STORIA DI ORDINARIO MALCOSTUME
Girovagare sul web offre interessanti spunti di riflessione anche nelle torride serate di mezza estate, quando i paesi e le città si svuotano di macchine e di persone per il fine settimana.
Quando insomma pensi di dover trascorrere una noiosa e solitaria serata estiva ecco che invece t’imbatti in una conversazione su Facebook che fa risalire repentinamente la curva della tua attenzione, che attira negativamente la tua mente, tanto è scurrile e sguaiata.
Ad un post pubblicato sul profilo Facebook del dott. Salvatore Morrone, che poi si è scoperto essere stato candidato a sindaco del PD, ora capogruppo di opposizione del piccolo comune di Casole Bruzio, seguono alcuni commenti di due professioniste che prestano servizio presso il Pronto Soccorse dell’Ospedale Civile dell’Annunziata di Cosenza che lasciano basiti e disgustati.
Una direttrice sanitaria che intende la sanità pubblica come un’azienda privata da utilizzare a proprio piacimento. E una collega che le fa da sponda.
Le incivili “professioniste” fanno esplicito riferimento ad un malcostume della sanità calabrese – sicuramente diffuso fra i tre interlocutori – secondo il quale l’attesa in Pronto Soccorso per gli amici è ridotta al minimo, mentre per tutti gli altri è interminabile, nel vero senso della parola con l’aggiunta di un incredibile “….in sala d’aspetto devono restare…”.
Tanta, tanta attesa, oltre quella necessaria, s’intende: una sorta di sospensione punitiva.
Quando poi si candidano alle elezioni, a coloro ai quali sono convinti di aver fatto un favore chiedono pretenziosamente il sostegno, ai “nemici” invece, rei di essere solo avversari politici, “offrono” l’opportunità di sfruttare le ore che dovranno trascorrere in sala d’attesa come un momento di raccoglimento, occasione per espiare le proprie colpe.
Alle due maleducate “professioniste”, ricordiamo che sono dipendenti pubbliche e dunque lautamente stipendiate grazie ai contributi di noi cittadini, e che le loro affermazioni sono ben lungi da qualsivoglia regola di correttezza e deontologia professionale.
A loro sfugge – e per questo ci auguriamo che vengano presi seri provvedimenti nei confronti di queste sciagurate da parte dei loro superiori – che in Italia la sanità è pubblica e dunque se un cittadino ha bisogno di cure mediche, il personale sanitario ha il dovere di prestarle nel più breve tempo possibile.
Le cure mediche e il diritto alla salute in generale, come presupposto del godimento di tutti gli altri diritti, sono costituzionalmente garantiti e in quanto tali non rappresentano un favore elargito da alcuno ma un dovere professionale e morale. Purtroppo è di tutta evidenza che questi concetti, che attengono al basilare senso del viver civile, sono totalmente sconosciuti alle “spiritose” operatrici.