’importo di oltre 250mila euro». Stritolato dallo stress, il primo cittadino si dimette. È il 10 agosto 2018: quella stessa sera, la macchina “politica” si rimette in moto. E Carmelo Bagalà «subito esorta Saverio Russo a formare una nuova coalizione in vista delle future elezioni per evitare la possibile elezione di Fernanda Gigliotti», nemica giurata dei mafiosi di Nocera…

IL BALLO DI PASQUALE

«Pasquale Motta e Luigi Ferlaino – registi della precedente competizione elettorale – dopo aver visto naufragare i loro piani a causa della “ribellione” di Massimo Pandolfo – cercavano di formare immediatamente una rosa di candidati da schierare nella lista uscente “Unità popolare nocerese” in modo da assicurarsi il successo anche nella nuova tornata elettorale (cosa, poi, effettivamente avvenuta)». Nella lista, oltre a candidati uscenti come Armando Motta e Salvatore Grandinetti, «c’erano anche nomi nuovi: in particolare, Tonino Albi come candidato sindaco e, come consigliere, il carabiniere Francesco Cardamone, quest’ultimo risultato essere persone estremamente vicina a Carmelo Bagalà, al quale aveva anche rivelato l’esistenza di indagini a suo carico».
È ancora Pasquale Motta, che si interessa anche alle Comunali del 2019, a dare una chiave di lettura di ciò che si annida dietro la competizione elettorale. Il giornalista definisce il candidato sindaco Tonino Albi «un “purista”». Albi «avrebbe dovuto essere un mero prestanome per garantire al Motta stesso il controllo indisturbato sul governo comunale».

La conversazione intercettata è chiarissima: «Abbiamo un purista noi adesso… non è che… non ha capito che ancora… un altro poco… ora si deve piegare… ora lo sto facendo ballare un po’ quando poi siamo con… che siamo».

Nella tornata elettorale del 2019 viene meno l’apporto di Ferlaino. Le liste sono soltanto due: la prima, sostenuta da Pasquale Motta, con Tonino Albi come candidato sindaco, vede tra i candidati anche gli uomini (Salvatore Grandinetti e Francesco Cardamone) che la Dda considera vicini a Bagalà; l’altra, formata dalla ex sindaco Fernanda Gigliotti, già sconfitta nel corso delle precedenti elezioni da Massimo Pandolfo, appoggiata da Vittorio Macchione («intenzionato a mantenere uno stabile controllo sull’amministrazione comunale», secondo quanto si legge nell’ordinanza) che vi candidava il proprio figlio.

Nella civica “Unione popolare nocerese” convivono due anime. Gli inquirenti lo sottolineano quando spiegano che nella lista «si candidava anche l’ex consigliere di maggioranza Salvatore Grandinetti, eletto alle precedenti elezioni grazie all’appoggio decisivo di Carmelo Bagalà, che concludeva un accordo politico con Pasquale Motta…

«A favore della lista capeggiata da Tonino Albi» e «di fatto controllata da Pasquale Motta» si schierano anche Domenico e Fernando Aragona, entrambi considerati vicini al boss Carmelo Bagalà. I due, secondo quanto segnalano i magistrati, avrebbero svolto «un’attivissima campagna elettorale in favore del candidato Francesco Cardamone» grazie al «lauto consenso elettorale vantato in ragione della loro attività di custodi del villaggio Nuova Temesa».

Nella serrata campagna elettorale nocerese, anche le notifiche sui social danno soddisfazione. E Cardamone ne segnala una a Pasquale Motta «nella quale Ferdinando… Aragona manda un messaggio con scritto: pagina alla grande!». «Eh, ma Ferdinando il padre di Domenico? Quindi l’ha fatto pubblicamente», risponde il giornalista. Che, davanti alla conferma del carabiniere, replica: «Perfetto! Perfetto!». Anche in questo caso, l’appoggio politico sarebbe tutt’altro che disinteressato. Gli Aragona aiutano Cardamone perché temono che il responsabile dell’Area amministrativa del Comune, che sostiene una lista avversa, revochi loro («li aveva espressamente minacciati») la concessione demaniale per l’occupazione di un lido. In effetti era già partito un procedimento in autotutela.

E «un’ulteriore intercettazione captata tra Pasquale Motta e Francesco Cardamone», conferma che quest’ultimo «aveva rivolto a suo vantaggio la minaccia veicolata dal Macchione agli Aragona, a cui aveva promesso che, in caso di buon esito delle elezioni, avrebbe fatto il modo di garantirgli il mantenimento della concessione». In una lunga telefonata, Cardamone rassicura Motta, che non si fidava troppo degli Aragona.

Il voto premia Tonino Albi con 1.519 voti pari al 51,6% delle preferenze. Anche Cardamone ottiene un grosso successo elettorale «e, dopo alcuni dissidi interni alla coalizione vincitrice» viene nominato vicesindaco «come in precedenza promessogli da Motta» che rimane «il dominus occulto della coalizione vincitrice», tanto da dichiarare «come avrebbe distribuito i vari incarichi e chi avrebbe rimosso poiché non gli era stato fedele alle elezioni». Anche sulle concessioni demaniali le promesse vengono mantenute: vanno definitivamente agli Aragona. Il gip considera «pacifica e incontroversa» l’esistenza di un accordo tra gli Aragona, «ritenuti appartenenti al sodalizio criminale capeggiato da Bagalà» e il carabiniere Francesco Cardamone, “designato” vicesindaco dal “regista” Pasquale Motta…
E ora aspettiamo la prossima puntata…