(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – Ieri, mentre guidavo, in una rassegna stampa radiofonica ho ascoltato questa citazione da un articolo di Giuliano Ferrara sul Foglio: “Ora che sta per soccombere eroicamente, ora che sta per essere annientato, il battaglione nazionalista Azov, schierato a difesa di una patria che nazisti sovietici e russi hanno cercato di mangiarsi viva, merita tutto il rispetto che meritano tutti i soldati da leggenda”. Caspita, ho pensato frenando di colpo con il rischio di un tamponamento a catena. Sarà che tutte le opinioni di Giuliano Ferrara mi emozionano, perché in esse trovo nutrimento intellettuale e quei fecondi interrogativi capaci di ribaltare la vecchia e consumata favolistica. Per esempio, con la prudente definizione di “battaglione nazionalista”, nel porre l’accento sulla vocazione patriottica di quei valorosi, si fa giustizia della nomea nazista che è stata loro appiccicata dalla perfida disinformatia dell’aggressore, subito raccattata dai nostrani pifferai di Putin.
Certo, ci dice Ferrara con informazioni di prima mano, tra quegli indomiti può esserci “qualche curvaiolo della Dinamo Kiev, tatuato con la svastika. E dunque?”. Infatti, se anche tra quei “soldati di leggenda” fosse diffusa l’innocente abitudine di addobbarsi con svastiche, croci runiche e tatuaggi delle SS non sono forse gli stessi simboli che ritroviamo nelle curve della nostra Serie A (dove peraltro non risulta che abitualmente leggano Immanuel Kant, come invece uno dei coraggiosi Azov rivelò in una memorabile intervista a Repubblica lucidando il mitra)? Insomma, tutti coloro che collegano la croce uncinata, per esempio, all’Olocausto possono dormire sonni tranquilli. Che poi questi “combattenti delle moderne Termopili” (chiamati dagli ucraini chissà perché “uomini in nero”) siano indicati in un rapporto Osce come “responsabili dell’uccisione di massa di prigionieri, di occultamento di cadaveri nelle fosse comuni e dell’uso sistematico di tecniche di tortura fisica e psicologica” è perché signora mia “la guerra è la cosa più brutta che ci sia” (Ferrara). Nell’augurarci che gli ardimentosi di Mariupol non soccombano (e magari siano eroicamente impegnati in manovre diversive) attendiamo con ansia il seguito dell’epopea Azov sul Foglio. Titolo: anche Hitler ha fatto cose buone.