di Agostino Laudani
Fonte: Focus Sicilia
Ponte sullo Stretto ed espropri di case e terreni: cosa fare? Il Ponte sullo Stretto non sappiamo quando si vedrà, ma le prime cose che si vedranno saranno gli espropri delle aree sulle quali si prevede sorgano tutte le opere. Si tratta di centinaia di particelle catastali e oltre 300 edifici da demolire, dislocati soprattutto nei territori dei comuni di Messina e Villa San Giovanni. Ad oggi, queste aree sono state congelate con l’apposizione di “vincoli preordinati all’esproprio” risalenti al 2003, più volte reiterai e ultimamente confermati nel 2023 dal governo nazionale. Questi vincoli sono il presupposto necessario per arrivare al successivo decreto di espropriazione. La procedura di espropriazione vera e propria si avvierà con l’approvazione del progetto definitivo del Ponte da parte della società Stretto di Messina Spa e poi del Comitato interministeriale per la programmazione economica e lo sviluppo sostenibile (Cipess). Contestualmente all’adozione del progetto, viene infatti approvata la dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. È in questa fase che si parte con gli espropri.
Nessuna comunicazione personale agli espropriati
L’interesse verso il rischio concreto di un esproprio per i cittadini proprietari di terreni e case nelle aree del Ponte si è riacceso negli ultimi mesi. L’Anptes (Associazione nazionale per la tutela degli espropriati) è tra i diversi organismi che assistono i cittadini in queste procedure. Dall’associazione confermano di aver già ricevuto decine di mail e telefonate da parte di proprietari di abitazioni sia sulla sponda siciliana che su quella calabra, preoccupati per quanto potrebbe avvenire. “Nell’errata convinzione che l’opera non sarà mai avviata, come spesso succede in Italia – sottolinea l’avvocato Livia Gugliotta, consulente Anptes – purtroppo gli espropriati potenziali tendono ad attendere una comunicazione formale da parte dell’ente espropriante. Questo atteggiamento rischia di pregiudicare i propri diritti, perché un intervento tempestivo è fondamentale“. Infatti, quando l’esproprio interessa più di 50 soggetti (ed è il caso del Ponte), l’Amministrazione ne dà notizia solo con la pubblicazione all’Albo pretorio dei Comuni interessati e con un “trafiletto” sui quotidiani. Non è tenuta a dare comunicazioni personali ai singoli espropriati.
Una materia complessa e poco conosciuta
Il diritto delle espropriazioni ha diversi riferimenti (a cominciare dal relativo Testo unico) ma è una materia molto complessa e poco conosciuta. Entrano in gioco norme italiane ed europee, persino la Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo (Cedu). Quest’ultima tutela i beni non soltanto per il contenuto patrimoniale, ma perché rientrano nella categoria dei “diritti umani inviolabili”. Su questo punto si sono infranti molti “tentativi dello Stato italiano di espropriare i cittadini senza corrispondere un giusto indennizzo, tentativi tutti stroncati inesorabilmente dalla Corte Europea“, spiegano dall’Anptes. Secondo il Testo unico, dopo che è stata dichiarata la pubblica utilità dell’opera, l’ente promotore dell’espropriazione ha 30 giorni di tempo per compilare l’elenco dei beni da espropriare, con una descrizione sommaria, e dei relativi proprietari. L’ente indica le somme che offre per le espropriazioni. L’espropriato ha sempre la possibilità di dialogare con l’autorità espropriante e avanzare le proprie osservazioni. Questo “dialogo” tende e mira a evitare il contenzioso.
Aprire un “dialogo” con l’ente espropriante
Il “dialogo” può essere avviato ancora prima che l’ente offra le indennità. In questo caso l’espropriato può presentare un documento qualificato che contenga la descrizione del bene, delle indennità di esproprio e del procedimento sulla base di dati certi, leggi e sentenze italiane ed europee, perché l’ente ne tenga conto nella valutazione del bene da espropriare. Il documento è una “radiografia” della proprietà, che contiene tutti gli elementi per una adeguata stima del bene. Ad esempio se l’area è agricola, edificabile, edificata o se c’è attività d’impresa. Con o senza questo intervento preliminare del proprietario, l’ente determinerà una indennità provvisoria e il proprietario riceverà a questo punto una comunicazione personale. Avrà 30 giorni di tempo per accettare la proposta o per rifiutarla. Se accetta, incassa la somma e il procedimento si chiude, in modo irreversibile.
Accordo su indennità o ricorso a Tar o Corte d’Appello
Se invece il proprietario non accetta (il silenzio equivale al rifiuto), può intanto incassare l’indennità proposta, a titolo di acconto. E ha 30 giorni per decidere se far determinare l’indennità definitiva ad una terna arbitrale o alla Commissione provinciale espropri che, a loro volta, hanno 90 giorni di tempo per determinare l’indennità definitiva. Se anche tale indennità risulta insoddisfacente, l’espropriato potrà proporre ricorso in Corte d’Appello, aprendo così la fase giudiziaria. Contro i singoli atti, l’espropriato può sempre proporre ricorso al Tribunale amministrativo regionale entro 60 giorni. Anche questo va però valutato con grande attenzione. È chiaro che l’assistenza di un esperto è fondamentale per affrontare correttamente tutto il percorso.