POLSI, L’IDENTITA’ DI UN POPOLO
(un attacco che viene da lontano)
di Gioacchino Criaco
Quando il popolo dei boschi aveva un posto nel mondo, un luogo che li univa, li faceva incontrare, che riempieva pance e anime. Allora, l’Aspromonte non era un paradiso, anzi faceva sputare sangue alla sua gente, regalava qualche boccone di pane al costo di enormi fatiche. Il monte Lucente non era però un inferno e non produceva diavoli da esportare. Il massiccio calabrese cresceva i suoi figli con il sudore della fronte, generava pastori e carbonai, c’era la cronaca nera come a ogni latitudine, perché come dappertutto c’è una parte di male nell’uomo, un fatto ineluttabile.
Un tempo forse la Calabria era sconosciuta al mondo, però non era additata come fonte di un male assoluto chiamato ‘ndrangheta. Venne poi l’ora del progresso e il capitale arrivò anche fra le selvagge valli aspromontane, cavò via, in un modo o in un altro, i figli dei boschi dalle loro valli. I montanari non ebbero più un posto nel mondo, ma miseri rifugi urbani, fra le mani si ritrovarono pinze e tenaglie e non le rosee mammelle delle capre. In tanti diventarono cattivi, inutile negarlo, e tanti innocenti ne patirono il male. La storia d’Aspromonte diventò misera cronaca nera, riempì per decenni le pagine dei giornali e gli spazi dei servizi televisivi. Un tempo i calabresi avevano un posto nel mondo, era come La Mecca per i musulmani, tutti ci dovevano passare e tutti lo facevano; mangiavano, bevevano e ballavano sino allo sfinimento.
Poi pregavano la Vergine dei Monti per una fatica meno dura e non per soldi o ambizioni spropositate. Pregavano in modo strano, nell’unico che conoscevano, non perfettamente in linea con i canoni della Chiesa. Dietro la Croce del vescovo Turpino intravedevano le gesta dei paladini di Riccardo cuor di leone. Fra le vesti della Vergine ammiravano le fattezze morbide della Fata Morgana. Univano gli Dei a Dio e sacrificavano gli uni all’altro. Scannavano le bestie nel fiume e si facevano benedire il cibo. Purgavano le sofferenze di un anno ed erano pronti a sopportare le pene dell’anno a venire. Si baciavano e si abbracciavano, riconoscendosi come fratelli e il mondo esterno non aveva di che temere. Un tempo i figli dell’Aspromonte sapevano che la loro montagna era un essere vivente, un principio fondante.
Allora i montanari erano Amadriadi, le ninfe che perivano per restare fedeli a un’idea. C’era una volta Polsi, che rappresentava l’identità di un popolo, che alimentava le sue speranze e alleviava il dolore. Era un percorso tortuoso, una strada fra le infinite vie del Signore che in tanti hanno cercato di distruggere ma che è ancora percorribile. Tutti dovrebbero avere a cuore la ricostruzione di quella strada, perché se il popolo calabrese tornasse a ritrovarsi tutti ne gioverebbero. L’Aspromonte tornerebbe Lucente e la smetterebbe di essere Aspro, i suoi figli tornerebbero Amadriadi e non Driadi, si accontenterebbero di una fatica meno dura. La ‘ndrangheta non ci sarebbe più, perché quando il popolo dei boschi aveva un posto nel mondo la mafia non esisteva…
E’ un pezzo del 30 agosto 2012…
per dire che non è che uno se ne accorge adesso, lo sappiamo da sempre dove ci vogliono portare.
Polsi è l’argomento centrale, pure delle regionali in arrivo. E’ il nodo vero se si vuol parlare di aree interne, di stare. Rompere il legame con la terra è l’abbandono definitivo. Ma c’è un terrore evidente nei più a parlarne. La foto è di Angelo Maggio









