Reddito di cittadinanza. Furbetti, ipocriti e… invidiosi (di Saverio Di Giorno)

di Saverio Di Giorno

170 furbetti in una manciata di chilometri quadrati nel territorio dell’Alto Tirreno Cosentino. Il numero si riferisce alle persone che avrebbero percepito l’assegno del reddito di cittadinanza pure non avendone bisogno. Tra questi anche un figlio di un sindaco ed un assessore sempre dell’Alto Tirreno Cosentino. Sui diretti interessati vige il più totale riserbo, anche perché si teme siano solo i primi 170. Un’indagine che in realtà non svela nulla di nuovo sul malcostume dei nostri territori, ma ne rimarca l’ipocrisia invece. Un territorio che ha reagito a questa notizia con un “bisogna togliere il reddito” invece che con un “bisogna che queste persone restituiscano il maltolto”. Ipocrisia appunto.

Vediamo cosa è venuto fuori dai dettagli finora emersi. L’assessore comunale, ad esempio, percepiva il sussidio prima di essere nominato dal sindaco del suo Comune e non ha comunicato il nuovo incarico all’Inps, riuscendo quindi a prendere sostegno e stipendio. In altri casi, invece, si è chiesto il sussidio omettendo di comunicare l’attività lavorativa o di sottoscrivere la “dichiarazione di immediata disponibilità al lavoro”. Alcuni soggetti, inoltre, secondo la Guardia di Finanza risultavano fiscalmente a carico di nuclei familiari differenti da quelli indicati nelle Dichiarazioni Uniche sostitutive; si sono cioè create residenze di comodo, fittizie, in maniera da escludere dal nucleo familiare il produttore di reddito. Tanti giochini che hanno fruttato un milione e trecentomila euro.

Ora che la disonestà sia un fenomeno diffuso non è, come si diceva, una novità. Quando c’è l’occasione è facile veder nascere un balcone abusivo, un capanno e via di questo passo: dunque perché bisogna applicare una logica diversa al reddito di cittadinanza? Oltre all’onestà però in questo caso si aggiunge l’ipocrisia. Perché ipocrisia? Generalmente quando viene pizzicato qualche furbo, la massa si inferocisce, ma non tanto per il fatto in sè, ma contro quell’individuo. Ci si scatena con commenti incivili del tipo “resti in carcere a vita” o peggio. Commenti che svelano un misto di rancore e invidia sociale. Commenti scritti da chi forse se ne avesse la possibilità farebbe lo stesso e scritti da chi raramente denuncia i fatti per cui si inviperisce.

Nel caso del reddito invece la situazione cambia. Le persone criticano la misura e non chi lo percepisce indebitamente. Ora chi critica questa misura? Una piccola percentuale sono seri, sono coloro che seriamente non credono all’utilità e sempre seriamente pensano che in questa nostra società tutti abbiamo le stesse possibilità e tutti i poveri hanno mezzi e forze per farcela da soli. Con questi si può discutere. Gli altri criticano la misura solo perché la vorrebbero e non ce l’hanno, a prescindere da tutto il resto. Il fatto che chi più ha – in una società che voglia dirsi tale – possa far qualcosa per chi ha meno non entrerà mai in testa a nessuno; si critica il reddito di cittadinanza, figurarsi se mai si arriverà ad un contributo di solidarietà o ad una patrimoniale. Ci sono imprenditori, ad esempio, che dicono che il reddito di cittadinanza toglie il lavoro: peccato che la somma media è 500 euro, quindi se toglie il lavoro il problema è dell’imprenditore che paga poco (che sfrutta!), non di chi con questo assegno può dire di no allo sfruttamento.

Sul nostro territorio la cosa poi è ancora più spudorata. Non sarebbe strano che tra questi 170 ci fosse proprio qualche imprenditore o amministratore (e spesso sono la stessa cosa) che pubblicamente poi ha criticato la misura. Che bisognerà pensare se tutto verrà accertato e risulterà che in mezzo c’è qualche imprenditore che non assicura dipendenti, che li tiene ad orari assurdi per pochi spicci? Che bisognerà pensare se magari – come spesso accade – questo imprenditore lavora anche grazie al fatto che ha parenti amministratori o tramite scambi vari? Che bisognerà pensare se la comunità dell’assessore o del sindaco il cui figlio percepiva il reddito sarà una comunità con emigrazione da far paura, povertà educativa e materiale? In questi casi la colpa è doppia. Prima crei le condizioni per cui ci sia bisogno di un reddito e poi te lo rubi? In questa maniera hai rubato due volte: materialmente e politicamente.

Ma i cittadini non discutono di queste implicazioni. In una terra in cui si parla alle spalle, ma non si denuncia a viso aperto, in cui tutti sono arrabbiati salvo poi salutare il politico di passaggio con deferenza è più facile prendersela con una misura comune (in varie forme) a vari paesi, che con i diretti responsabili. Anche perché alla fine bisogna tutti lavorare, curarsi e un voto vale anche una spesa al supermercato, vero?

Ah! Per chi se lo stesse chiedendo e pur di non focalizzarsi sull’articolo cambierà discorso: non c’è bisogno di votare i 5 stelle per pensarla in questo modo sul reddito. L’articolo è una riflessione sul territorio, non sulla misura.