L’ex direttore de L’Economist analizza il ritorno del Cavaliere e spiega perché il capo dei Cinque Stelle potrebbe rivelarsi un leader
«Non ho cambiato idea: Berlusconi rimane inadatto a governare l’Italia, ma, visto lo scenario, potrebbe diventarne il salvatore». Bill Emmott, 61 anni, usa ancora quella parola così efficace, che nel 2001 fece il giro del mondo. «Unfit», inadatto. Ma, forse, nel 2018, al posto giusto nel momento giusto.
Il giornalista britannico, che da direttore de L’Economist firmò la celebre copertina dal titolo «Why Berlusconi is unfit to lead Italy» (un’inchiesta sui motivi per cui Berlusconi era inadatto a governare l’Italia), ha fatto discutere per un’editoriale pubblicato giovedì sul sito Project Syndicate, in cui ipotizza il ritorno del Cavaliere non solo come protagonista, ma come regista del nuovo Governo italiano.
Il ragionamento di Emmott, che segue da sempre con attenzione le vicende italiane, è semplice: con una legge elettorale che rende quasi impossibile la proclamazione di un vincitore, dopo il 4 marzo il Cavaliere potrà «scegliere direttamente il premier o, più probabile, essere l’uomo chiave nei negoziati per un governo di coalizione tra centrodestra e centrosinistra». Entrambi gli esiti sarebbero comunque più rassicuranti per l’Europa dell’alternativa: un governo a guida Movimento 5 Stelle.
«E se Silvio Berlusconi finisse per essere il salvatore politico dell’Italia? Non escludetelo», conclude Emmott, che definisce il leader di Forza Italia come il «kingmaker». «Mancano ancora otto settimane alle elezioni. E lui è sempre stato abilissimo in campagna elettorale».
Scrive che negli ultimi mesi ha ‘ammorbidito’ la sua immagine.
«Si è concentrato sui diritti degli animali e delle persone più anziane, cercando di allargare il suo elettorato. E si sta tenendo lontano delle lotte quotidiane tra i protagonisti della vita italiana, accreditandosi agli italiani e al mondo come un vecchio saggio, un consigliere esperto da ascoltare».
Insomma, è il ritorno del Caimano.
«Attenzione, però. E’ un ritorno politico, ancor prima che popolare, dovuto più alla sua abilità nel costruire alleanze e coalizioni, che al suo gradimento. Il suo partito, che una volta conquistava il 25%, adesso è fermo è al 16% nei sondaggi».
Ad aiutarlo c’è la Lega di Salvini.
«Un politico capace di presentarsi come meno estremista e più rassicurante di quello che realmente è».
E c’è anche Matteo Renzi, in calo di gradimenti con il suo Pd. Cos’ha sbagliato secondo lei?
«A non indire le elezioni tra il 2014 e il 2015. Al culmine della sua popolarità, avrebbe potuto ottenere un mandato popolare per costruire il futuro dell’Italia».
Solo questo?
«Paga il fatto di essere percepito come arrogante, poco disponibile all’ascolto e impossibilitato a creare una grande coalizione».
Scrive che un governo di coalizione, con Berlusconi da ago della bilancia, sarebbe di gran lunga più gradito dalle cancellerie del Vecchio Continente. Qual è la più grande paura dell’Europa?
«Un governo a guida Movimento 5 Stelle, che decida di rompere il patto fiscale e mettere in dubbio il trattato dell’Euro».
Definirebbe i 5 Stelle più «radicali» di Berlusconi?
«Sì. Sono molto più maturi e moderati rispetto al 2013, ma parlano di misure radicali in tema di tasse e welfare. In sé non è una caratteristica negativa, ma è piuttosto difficile da attuare senza alleanze».
I 5 Stelle potrebbero arrivare al 40% e governare da soli.
«Non penso sia probabile, ma con le elezioni americane e il referendum sulla Brexit, ho imparato a non fare previsioni, specie a due mesi di distanza».
Eugenio Scalfari, il fondatore di Repubblica, ha dichiarato che tra Berlusconi e Di Maio, sceglierebbe il primo. Lei?
«Se fossi costretto, io invece scegliere Di Maio».
Come mai?
«Perché conosco Berlusconi: so che non è un buon leader per l’Italia. Perché lui rappresenta il passato, e Di Maio il futuro. Il capo M5S è giovane e inesperto, ma molti giovani e inesperti, come Justine Trudeau o lo stesso Renzi, si sono poi rivelati dei leader. Lo conosco poco, non posso già dire che sia inadatto per governare l’Italia».
A proposito, come creò quella copertina del 2001?
«In realtà io quella settimana ero in vacanza (ride). Avevo ovviamente ideato e seguito il lavoro di inchiesta su Berlusconi. Feci diverse riunioni per coordinare il servizio e concordare con i miei collaboratori la posizione da prendere. Ma la settimana in cui si doveva confezionare la copertina, scegliere la foto e il titolo, io ero in ferie».
Non vide neanche il titolo prima della pubblicazione?
«No, mi sono sempre fidato del mio vice direttore. Mi ero dato questa regola: quando ero in vacanza, lasciavo tutte le decisioni a lui. E ha sempre funzionato».
Saggia regola. Dopo la copertina, il Cavaliere la querelò e perse. L’ha mai incontrato?
«Solo una volta, nel 2012. Stavo girando un documentario sull’Italia berlusconiana, Girlfriend in a coma. Mi avvicinai a lui alla fine di una conferenza. Gli strinsi la mano e non gliela mollai per qualche secondo, per non farlo fuggire. Gli chiesi se pensava ancora che fossi un comunista».
Cosa le rispose?
«”Non l’ho mai pensato, ciascuno deve fare la sua parte”».
Cos’altro gli disse?
«Lo informai che stavo facendo un documentario sull’Italia. Mi rispose che era a disposizione per farsi intervistare e offrirmi la sua interpretazione delle cose».
Gentile.
«In realtà quando chiesi l’intervista, dal suo staff declinarono ogni richiesta. Dissero che avevo capito male io».
Ed era così?
«No, anche perché le parole di Berlusconi (“Sarò a sua disposizione con molto piacere”) erano state filmate. L’unica volta che l’ho incontrato, il Cavaliere mi ha detto una bugia. Tipico del personaggio».