Quando l’elettore sa e vota gli impresentabili

(Milena Gabanelli e Tommaso Labate – corriere.it) – Ci sono volte in cui l’elettore viene tradito dall’eletto per cui ha espresso una preferenza, o dal partito che l’ha candidato, quando ormai è troppo tardi: succede di fronte ai cambi di casacca in corso di legislatura, ai tradimenti dei valori o del programma elettorale, alle condanne passate in giudicato. In questi casi all’elettore ferito non resta che rifarsi al prossimo appuntamento con le urne. Ma ci sono anche volte in cui l’elettore non può che prendersela con sé stesso. Tutte le volte in cui sapeva prima del voto delle criticità relative ad alcuni candidati, eppure li ha votati lo stesso, mandandoli alla Camera e al Senato.

Il caso Dessì, il ritiro promesso e mai avvenuto

Alle ultime elezioni del 2018, quelle che hanno espresso i deputati e i senatori tuttora in carica, c’erano delle situazioni «al limite» su cui gli elettori hanno deciso di sorvolare. Sono casi che riguardano non tutti i partiti ma la maggior parte. Sabato 3 febbraio 2018, l’allora capo politico del M5S Luigi di Maio consegna ai cronisti queste frasi: «Ho sentito Emanuele Dessì oggi e abbiamo prima di tutto convenuto che è incensurato, non è un impresentabile, ma lui stesso ha convenuto con grande senso di responsabilità che continuare a farsi strumentalizzare per attaccare il M5S non ha senso, quindi mi ha dichiarato la sua volontà di rinunciare alla sua candidatura e ha rinunciato alla sua eventuale elezione in Parlamento». Siamo nel pieno di una bufera sulle liste elettorali del Movimento Cinquestelle e a un mese esatto dalle elezioni politiche. Di di Dessì – candidato al numero 2 della lista proporzionale del Movimento nella circoscrizione Lazio 3 – si parla e si scrive ovunque per un vecchio video che lo ritrae insieme a un esponente del clan Spada di Ostia, per un vecchio post su Facebook in cui si era vantato di aver menato un rumeno che l’aveva insultato nella sua lingua (sua del rumeno), e del fatto che paga una manciata di euro d’affitto su una casa popolare che gli è stata assegnata. Ebbene, a dispetto delle promesse – sue a Di Maio e di Di Maio agli elettori – non ha rinunciato alla sua candidatura e men che meno all’elezione. Quattro anni dopo, Dessì siede a Palazzo Madama. Non sta più nei Cinquestelle, è diventato espressione del rinato Partito comunista, e il 21 marzo scorso si è rifiutato di ascoltare l’intervento di Zelensky in Parlamento.

I taroccatori di bonifici: Cecconi, Martelli e Buccarella

Dessì non è l’unico caso, e forse neanche il più grave, di parlamentare eletto nonostante criticità che erano emerse non a legislatura in corso, quando ormai era troppo tardi; bensì prima, quando si poteva scegliere. Perché a dispetto della vulgata, con la legge elettorale in vigore il cittadino può ancora decidere, forzando la volontà dei partiti: non votando un candidato che ritiene «impresentabile» all’uninominale, non votando liste che contengono nomi di candidati «impresentabili» soprattutto quando gli stessi figurano ai primi posti e sono facilmente eleggibili. Quasi cinquantamila elettori del collegio uninominale Marche 6 alle ultime elezioni hanno visto stampato sulla scheda elettorale il nome del Cinquestelle della prima ora Andrea Cecconi, e hanno messo una croce sul suo nome pur avendo appena scoperto (l’inchiesta era de Le Iene) che falsificava i bonifici con le restituzioni – destinate, come da promessa elettorale, all’ente per il microcredito – di parte dello stipendio. Forse si sono fidati dell’ennesimo giuramento di Cecconi, che una volta sorpreso aveva dichiarato «di rinunciare alla mia elezione, visto che il 4 marzo del 2018 cederò il passo e andranno avanti gli altri candidati che trovate nel listino». Cecconi non ha rinunciato ad un bel niente, e oggi è ancora alla Camera, anche se fuori dal gruppo Cinquestelle, da cui è stato espulso (ha traslocato nel Gruppo Misto). Lo stesso vale per altri candidati del Movimento scoperti a rendicontare bonifici di restituzione poi annullati nell’arco di tempo in cui è possibile farlo, cioè ventiquattr’ore. Tutti eletti, tutti siedono ancora in Parlamento, anche se hanno trovato riparo sotto altri tetti: Carlo Martelli (era capolista al Senato nella circoscrizione Piemonte 2, impossibile che non venisse eletto) oggi sta con ItalExit di Gianluigi Paragone; Maurizio Buccarella (capolista al Senato nella circoscrizione Puglia 2, come sopra) ha trovato ospitalità nella componente Leu del Gruppo Misto.

Le candidate anti-scienza: Ciprini e Cunial

Tiziana Ciprini (Collegio plurinominale Umbria, posto in lista numero 1, Movimento Cinquestelle) è stata confermata nel 2018 alla Camera dopo aver avanzato dubbi sul prestigio scientifico di Umberto Veronesi («Da lui non mi farei mai fare una mammografia») e sull’efficacia della chemioterapia contro cancro («Mi chiedo se sia veramente efficace, spesso dopo cinque anni c’è la morte, altri invece si salvano»). A Sara Cunial, di professione imprenditrice agricola, che a gennaio 2018 dichiara «i vaccini ai bambini? Un Genocidio gratuito», i Cinquestelle avevano riservato due posti (Plurinominale Veneto 2 e secondo collegio uninominale Veneto 2, sempre alla Camera) perché potesse mantener fede a Montecitorio al suo approccio anti-scientifico. Si è poi guadagnata l’espulsione dal gruppo, per finire addirittura citata in giudizio per oltraggio e minaccia a pubblico ufficiale a seguito di una manifestazione contro le misure anti Covid-19. Oggi alloggia nel Gruppo Misto. Le sue posizioni erano ben note all’elettorato, dunque, prima del voto del 2018.

Dopo le sentenze: Colla, Cecchetti e Sciascia

Ben 54.226 residenti del settimo collegio uninominale Lombardia 1 hanno messo, alle elezioni del 2018, la crocetta sul nome del leghista Jari Colla, che tre anni prima aveva restituito 36.657 euro e 30 centesimi di rimborsi che la Corte dei Conti aveva giudicato «non legati » alla sua attività di consigliere regionale della Lombardia, di cui oltre trentamila di soli ristoranti in soli due anni (2008-2010): eletto alla Camera. La condanna (1 anno e 8 mesi con pena sospesa e nessuna menzione) è arrivata solo nel 2019, la stessa del capogruppo al Senato della Lega Massimiliano Romeo; ma nel caso di Colla così come in quello di Fabrizio Cecchetti (collegio 4 della circoscrizione Lombardia 1, capolista, soldi restituiti 49mila euro), vista la sentenza della Corte dei Conti, l’elettore aveva avuto la possibilità di farsi un’idea già prima del voto. Come anche su Salvatore Sciascia (Forza Italia), condannato in via definitiva per corruzione nel 2001 (riabilitato nel 2005), rieletto in Senato nel 2018 grazie a oltre 110mila voti del collegio uninominale Lombardia 3.

I trasformisti e il segregazionista: Labriola, Caiata e Paolini

Gli elettori berlusconiani della Puglia hanno premiato invece Vincenza Labriola, secondo posto in lista nel proporzionale (circoscrizione Puglia 3). Nel 2013, appena eletta alla Camera nelle liste del M5S manifesta il suo pensiero: «con Berlusconi l’Italia è nel Medioevo». Pochi mesi dopo lascia il Movimento ed entra nel Gruppo Misto, per uscirne nel 2017 con una certezza: «sto con Berlusconi per rilanciare Taranto, siamo noi il vero cambiamento». Il candidato dal Movimento Cinquestelle Salvatore Caiata veniva dal Pdl, ma – pur sapendolo – i 60.706 elettori lucani hanno comunque espresso una preferenza per mandarlo a Montecitorio. Non si meraviglieranno se oggi siede tra i banchi di Fratelli d’Italia.

Rimane saldamente a destra Luca Paolini della Lega. Prima delle elezioni del 2018 aveva suggerito alle Società di Trasporto concessionarie «di prendere esempio dalla Alabama o Mississippi degli anni 50 e riservare alcuni posti a bianchi, anziani e italiani affinché possano viaggiare seduti, dopo aver pagato il biglietto». La segregazione è vietata dal ‘56 in Alabama, e la discriminazione razziale dall’art 3 della nostra Costituzione. Ma agli elettori della Lega della Circoscrizione Marche 2, l’idea deve essere piaciuta visto che hanno barrato il simbolo della lista in cui era capolista. E l’hanno eletto alla Camera.