Perché è sbagliato indignarsi per Checco (di Stefano Bartezzaghi)

di Stefano Bartezzaghi

Fonte: Repubblica

Il 2 febbraio è il “Giorno della marmotta”. È la festa del presagio primaverile in Nord America, ma dopo il film Ricomincio da capo è anche il giorno che si ripete ciclicamente, l’emblema narrativo di un eterno ritorno allucinato. Il 2 febbraio di quest’anno era ieri e già le cifre con cui si poteva scrivere la data mostravano una ripetitività ossessionata: 2/2/2022. Ieri sera Checco Zalone è salito sul palco dell’Ariston ed è stato subito marmotta.

Il meccanismo è di grande semplicità. La comicità si basa su stereotipi e li deforma, da che mondo è mondo: il pagliaccio è un adulto che però si mostra goffo, commette strafalcioni e pasticci peggio di un bambino. I bambini ridono. Non è che si offendono perché il fatto che commettano strafalcioni e pasticci è uno stereotipo su cui è inaccettabile scherzare.

Viviamo però in un mondo in cui pronunciare una certa parola o non pronunciarla è già schierarsi. Così il semplice meccanismo della comicità manda in crisi il sistema, perché oggi mettere in scena lo stereotipo significa già aderirvi, anzi promuoverlo. Significa: cioè viene interpretato come se. Il senso comune viene così promosso a buon senso e il fatto platealmente evidente che lo scopo della messinscena è quello di riderci sopra non solo non scongiura l’interpretazione drammatizzante, ma la rafforza, diventa un aggravio. Chiusura del cerchio: il comico viene esaltato da chi condivide lo stereotipo anziché da chi dovrebbe godere della sua messa in ridicolo.

Già, il senso del ridicolo. Dov’è? Nell’eterno ritorno del giorno della marmotta italiana, il problema di Zalone non è tanto l’incomprensione degli offesi dalla pagliacciata. Il suo problema è l’applauso di Mario Adinolfi (rimasto entusiasta dallo sketch, ha paragonato Zalone ad Alberto Sordi, ndr). Ma, giudicando a occhio, Zalone saprà ridere sopra anche a quello.