Politiche 2022. L’ultimo saltafosso dei Pittellas, i due fratelli del trasformismo

(DI ANTONELLO CAPORALE – Il Fatto Quotidiano) – Gianni e Marcello Pittella, e prima di loro Domenico, don Mimì, e dopo di loro l’ultimo Domenico, e dietro di loro mamme e cugini e tutto il resto del mondo, tutto quello che esprime Lauria, il paese che divide la Basilicata dalla Calabria, la montagna dal mare.

I Pittella stanno infatti alla Lucania come Matera ai Sassi. I primi tre, insieme, hanno fatto tutto il possibile e il pensabile: quando Domenico – medico chirurgo, il capostipite – animava il territorio da senatore socialista (eletto dal dal ’72 all’83), Gianni, il primo figlio, medico chirurgo, si allenava da consigliere comunale, e poco dopo Marcello, fratello junior e medico chirurgo, si fiondava alla Provincia di Potenza per capire come si riusciva a fare i voti facendo del bene e qualche volta anche del male. Poi Gianni fu eletto deputato. A quel punto Marcello divenne sindaco di Lauria e Gianni, che oggi è sindaco di Lauria, divenne assessore regionale e a quel punto anche Marcello divenne consigliere regionale e poi assessore regionale. Allora Gianni divenne eurodeputato. Allora Marcello divenne governatore della Basilicata. Allora Gianni divenne capo del gruppo socialista al Parlamento europeo. Allora Marcello…

“Mi hanno spremuto come un limone e poi buttato nel cestino”, ha appena detto Marcello al Foglio, che gli domandava abbastanza incuriosito le ragioni del passaggio dal Pd, partito di cui è stato cemento armato, portavoce, portavoti e poltronista, ad Azione, il terzo polo. Semplice, ha detto Marcello: ambiva a essere candidato al Parlamento, dato che suo fratello Gianni aveva deciso di chiudere col Parlamento e dedicarsi a Lauria, la terra natia. Ma il Pd lo ha fregato, anzi lo ha veramente fatto incavolare perché gli ha preferito Vito De Filippo, già governatore come lui ma figlio di una corrente più in vista, di agganci miracolosi. “E io?”. Lui che – da governatore della Regione – si era fatto gli arresti domiciliari per un’accusa di falso, di aver raccomandato troppo e troppo fuori dalla legge, ma quell’accusa era definitivamente caduta, “e io completamente prosciolto. Intanto mi ero dimesso. E ho superato anche la malattia, un tumore del midollo osseo. E tutti a dirmi, se vincerai con la magistratura e la salute sarai risarcito per quello che hai subìto. Invece niente”.

Ma un Parlamento senza un Pittella che Parlamento sarebbe? “Sarà una festa di popolo e di libertà. Grazie Carlo Calenda, grazie Mara Carfagna e Matteo Richetti”, scrive ai followers.

Immediatamente Gianni, sempre su facebook: “C’è Marcello candidato, mio fratello”.

Cosicché la voglia riformatrice ha avuto la meglio, e Pittella senior ha scelto di rendere pan per focaccia “alla sinistra massimalista”, trasformando il Pd, enorme espositore di poltrone, in un fustello bolscevico al servizio di Enrico Letta “che ha molto sbagliato con mio fratello”.

Sia Gianni che Marcello sono noti arraffavoti, cavalli di razza nell’esercizio del potere pubblico e nella sua declinazione anche clientelare, anche familistica. E sono stati, per tutti questi anni, renziani in sonno. Renzi, al tempo in cui comandava il Pd, volle Gianni capolista alle Europee. Era il 2014: “Matteo mi ha detto: dovete portare il Mezzogiorno in Europa e noi lo porteremo”. Gianni si caricò sulla scheda Pina Picierno e realizzò un meraviglioso ticket della vittoria.

Marcello era governatore e già così renziano, così ottimista. Era così sicuro di sé, fiero di sé che la regione, al tempo in cui lui la governava, immaginò un murales lungo duecento metri per illustrare ai visitatori distratti le radici di quella bellissima terra. Al centro del murales, secondo il progetto, il volto di Marcello. Ai lati il resto del mondo. Un battaglione di magnifici writers avrebbe illuminato la geografia politica lucana. Costo dell’opera: 180 mila euro.

Un polverone si alzò, il centrodestra gridò allo scandalo, rese Marcello simile a Kim il coreano, lo chiamò despota e in mille altri modi. L’allora rappresentante dell’opposizione di destra, il verboso Gianni Rosa, lo apostrofò come peggio non si poteva. “Sei un pezzo di merda”, disse Marcello. La Regione però revocò il finanziamento, il murales coreano non si fece e tutto rientrò.

“Lascio la politica attiva, ho ricevuto tutto dal Pd, torno alla mia terra”. Così disse Gianni quando l’anno scorso decise di tornare al punto dal quale era partito: Lauria, sindaco del suo paese, anzi podestà per meriti familiari.

Poi il 20 luglio scorso tutto è cambiato. Con le elezioni l’appetito è ritornato a tutti.

A Marcello: “Volevo essere risarcito, come mi avevano detto e promesso”.- A Gianni: “Volevo un partito fieramente riformista e non massimalista. Amico di Calenda e di Renzi”.

E invece a Roma hanno considerato i Pittellas come acqua passata, hanno scelto, su suggerimento di Peppe Provenzano, il giovane Salvatore La Regina, segretario regionale, come capolista. “Lui ci aveva invece assicurato che era fuori”, ricorda Marcello. Poi Letta ha voluto un posto sicuro per l’ex governatore De Filippo. “E qui Enrico ha sbagliato”, ha spiegato Gianni. E quando il nome di La Regina è saltato Pittella, l’aspirante, si è visto trafiggere da Enzo Amendola, il paracadutato romano.

Mara Carfagna, in cerca di arraffavoti, “di gente che conosca il territorio, diciamo meglio, che ne sia espressione, diciamo ancora meglio, che sappia cos’è la passione e la militanza” ha chiamato Marcello. E lui? “Faremo festa”, ha scritto nel post su facebook.

E Gianni, colui che doveva andare in pensione, il giorno dopo ha aggiunto: “Io sto con mio fratello Marcello, il Terzo polo è il germoglio del riformismo”.

Riformismo o anche trasformismo. What else?