La botta è stata di quelle pesanti. Diciamolo pure, un fulmine a ciel sereno. A Domenico Antonio Maduli, deus ex machina del Gruppo Pubbliemme nonché editore della televisione-gabinetto del Pd, La C, dev’essere preso un coccolone quando ha visto sul giornale di Minniti non solo la notizia del nuovo arresto del suo “compare” Agostino Iacovo ma anche il dettaglio delle dichiarazioni del suo ex dipendente Francesco Brogna.
Più o meno le stesse sensazioni che aveva provato un annetto fa (il 6 aprile 2017 per la precisione) quando – sempre sullo stesso giornale di Minniti – aveva visto la sua foto insieme a quei due “galantuomini” di Ferrante e Spasari. Si tratta di due degli arrestati nell’ambito dell’operazione “Robin Hood” della DDA di Catanzaro che ha portato anche alle manette per il consigliere regionale Nazzareno Salerno. Quelli che rubavano ai poveri per dare i soldi ai ricchi. Altro che gli spinelli del pentito Silvio Gioia, sui quali ci siamo fatti una risata e ci siamo attaccati un’altra medaglia al petto.
Stavolta per “Merduli” sono volatili per diabetici. Il clima si fa pesante. Come se non fossero bastate le sibilline dichiarazioni di Gratteri, che aveva evocato l’ombra della ‘ndrangheta dietro giornali e tv di regime e come se non fosse bastato il “giro del mondo” della foto di Maduli con quei due pezzi di malacarne, ora arrivano anche per Maduli le testimonianze molto più che imbarazzanti che raccontano le storielle della gestione di Pubbliemme. Non c’è che dire: tutti cominciano a intravedere la verità sul “successo” di questo imprenditore che ha creduto di essere onnipotente solo perché ha dietro Madame Fifì, Palla Palla e Nicola Adamo.
Potremmo quasi chiamarlo “fuoco amico” per usare un termine molto in voga “là dove si puote”. E sappiamo bene che quando scatta la faida all’interno di quel locale di ‘ndrangheta che è il Pd, vuol dire che qualcosa si sta muovendo nella DDA. E mai come stavolta l’obiettivo dell’attacco a Maduli è politico. Perché lo sappiamo tutti chi lo foraggia e chi ne detta la linea editoriale. E dunque, questo nuovo attacco da “fuoco amico” puzza molto ma molto di più di bruciato di tanti altri.

Patetici i tentativi di difesa di Maduli, che si vanta di aver vinto una causa al Consiglio di Stato per i suoi tabelloni pubblicitari a Vibo Valentia ma dimentica di avere un’altra causa anche col Comune di Cosenza, che ancora reclama 1 milione e 800 mila euro di canoni non pagati. Signor Maduli, pretende di vincere anche questa causa al Consiglio di Stato senza scucire i soldini? Oppure pensa di fare come a Castrolibero dove fa “scambio merci” con Orlandino Greco alla faccia dei caggi?
Quanto alle frequentazioni del soggetto, finora pensavamo che si fosse fermato all’emissario del clan Muto di Cetraro ma a quanto pare la sua influenza è molto superiore e a poco serve il dichiararsi vittime in perfetto stile Madame Fifì.
Non c’è che dire: una gran bella “palata” come diciamo a Cosenza. Piglia e porta ara casa.