Ponte sullo Stretto, non calcolato l’impatto sul debito pubblico: così muore la città metropolitana

di Dario Balotta, esperto trasporti e ambiente

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Per giustificare la costruzione del ponte sullo stretto di Messina sono stati sovrastimati vantaggi, traffico, occupazione e sottostimati i costi. E’ il classico metodo dei proponenti di grandi e piccole opere pubbliche. Senza contare i rischi tecnici, mai calcolati da organismi terzi che possano dare assicurazioni, non di parte, realizzate in un contesto di oggettiva difficoltà per la sua lunghezza e rischio sismico.

Esempi clamorosi sono il crollo del Ponte Morandi, avvenuto dopo 57 anni di vita, e il deragliamento di pochi anni fa nel tunnel alpino più lungo d’Europa, il traforo ferroviario del Gottardo: nell’agosto del 2023 un treno merci deragliò e il tunnel rimase chiuso oltre un anno fino al settembre del 2024 rallentando l’interscambio commerciale nord-sud Europa. La rottura di una ruota di un carro merci aveva causato il deragliamento di un treno, lungo 750 metri, alto 4 e dal peso di 2.000 tonnellate, nella galleria di base del Gottardo. Cosa succederebbe in caso di un possibile deragliamento sul ponte dello stretto?

Nel caso di questa grande opera, costata 7 miliardi di euro, c’è un piccolo “particolare” da evidenziare: per decidere di fare il tunnel gli svizzeri avevano indetto un referendum e successivamente ideato un meccanismo di finanziamento innovativo e sostenibile (65% con una tassa sui Tir che viaggiavano in Svizzera, 25% di accisa sulla benzina e 10% Iva). In Italia invece si punta ancora sul collaudato e deresponsabilizzante sistema del “debito pubblico”, tutti colpevoli nessuno colpevole, pagano i contribuenti.

La Commissione Tecnica, per la realizzazione del Ponte sullo Stretto di Messina, non include volutamente economisti tra i suoi membri. La commissione è principalmente composta da esperti in ingegneria e infrastrutture, come ingegneri strutturisti, geotecnici ed esperti di mobilità. Meglio tener lontani gli economisti, come pure gli esperti di ambiente! Neppure un vero dibattito pubblico è stato messo in cantiere per un’opera dai costi esorbitanti e dai tempi di realizzazione molto lunghi.

Anche dal punto di vista amministrativo le criticità non mancano. A farle notare è stata l’Anac. Se un contratto viene ripristinato e il valore supera del 50% l’importo originario, è obbligatorio bandire una nuova gara pubblica. Il progetto iniziale valeva circa 4,5 miliardi. Oggi si stima che l’opera potrebbe superare i 13,5 miliardi di euro, molto al di là del limite consentito dalla normativa comunitaria.

Altro punto critico riguarda la concentrazione di potere contrattuale nelle mani di un solo soggetto: il costruttore Webuild. Ciò potrebbe generare un sistema di controllo e di gestione del progetto che elimina la concorrenza e mette a repentaglio l’intera filiera, sia organizzativa che legale. Su tale questione c’è una grave carenza da segnalare: ancora si attende il pronunciamento della Commissione Antitrust.

Ci vorranno oltre 30 anni per recuperare l’investimento per la costruzione del ponte, a dirlo è uno studio di Unimpresa che ha analizzato il progetto. Un’ipotesi ottimistica. Perché il governo non dice quale sarà l’impatto dell’opera sul debito pubblico? Il modello economico su cui è stato realizzato è di una tariffa media per veicolo pari a 15 euro – 10 euro per le auto, 20 euro invece per i camion – con una distribuzione ipotetica del traffico al 50% tra mezzi leggeri e pesanti. Il valore commerciale del traffico ferroviario è stimato pari al 30% del totale.

A parte la divisione del traffico veicolare fatta a spanne, l’unica certezza sarà quella che i costi di realizzazione saranno a carico del debito pubblico e quelli di manutenzione verranno sostenuti dai pedaggi del poco traffico ferroviario, cioè ancora dallo Stato. La stima del Consorzio sulla circolazione del ponte di 200 treni giornalieri è eccessiva, sia perché tale traffico merci e passeggeri è attualmente ben al di sotto, sia perché l’attraversamento a bassa velocità, per garantirne la stabilità e la sicurezza in particolare per quanto riguarda eventuali vibrazioni o oscillazioni, dimezzerà il numero dei treni.

L’attraversamento dello stretto ridurrebbe i tempi di percorrenza del traffico di lunga distanza (quelli che hanno meno bisogno di essere accelerati), ma costituirebbe la fine della nascita della città metropolitana dello stretto (Reggio-Messina), mancando un traghettamento veloce come quello attuale. I tempi di collegamento e i costi rispetto ai traghetti urbani sarebbero nettamente superiori ai traghettamenti urbani Reggio Calabria-Messina e viceversa.

Tra le due aree urbane dello stretto si muovono circa 20mila persone al giorno: utilizzando il treno o l’auto sul ponte, i tempi di percorrenza aumenterebbero di oltre 30 minuti con tariffe insostenibili, in particolare per i pendolari data la consistente distanza dell’infrastruttura da Reggio. Sulla Manica, altra storia, i traghetti da Calais e Dunkirk (Francia) per Dover o Folkestone (Uk) sono rimasti nonostante l’Eurotunnel. Qui invece se ne prevede la cancellazione.