Omicidio Bergamini, il depistaggio di stato parte dalla squadra mobile di Palermo

Arnaldo La Barbera e Luciano Conte

Prima o poi questo momento doveva arrivare e la legge del tempo oggi ci dice che sono passati trenta lunghissimi anni dall’omicidio di Denis Bergamini, che qualcuno ancora tenta disperatamente di far passare per suicidio. Il nostro Campione invece è stato assassinato e se per trent’anni non è stata fatta giustizia, è solo perché lo stato ha coperto le gravissime responsabilità di alcuni suoi pezzi deviati e “coperti” da personaggi insospettabili e temuti da tutti. Che sono talmente forti da essere riusciti, con un tempismo incredibile, a far trasferire dal Csm il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla, titolare del caso.

La storia d’Italia, purtroppo, nel corso degli anni, è diventata tristemente piena di casi simili a quelli di Denis. L’omicidio di Stefano Cucchi, così come quello di Federico Aldrovandi, tanto per citare gli ultimi casi eclatanti confermano, di fatto, quello che abbiamo sempre sostenuto: lo stato quando è colpevole copre, con menzogne e gravi abusi, le proprie responsabilità. Lo stato assolve quasi sempre, anche di fronte a colpevolezza certa, se stesso. Lo stato nel 90% dei casi non condanna mai lo stato.

Ed è qui, in questo groviglio di responsabilità taciute e verità inconfessabili, che la Giustizia prende una brutta piega. A difesa dell’impunità dello stato un muro di omertà eretto da chi lo stato rappresenta: politici, alti dirigenti pubblici, magistrati, forze di polizia e, come vedremo, servizi segreti deviati massimi esperti in depistaggi. Ma stavolta, con la sentenza di primo grado per l’omicidio di Stefano Cucchi, le cose sono andate in maniera diversa. Tuttavia nessuno può dimenticare quello che è accaduto in questi dieci lunghissimi anni.

“I panni sporchi si lavano in famiglia” sembra essere il motto più adatto per alcuni rappresentanti dello stato. Ed è a questo punto che si inserisce l’insperato aiuto che ci è arrivato da qualcuno che proprio non se la sente di rassegnarsi a questo andazzo. Sono passati ormai diversi mesi da quando abbiamo ricevuto il messaggio che oggi ci siamo decisi a pubblicare. Speravamo che non ce ne fosse bisogno, speravamo che arrivassero – prima della pubblicazione – le richieste di rinvio a giudizio della procura di Castrovillari ma è del tutto evidente che c’è bisogno di una spiegazione plausibile per trent’anni di coperture e allora, come ci dice chiaramente la legge del tempo, è arrivato il momento di tirare fuori quello che abbiamo tenuto accuratamente da parte.

Ecco il messaggio di cui parliamo.

Gabriele buonasera, ho letto l’articolo della testata giornalistica cosentina Iacchite’ circa il trasferimento del marito di quella donna il cui nome non voglio neppure nominare. Il marito, il poliziotto Luciano Conte, è stato trasferito a Lamezia Terme in seguito alla sua iscrizione nel registro degli indagati. Anche io lavoro a Lamezia e non mi è stato difficile appurare chi è questo soggetto.

Parlando dei tredici anni di servizio che costui ha svolto nella squadra mobile di Palermo ha confidato a più di un collega, probabilmente per intimidire e far sapere chi è, di essere stato a strettissimo contatto con Arnaldo La Barbera, all’epoca vicequestore aggiunto di Palermo, capo della squadra mobile e numero 3 dei servizi segreti civili alle dirette dipendenze di Bruno Contrada all’epoca numero 2 dei servizi e questore di Palermo. Le dico tutte queste cose perché conosco molto bene la storia di La Barbera, in quanto implicato nel depistaggio seguito all’attentato perpetrato ai danni di Paolo Borsellino e della sua scorta. Il La Barbera è deceduto, ma da quanto si evince oggi dai processi depistò volutamente le indagini sull’attentato al fine di impedire l’individuazione dei responsabili, costruendo ad arte anche falsi pentiti. La similitudine con quanto avvenuto nella vicenda di Denis mi ha fatto riflettere, perché è chiaro che fin dai primi momenti troppi elementi vennero trascurati inspiegabilmente facendo prendere improbabili strade alle indagini ed ai processi. Chissà che questo non possa essere un elemento nuovo…

Ho pensato che questo potesse essere uno di quelli che aveva la forza per coprirlo… Deve sapere che negli anni Ottanta a Palermo venivano integrati nel Sisde personaggi incredibili come fossero cleenex… Molti furono “arruolati” tra le file della polizia…

E’ evidente che chi scrive è un poliziotto che non ce l’ha fatta a tenersi dentro quello che pensava e l’ha esternato con l’onestà che dovrebbe avere chiunque rappresenti lo stato. Ad integrazione di quanto ha scritto questo servitore onesto dello stato, è opportuno a questo punto ricordare organicamente chi era Arnaldo La Barbera.

CHI ERA LA BARBERA Nel periodo palermitano, La Barbera si è occupato delle investigazioni riguardanti il fallito attentato dell’Addaura, l’omicidio Agostino e le stragi di Capaci e Via D’Amelio. Su queste ultime due indagini, per le quali venne formata con decreto ministeriale la squadra “Falcone e Borsellino”,  La Barbera fu tristemente noto per aver gestito il falso pentito Scarantino e aver avuto forti dissidi con il vicequestore e consulente Gioacchino Genchi, che di quella squadra faceva parte. Negli anni successivi, fino ad arrivare ai cruenti episodi della Diaz, La Barbera ricoprì diversi incarichi fino alla morte, nel 2002, periodo nel quale ricopriva la carica di vice segretario del Cesis, l’organo di coordinamento tra i due servizi segreti.

Le motivazioni riguardanti le sentenze dei processi per la strage di via D’Amelio confermano che alcuni investigatori guidati dall’allora capo della squadra mobile di Palermo Arnaldo La Barbera dissero a Scarantino cosa confessare, dopo aver ricevuto delle informazioni su come fu effettivamente organizzata la strage da «ulteriori fonti rimaste occulte» : furono queste informazioni a rendere credibili le testimonianze di Scarantino e altri “falsi pentiti”. In particolare su La Barbera, morto di tumore il 12 dicembre 2002, le motivazioni della sentenza dicono che ebbe un «ruolo fondamentale nella costruzione delle false collaborazioni con la giustizia ed è stato altresì intensamente coinvolto nella sparizione dell’agenda rossa di Paolo Borsellino, come è evidenziato dalla sua reazione, connotata da una inaudita aggressività, nei confronti di Lucia Borsellino, impegnata in una coraggiosa opera di ricerca della verità sulla morte del padre». E ancora, che ci fu «un proposito criminoso determinato essenzialmente dall’attività degli investigatori, che esercitarono in modo distorto i loro poteri».

Secondo il fascicolo trovato dai pm di Caltanissetta, La Barbera, in codice Rutilius, inizia a collaborare come informatore dall’anno 1987, anno in cui Falcone comincia ad addentrarsi nel “nuovo mondo” all’indomani del successo del maxi processo. E’ l’anno di inizio delle “umiliazioni” per il magistrato che porteranno alla triplice bocciatura della guida dell’ufficio istruzione, dell’alto commissariato anti-mafia e del CSM. Di lì a poco La Barbera verrà a dirigere la Squadra mobile e finirà per indagare sull’Addaura, su Agostino fino ad arrivare alle stragi. Il poliziotto non si farà scrupoli ad arrestare mafiosi di alto rango come i Madonia, condurre operazioni anti-mafia delicate, in cooperazione con lo SCO e la Criminapol e a tirare fuori la pistola per uccidere criminali quando si trova in situazioni delicate e casuali. Insomma, il poliziotto non è un colluso ma un uomo che arresta i mafiosi e aggredisce i criminali.

Quando però si tratta di fatti eclatanti, come l’omicidio Agostino o la strage di Via D’Amelio, le sue indagini toppano. Si passa dalle piste passionali, ai falsi pentiti o al passaggio di dossier falsi ai giornalisti. Se è vera questa discrasia tra i fatti di ordinaria mafia e i fatti che riguardano, invece, le menti raffinatissime non si può non pensare che egli collaborasse con i servizi proprio nel momento in cui i servizi pongono attenzione sulle pericolose indagini di Falcone che avrebbero potuto minare questioni di ordine geopolitico e strategico. E ciò giustificherebbe i depistaggi che sarebbero tesi a non portare gli inquirenti verso notizie e informazioni destabilizzanti e sensibili all’inquadratura geostrategica della nostra nazione.

Denis Bergamini in azione a Como (settembre 1989)

In poche parole, La Barbera non sarebbe nient’altro che uno dei tanti agenti “sotto copertura” inviati a controllare il campo minato delle indagini di quel periodo e proprio in questo arco temporale avviene anche l’omicidio di Denis Bergamini con il coinvolgimento di uno dei suoi uomini. Del resto, La Barbera è così potente che, dopo il periodo palermitano, che termina nel 1997, va a ricoprire la carica di questore di Napoli, con la stessa mansione va a dirigere la questura di Roma per poi traslocare all’Ucigos, dove viene indagato per i fatti della Diaz, e terminerà la sua carrierà al Cesis come vicedirettore.

Arnaldo La Barbera è in polizia fin dal 1972, entratovi dopo un incontro diremmo “vocazionale” con il commissario Luigi Calabresi. Si dimette dalla Montedison in cui lavorava e si arruola. Sarà uno dei protagonisti della storia italiana degli ultimi anni, al centro di molti dei gangli irrisolti del nostro passato recente, dalle stragi di mafia ai fatti della Diaz di Genova.

POLIZIOTTO, AGENTE SEGRETO – In Sicilia arriva nel 1985, a Palermo, ma per una missione estemporanea: intanto dirige la Squadra Mobile di Venezia, negli anni in cui Felice Maniero e la mala del Brenta terrorizzano il nordest. Nell’88 viene trasferito a Palermo in pianta stabile: di nuovo, come direttore della Squadra Mobile. Perchè? E’ qui che la nuova rivelazione di Repubblica entra in gioco. Secondo il fascicolo rinvenuto dalla procura di Caltanissetta, La Barbera avrebbe avuto un doppio incarico: ufficialmente, capo della Mobile; in realtà, “fonte Catullo” dei servizi segreti. Una nuova pista, di cui non si sa di più, ma che secondo Attilio Bolzoni che ne scrive su Repubblica, muovendo dal libro “L’Agenda Nera” dei giornalisti Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizzo, “potrebbe dare una sterzata decisiva a tutte le inchieste sui massacri di mafia avvenuti in quella stagione in Sicilia”. La Barbera sarebbe stato sul libro paga dei servizi fin dall’86: potrebbe aver spinto un pentito, Vincenzo Scarantino, a mentire per “sviare le indagini”. Inoltre, La Barbera avrebbe ordinato un’ispezione non autorizzata nella casa di Nino Agostino, uno dei due presunti agenti “salvatori” di Giovanni Falcone all’Addaura, inviando un suo agente di fiducia a sequestrare e distruggere carte compromettenti contenute nell’armadio di Agostino. Insomma, rivelazioni davvero molto gravi.

GENOVA, IL G8 – Ci sono versioni discordanti sul suo coinvolgimento nei fatti della scuola Diaz. Per il vicecapo della Polizia di allora, Ansoino Andreassi, La Barbera era davanti alla scuola e ne dirigeva il blitz. Perchè “con il suo arrivo a Genova saltò tutta la catena di comando. La Barbera era una figura carismatica, per cui fu percepito da tutti come un capo.” Il superpoliziotto di Falcone e Borsellino insomma, arrivato a Genova, è in grado di comandare ai suoi superiori. In una delle sue ultime interviste da vivo, però, La Barbera conferma, ma smentisce: era d’accordo ad entrare violentemente alla scuola Diaz, in teoria, ma giunto sul posto, e valutata la situazione, lo sconsigliò. E il capo della mobile, Vincenzo Canterini, che era formalmente alla guida delle operazioni, non tenne conto del “consiglio” – ed era in suo diritto farlo, sosteneva La Barbera. “A Genova” precisava “mi sono sempre limitato a rivolgere raccomandazioni e consigli, che in questo caso sono stati disattesi, ma era solo un mero consiglio e in quanto tale non comportava alcun obbligo di obbedienza”. In effetti, Gianni de Gennaro è stato poi rinviato a giudizionel 2007 per aver consigliato a tutti gli agenti coinvolti di scaricare la responsabilità del blitz su Arnaldo La Barbera, nel frattempo morto e dunque incapace di difendersi.

IL TRASFERIMENTO – Dopo i fatti di Genova, La Barbera era stato intanto trasferito. Claudio Scajola, allora al ministero dell’Interno, aveva ritenuto prudente cambiare la destinazione di un personaggio coinvolto nei fatti di Genova, e lo aveva riassegnato dall’antiterrorismo al Cesis, la struttura di collegamento fra il SISDE e il SISMI. Come direttore del Cesis Arnaldo La Barbera muore di tumore a Verona, a soli 60 anni, nel 2002, celebrato da tutti gli onori e dalle più alte istituzioni dello stato.

Questo è quanto. Noi non sappiamo se qualche spiffero di queste storie aiuterà chi indaga sull’omicidio di Denis Bergamini a fare chiarezza anche sulle “coperture” di cui hanno goduto e ancora godono gli assassini. Ma è del tutto evidente che la verità e la giustizia passano dalla conoscenza di questi livelli alti e anche in questo caso la legge del tempo ci dice che il momento potrebbe essere arrivato. Tradotto in soldoni: quando il poliziotto Luciano Conte ha bisogno di “proteggere” la sua donna – il cui nome neanche vogliamo nominare – non può che rivolgersi al suo “capo” e tutto quello che è accaduto lascia pensare che questo soggetto sia riuscito pienamente nel suo intento. Almeno finora…