Politiche 2018: Magorno è impresentabile, su di lui pesanti indizi di mafiosità

Certo è che questo Pd è peggio di Tafazzi. Oggi è la giornata decisiva per le candidature e tutti sono volati a Roma. A cominciare da don Ernesto Magorno, la cui candidatura potrebbe addirittura rientrare nel “listino bloccato”. Un insipido personaggio che altro non ha fatto che produrre guai, in primis al Pd e poi a tutti i calabresi. E nonostante ciò c’è chi avalla la sua candidatura. C’è chi lo vuole di nuovo in Parlamento. Se non è tafazzismo questo, ditemi voi cos’è.

Magorno è uno dei personaggi più chiacchierati del Pd in Calabria, e nello specifico in tutto il cosentino. Chi è, e quali sono le “voci che corrono” su don Ernesto, ve lo facciamo dire direttamente dal direttore del Corriere della Calabria Paolo Pollichieni che, in un suo editoriale del venerdì 22 Luglio 2016 dal titolo “L’autogol di Aieta e quel parlamentare Pd “a braccetto” con Muto”, così scriveva.

“… Addirittura abbiamo pensato che Aieta, che certe cose le avrà sentite dire da sindaco di Cetraro, potesse riferirsi alla difficoltà di stare in un partito, il Pd, del quale un autorevole rappresentante si ritroverebbe in queste ore al centro di indagini della Dda per via dell’assidua frequentazione con un boss della sanità privata cetrarese sospettato di essere intestatario di cliniche per conto dei Muto. Si ha notizia, infatti, di un parlamentare calabrese del Pd, purtroppo un omissis copre ancora il suo nome, che avrebbe scorrazzato per il Cosentino utilizzando un’autovettura di proprietà del facoltoso imprenditore privato oggetto delle indagini della Procura distrettuale di Catanzaro (si scoprirà in seguito che il facoltoso imprenditore privato è il proprietario della omonima clinica privata “Tricarico” di Belvedere Marittimo, ndr).

Peccato, per il parlamentare, che quella macchina era imbottita di “cimici” piazzate dalla Dda e quindi ecco narrate agli inquirenti, le aspettative del boss, i suoi interessi, la necessità di contare sul territorio. Anche per il trasferimento di una dirigente amica all’interno delle Poste italiane, il boss chiede e il parlamentare esegue…”.

A riprendere la notizia, non solo noi, ma anche alcune testate giornalistiche nazionali quali “Il Giornale” che, in un articolo a firma Felice Manti del 31/07/2016,  aggiunge qualche altro piccante particolare (da leggere tutto):

“… Nei palazzi del potere calabresi non si parla d’altro da giorni. Chi è quel parlamentare Pd della provincia di Cosenza pizzicato nella macchina del presunto prestanome del boss cosentino Franco Muto, detto il re del pesce? E soprattutto, che cosa avrà detto di così compromettente? Già perché, contrariamente al «mutismo» dello storico capocosca che per 30 anni ha spadroneggiato nella zona, il politico dem in macchina si sarebbe «aperto» a dichiarazioni pericolosissime e si sarebbe vantato di aver fatto favori agli amici e agli amici degli amici.

Di lui si sa che ha avuto (e ha) un importante incarico nel partito e in una delle amministrazioni locali sfiorate dall’inchiesta.

Facciamo un po’ d’ordine. Dalle indagini della Direzione distrettuale antimafia calabrese che hanno permesso di sgominare la storica cosca di ‘ndrangheta è emerso che il clan Muto avrebbe avuto forti interessi sulla sanità calabrese, che da quelle parti è (ma sarebbe meglio dire era…) un po’ come la Fiat a Torino: una macchina dove girano un sacco di soldi. Il clan Muto infatti avrebbe messo le mani su alcuni ospedali del Cosentino, quelli di Paola e Cetraro in particolare, e di diverse strutture private che, secondo le indagini della Dda, sarebbero sotto il controllo del clan. E l’autovettura concessa «in prestito» (sembrerebbe una Peugeot nera) al parlamentare del partito del presidente del Consiglio, peraltro pare di strettissima osservanza renziana, apparterrebbe proprio a uno dei manager della società privata che i pm antimafia sospettano essere soltanto un pupo nelle mani dei Muto.

I giornali locali sono scatenati, in particolare il Corriere della Calabria diretto da Paolo Pollichieni, vecchia volpe del giornalismo calabrese sin dai tempi della stagione dei sequestri, che evidentemente sa qualcosa in più di quello che c’è scritto nelle carte: «Un parlamentare calabrese del Pd avrebbe scorrazzato per il Cosentino utilizzando un’autovettura (…) imbottita di cimici piazzate dalla Dda e quindi ecco narrate agli inquirenti, le aspettative del boss, i suoi interessi, la necessità di contare sul territorio. Anche per il trasferimento di una dirigente amica all’interno delle Poste italiane, il boss chiede e il parlamentare esegue». La palla adesso passa a Matteo Renzi, che era in Calabria qualche giorno fa. Aspetterà che il nome esca dai pm (indaga la procura di Catanzaro, diretta da Nicola Gratteri, che Renzi voleva Guardasigilli) o farà pulizia nel suo partito prima che glielo ordini un magistrato?“.

Ora mettiamo insieme gli indizi:

Si parla evidentemente dell’alto Tirreno cosentino, dove i carabinieri dei Ros tenevano sotto controllo la cosca Muto in un’indagine sfociata poi nell’operazione “Frontiera” del 19 luglio del 2016 con l’arresto di 58 esponenti del clan. Da notare che l’editoriale di Pollichieni arriva 3 giorni dopo l’operazione condotta da Gratteri. E Magorno guarda caso è nato proprio a Diamante e risulta l’unico deputato del Pd eletto in quella zona. Si dice che è un renziano di stretta osservanza, e Magorno è un renziano della prima ora. Si dice che ha avuto incarichi dal partito, ed infatti è segretario regionale del Pd, si parla di incarichi nell’amministrazione locale e Magorno è stato sindaco di Diamante dal 2007 al 2013. E poi c’è la Peugeot nera che taglia la testa al toro perché risulta in uso alla clinica privata Tricarico di Belvedere. Se non è di lui che si parla ditemi voi chi altro potrebbe essere questo deputato del Pd dell’alto Tirreno cosentino.

Ovviamente di questo verbale di cui parla Pollichieni non si è saputo più niente. Le intercettazioni sparite e la DDA non ha promosso nessuna altra azione mirata a scoprire la verità. Tutto è finito a tarallucci e vino. Come vi abbiamo già raccontato. L’inchiesta su Magorno era gestita da Luberto.

Sempre il direttore Pollichieni in un suo ultimo editoriale sul duo Minniti/Gratteri, oltre a sottolineare l’amicizia tra i due, poneva una sola distinzione: uno fa il magistrato e per  arrestare le persone ha bisogno di prove, l’altro è un politico che per fare pulizia all’interno del suo partito ha bisogno di molto meno.

Ricandidare uno come Magorno, alla luce di questi enormi dubbi, è l’operazione pulizia tanto auspicata? A me non pare.

GdD