Reggio. Il processo ‘Ndrangheta stragista e quella ”fastidiosa” ricerca della verità

di Aaron Pettinari

Fonte: Antimafia Duemila (https://www.antimafiaduemila.com/home/primo-piano/91926-il-processo-ndrangheta-stragista-e-quella-fastidiosa-ricerca-della-verita.html)

Da quando la Corte d’assise d’appello di Reggio Calabria, presieduta da Bruno Muscolo, su richiesta del Procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha dato il suo “ok” all’acquisizione dei collaboratori di giustizia Marcello Fondacaro e Girolamo Bruzzese, e per l’acquisizione di un verbale di Gerardo D’Urzo, deceduto nel 2014 nel carcere di Pavia, certa “stampa di regime” ha riacceso i propri interessi verso questo processo.
Basta leggere alcuni titoli di giornale dei giorni scorsi per capire quanto i detrattori e commentatori anti trattativa Stato-mafia temano anche questo processo che ha già avuto il grande merito di riscrivere una fetta di verità sulla stagione delle stragi spiegando come, e soprattutto perché, anche la ‘Ndrangheta abbia partecipato in maniera attiva assieme a Cosa nostra.
“Craxi e Berlusconi in un agrumeto coi boss”. Fantasie giudiziarie (scrive Il Foglio lo scorso 6 ottobre); “Il teorema del patto tra Stato e mafia (bocciato a Palermo) riesumato a Reggio Calabria” (ripete ancora Il Foglio il 7 ottobre); “‘Ndrangheta stragista: anche i pentiti si danno alla geopolitica” (insiste Il Dubbio il 4 ottobre).
E poi seguono una serie di considerazioni per dimostrare la non validità del processo che in primo grado ha già portato alla condanna all’ergastolo del boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e del boss di Melicucco Rocco Santo Filippone. Il tutto condito con riferimenti (almeno per Il Foglio) al processo di Palermo che, diversamente a quanto asserito, non ha affatto bocciato la trattativa. Nonostante le assoluzioni degli imputati eccellenti, infatti, nelle motivazioni della sentenza si parla di “iniziativa improvvida”, di “ibride alleanze” con l’ala moderata di Cosa nostra e di “rischio mal calcolato” della trattativa, che ha poi portato alle stragi del 1993. Evidentemente bisogna dedurre che tremila pagine da leggere erano troppe.
Ma torniamo al “fastidio” che il processo ‘Ndrangheta stragista, in corso a Reggio Calabria, genera un rinnovato interesse, accompagnato da malcontento.
Il motivo è presto detto.

Tra gli argomenti affrontati da quei tre collaboratori di giustizia, infatti, vi sono degli incontri che gli ex Premier Silvio Berlusconi e Bettino Craxi avrebbero avuto con i vertici della ‘Ndrangheta proprio per spingere l’ascesa politica dell’ex Cavaliere. Poi ancora i summit tra Cosa nostra e la criminalità organizzata calabrese per definire la strategia stragista, anche sul piano politico; il ruolo di Giuseppe Graviano; la delusione su Marcello Dell’Utri che non aveva mantenuto i patti; l’appoggio della massoneria occulta per il neonato partito politico Forza Italia.
In attesa di sentire in aula i pentiti oggi è stato audito Michelangelo Di Stefano, commissario capo della Dia di Reggio Calabria che ha redatto l’informativa sui riscontri alle dichiarazioni dei predetti.

lombardo giuseppe c imagoeconomica 835870 Il pubblico ministero, Giuseppe Lombardo © Imagoeconomica

Primo tema, ovviamente, è stato quello delle spontanee dichiarazioni rese da Gerardo D’Urzo nel dicembre 2009 che avevano fatto seguito ad una missiva inviata all’avvocato Maria Claudia Conidi.
D’Urzo riferiva di un incontro che avrebbe riguardato uomini di ‘Ndrangheta e l’ex Presidente del Consiglio Silvio Berlusconi: “Una persona mi disse di un certo Valensise con altra persona della ‘Ndrangheta della jonica di essersi recati a Roma e di aver avuto un colloquio a Palazzo Grazioli con l’onorevole Silvio Berlusconi e questi gli disse al Valensise che quello che aveva promesso lo manteneva e dovevano stare tranquilli”.
Nell’informativa la Dia scrive che “i soggetti legati alla politica aventi cognome Valenzise e aventi interessi in Calabria sono stati identificati in Raffaele Valenzise (l’ex parlamentare dell’Msi e di An deceduto nel 1999, ndr) e Michele Valenzise (il diplomatico e segretario generale del Ministero degli Esteri dal 2012 al 2016, ndr)”.

L’attentato ad Angela Napoli
Per quanto riguarda, invece, il presunto attentato ai danni di Angela Napoli, Di Stefano ha spiegato che presso la Squadra Mobile di Reggio Calabria è stata rintracciata una missiva  del 13 maggio 2013, diretta all’allora Prefetto di Reggio Calabria Vittorio Piscitelli. In quella missiva si fa riferimento ad altre lettere che nel 2010 il D’Urzo ha inviato proprio alla Napoli.
La Dia ha quindi riscontrato che nel 1996 il D’Urzo fu detenuto a l’Asinara assieme ad Antonino Marchese ed Antonino Mangano.

I riscontri sulle dichiarazioni di Fondacaro
Il collaboratore di giustizia Marcello Fondacaro, che dovrà essere escusso prossimamente, ai magistrati ha dichiarato di aver fatto parte di una loggia massonica, la Giustinianea, che faceva riferimento a Corona ed al Grande Oriente d’Italia. “Parliamo della massoneria che faceva riferimento a Giulio Andreotti e che aveva tra i suoi protagonisti anche Alberto Santoro e l’ingegnere Loizzo di Cosenza, che è stato anche Gran Maestro di questa loggia alla fine degli anni ’90” ha dichiarato Fondacaro nell’aprile 2021.
Quindi parlava anche di altri soggetti appartenenti alla massoneria, professionisti ma anche figure di spicco di ‘Ndrangheta (come i Grandi Aracri) fino ad arrivare a Nino Gangemi.
Per quanto concerne le dichiarazioni del pentito su Silvio Berlusconi (“Io avevo sentito parlare di Berlusconi già negli anni 83/84 in relazione al suo progetto di acquisire società e ripetitori in Calabria per espandere la sua rete televisiva”). Il teste ha fatto riferimento a quanto già detto nella deposizione nel processo di primo grado sugli interessi radiotelevisivi delle aziende facenti capo a Silvio Berlusconi, e in riferimento alle figure di Angelo Sorrenti in particolare a Giovanni Polimeni: due imprenditori cresciuti grazie alle commesse della Fininvest sui ponti radio del segnale televisivo e ritenuti vicini anche alle famiglie di ‘Ndrangheta di Gioia Tauro.

berlusconi elicottero imagoeconomica 469622L’ex presidente del Consiglio, Silvio Berlusconi © Imagoeconomica

La vicenda del summit nell’agrumeto e l’arrivo di Craxi-Berlusconi
Per quanto riguarda Girolamo Bruzzese il commissario Di Stefano si è concentrato in particolare su quella parte di dichiarazioni che hanno riguardato i rapporti tra Cosa Nostra e ‘Ndrangheta, le guerre che ci sono state in seno ad entrambe le organizzazioni criminali, e l’inserimento di quei fatti all’interno di un contesto politico più allargato.
Già alla scorsa udienza il Procuratore aggiunto Lombardo (applicato al processo d’appello in rappresentanza della Procura generale) aveva ricordato le parole di Bruzzese su un incontro che sarebbe avvenuto nel 1978-1979, comunque dopo l’omicidio Moro, in un agrumeto. Tra i partecipanti a quella riunione di ‘Ndrangheta, oltre a Domenico Bruzzese, padre del collaboratore di giustizia, ci sarebbero stati: “Peppe PiromalliCiccio Albanese, Domenico Giovinazzo, tale ‘Ciccantonio Braghetta’Alvaro DomenicoGirolamo Mammoliti, Pasquale SciottoPeppe Raso detto ‘avvocato’, Peppe Pesce, Vincenzo Rositano”. “Mentre ero lì – aveva fatto mettere a verbale Girolamo Bruzzese – vidi giungere nell’agrumeto Bettino Craxi e Silvio Berlusconi, che ho riconosciuto per averli già visti in televisione. Al loro arrivo, mio padre mi fece allontanare su richiesta di Peppe Piromalli, facendomi accompagnare a casa da un suo uomo di fiducia”. Sempre il padre, dopo molti anni, gli “raccontò che Craxi e Berlusconi si erano recati al summit perché Craxi voleva lanciare politicamente Berlusconi e quindi per concordare un appoggio anche da parte delle cosche interessate alla spartizione dei soldi che lo Stato avrebbe riversato nel Mezzogiorno”.
Ove possibile, la Dia, ha cercato i riscontri sul piano documentale richiamando proprio l’informativa sulla vicenda Sorrenti ed i ponti Fininvest ed in particolare il passaggio in cui si evidenziava come “Il Presidente del Consiglio Craxi, nel corso della IX Legislatura (Craxi 1), si fece diretto promotore di una serie di provvedimenti in forma di decreto, con la singolare accezione di ‘decreto Berlusconi 1-2-3’, arrivando alla forzatura della  loro approvazione attraverso lo strumento della ‘questione di fiducia’, per poi convertire definitivamente l’efficacia con la L.4 febbraio1985, n.10;)”.

andreotti craxi img 12533Da sinistra: gli ex presidenti del Consiglio, Bettino Craxi e Giulio Andreotti © Imagoeconomica

La guerra di mafia e l’asse Cosa Nostra-‘Ndrangheta-Gelli-Usa
Secondo Di Stefano sicuramente una portata storico criminale possono avere le dichiarazioni di Bruzzese nel “ricostruire la collocazione di alcuni soggetti di vertice della ‘Ndrangheta, incaricati a vagliare le strategie delle due fazioni di Cosa Nostra che si trovavano, in quegli anni ’80, in netta contrapposizione: il gruppo dei Badalamenti-Inzerillo-Bontate avversi alle famiglie corleonesi dei Riina-Provenzano”. Quella guerra che era nata proprio con l’assassinio di Bontate il 23 aprile 1981.
In particolare Bruzzese ha affermato che Riina e Provenzano “non accettavano più la politica di Craxi ed Andreotti di contrapposizione agli Stati Uniti; questa politica era avversata anche dagli americani, ma soprattutto non andava bene a Licio Gelli, molto amico di Peppe Piromalli”. E poi ancora: “In questa contrapposizione le famiglie palermitane chiesero intervento a loro favore e contro i corleonesi ai De Stefano di Reggio Calabria. Fu Paolo De Stefano a portare la richiesta a tutte le famiglie ‘ndranghetiste, a lui formulata da tre emissari provenienti dalla Sicilia, uno dei quali era il nipote di Tano Badalamenti. A ricevere le richieste di De Stefano Paolo c’era anche Nino Gangemi, li quale dichiarò che, in caso di vittoria dei Corleonesi, avrebbero esposto a serio pericolo tutti gli affiliati ‘ndranghetisti presenti nelle varie carceri e quindi desistette dal fornire appoggio ai palermitani. In pratica l’alleanza delle cosche calabresi decise di schierarsi con Riina sia per tutelare i propri carcerati da possibili ritorsioni, sia perché condivideva la necessità di un mutamento a livello di politica nazionale, soprattutto ispirato da Gelli a Piromalli”.
Questo incontro, in base alla ricostruzione della Dia, “è da ricondursi necessariamente al periodo ‘finestra’ tra il 15 maggio 1982 e il 10 novembre 1982, periodo in cui tutti e tre i soggetti non erano detenuti.
Sempre Bruzzese ha riferito di aver appreso dal padre che “due degli emissari siciliani vennero uccisi da sicari corleonesi giunti appositamente, caricati nel cofano di un’alfetta e trasportati altrove (in Sicilia), non vennero sepolti nella Piana di Gioia Tauro. Mio padre era presente quando gli emissari siciliani riconobbero i sicari corleonesi e mi disse che uno dei due, a quel punto, prima di essere ammazzato si rivolse a Peppe Piromalli e, dopo aver pronunciato la frase ‘Compare Peppe, voi pure uomo siete’, gli sputò in faccia, senza che il Piromalli si scomponesse”.
Inoltre, di quella decisione presa Piromalli avrebbe reso “partecipi anche i Mancuso e i Pesce, nonché le famiglie della Jonica, perché certe decisioni vanno prese di comune accordo tra tutti i capi della ‘Ndrangheta, che comunque è una sola entità”.
Partendo dalla sentenza del Maxi Processo la Dia ha trovato dei riscontri sul piano temporale evidenziando come solo dopo la morte di Antonio e Benedetto Buscetta, nel settembre del 1982 vi fu un’impennata del conflitto.
“Il contesto temporale collima esattamente con il periodo finestra riguardante la riunione che sarebbe da datarsi tra il 15 maggio 1982 e il 10 novembre 1982 – si legge nel rapporto e Di Stefano lo ha ribadito in aula –  E’ evidente che i Badalamenti avessero avviato una serie di interlocuzioni dall’altra parte dello Stretto per acquisire manovalanza armata nella guerra che stavano affrontando contro i corleonesi; un dato che conferma in modo netto la ricostruzione storica del collaboratore Bruzzese”. Inoltre, nel periodo di interesse all’eliminazione degli emissari citati da Bruzzese, la Dia ha potuto riscontrare che nelle banche dati vi sono le scomparse di soggetti (almeno una trentina) che collimano nell’intervallo temporale. E’ chiaro, però, che non essendovi una sorta di “anagrafe criminale” dei partiti contrapposti, molte morti e scomparsi non sarebbero mai state formalmente ascritte alla contesa della guerra di mafia.

dia roma sede c imagoeconomica 753175© Imagoeconomica

Dunque Di Stefano, facendo un’analisi sul contesto politico effettivo del tempo, ha anche evidenziato alla Corte una serie di fatti che effettivamente mostravano come l’operato del governo Craxi, con Andreotti agli esteri, fosse in contrapposizione con la politica Usa e che cronologicamente entrano nel periodo storico della guerra di mafia.
“Tra il 1980-1981 l’intelligence italiana favorisce le elezioni americane in favore di Ronald Reagan, generando lo scandalo “Billy Gate”; il 6 marzo 1985 Bettino Craxi tiene un discorso al Congresso Usa criticando la politica di Reagan vicina al regime di Pinochet in Cile; il 7 ottobre 1985 il governo italiano si oppone manu militari alle forze statunitensi che dentro la base Nato di Sigonella avevano dirottato un aero che trasportava i terroristi della Achille Lauro, non consentendone il trasferimento negli Usa”.
Due giorni dopo, il 9 ottobre 1985, ha sottolineato sempre Di Stefano seguendo un ordine cronologico, “verrà rubata a Reggio Calabria, nel quartiere di Modena, una Fiat 500 poi utilizzata per l’attentato a Nino Imerti”; l’11 ottobre 1985 l’autobomba, con un detonatore dotato di telecomando, brillerà innescando la seconda guerra di ‘Ndrangheta. Il 13 ottobre 1985, in risposta all’attentato di Imerti, verrà eliminato Paolo De Stefano (garante della riunione degli emissari palermitani); Antonino Fiume dichiarerà nel processo Gotha che ‘i servizi fanno la guerra e fanno la pace’, indicando che all’attentato di Villa San Giovanni avrebbe partecipato un poliziotto, suggerendo di indagare sul tipo di esplosivo e sul telecomando utilizzato”.
“C’è l’eventualità che la questione attinente l’inizio della guerra di mafia a Reggio Calabria possa aver trovato un innesco diverso rispetto a ciò che finora è emerso – ha detto Di Stefano rispondendo ad una richiesta di chiarimento della Corte – Ci sono queste coincidenze temporali, e la circostanza detta da Fiume. In quel periodo, in buona sostanza, c’è una sorta di conflitto istituzionale che vede da una parte un governo, presieduto da Craxi e con agli esteri Andreotti, che sta tenendo una linea che è contro gli americani; dall’altra parte c’è un contesto criminale-massonico che vede Gelli e Delle Chiaie e i corleonesi che parteggiano per un’altra componente”.

E poi ha aggiunto: “Di certo si assiste ad un momento in cui l’orientamento dello Stato italiano assume una posizione di rottura verso gli Stati Uniti, che non avviene nel 1982. Avviene quando c’è la Nona legislatura con al vertice Craxi. E la stessa cosa avviene già prima ai tempi del Piano Solo, nel 1974, e l’interesse da parte di Moro sullo scenario contro il regime di Pinochet”.
Di Stefano ha quindi evidenziato come dopo il 1900 vi è stato un “concetto di geopolitica” che si evolve e che vede le linee ferroviarie come centrali sul piano strategico. E non è un caso che proprio le linee ferroviarie vengono colpite nel corso degli anni per dare un certo tipo di messaggi.
E’ avvenuto nel 1974, con l’attentato all’Italicus, treno in cui si trovava anche Moro che è stato fatto scendere poco prima della partenza. E’ accaduto nell’agosto 1980 con l’attentato alla stazione di Bologna, casualmente avvenuta il giorno successivo la chiusura dell’istruttoria del processo Italicus. E nuovamente è avvenuto nel 1984, con il Rapido 904.
Il funzionario Dia ha anche ricordato fatti come la perquisizione di villa Wanda di Gelli, in cui si trovarono gli elementi sulla P2, ed il documento, scritto in lingua americana e trovato nel giugno 1981, quando fu fermata a Fiumicino la figlia di Gelli, in cui si parlava della possibilità di utilizzare personale Stay Behind anche con azioni violente.
Il dibattimento riprenderà il prossimo 24 ottobre, con il prosieguo della testimonianza del vicequestore Di Stefano e l’avvio del controesame delle difese.