Pizzo, il nodo dello smaltimento dei fanghi: da 7 anni non ci sono dati

Le contraddizioni di una regione la cui principale risorsa è l’industria turistica. Infatti se da una parte si parla e si ri-parla del rilancio del settore, si sbandierano i numeri delle presenze e delle prenotazioni, dall’altra poca importanza si dà all’ambiente, alla salute del mare in cui per troppo tempo si è scaricato di tutto.
Esempio lampante delle violazioni perpetrate l’enorme quantità di fanghi liberati negli anni nelle acque marine e non correttamente smaltiti e le altrettanto enormi quantità che oggi intasano i depuratori limitandone o addirittura bloccandone il funzionamento. E non si tratta di qualche quintale, ma di centinaia di migliaia di tonnellate di fanghi. A Pizzo, per esempio, la quantità di fanghi in “giacenza” sarebbe inimmaginabile (si parla di qualcosa come cento tonnellate) ed è ben comprensibile il danno che l’immissione in mare provocherebbe.

Le attività in corso – che vedono agire in sinergia le procure di Vibo e Lamezia, la Regione, l’Arpacal e le forze dell’ordine – hanno fatto emergere il problema in tutta la sua gravità considerato che i fanghi non sono altro che il prodotto degli impianti di depurazione nel ciclo di trattamento dei liquami. Un aspetto che fa emergere un intreccio di responsabilità ai vari livelli mai assunte finora da nessuno. In primis dall’Ato 4 di Vibo Valentia (sciolto nel dicembre 2011), che gestiva buona parte della depurazione vibonese, più volte chiamato in causa per non aver comunicato agli enti i relativi dati.

Basti considerare che il report della Regione, sebbene risulti aggiornato al gennaio 2019, nei fatti è fermo al 2015. Ciò significa che in tutti questi anni i Comuni non hanno comunicato i dati di produzione e quelli di smaltimento. Ma anche rimanendo al 2015, è sparuto il numero dei Comuni che hanno diligentemente riempito il Modello unico di dichiarazione inoltrandolo al Dipartimento Ambiente della Regione. Solo 4 su 50.

Nell’agosto 2016 un report di Legambiente metteva a nudo il problema ma la questione, di fatto, veniva archiviata e nessuno si prendeva la briga di capire cosa stesse succedendo. Nel frattempo, infatti, di smaltimento in siti autorizzati neanche a parlarne e si è preferito liberarsi di tonnellate e tonnellate di materiali scaricandoli – in questo caso a costo zero – direttamente in mare. Quando le maglie dei controlli si sono strette, i fanghi hanno intasato i depuratori, tranne qualche comune come Tropea che è riuscito a smaltire la quantità di fanghi stipati nell’impianto di Argani, gli altri si sono ritrovati a dover fare i conti con montagne di fanghi miste a sabbia, considerata l’impossibilità di ricorrere ai vecchi e collaudati “metodi”… Insomma, una strada ancora tutta in salita nonostante le dichiarazioni di guerra agli inquinatori seriali. Una svolta a cui ha dato l’inputi il procuratore di Vibo Camillo Falvo, il quale, davanti al disastro della passata stagione balneare, ha colto e ascoltato le denunce non solo dei bagnanti ma anche degli ambientalisti. Fonte: Gazzetta del Sud