Dalle stragi di Capaci a via D’Amelio, agli attacchi contro i carabinieri in Calabria culminati con il duplice omicidio del 18 gennaio del 1994 sull’autostrada Salerno-Reggio Calabria dei carabinieri Antonio Fava e Giuseppe Garofalo ed i tentati omicidi dei carabinieri Vincenzo Pasqua, Silvio Ricciardo, Bartolomeo Musicò e Salvatore Serra, eseguiti da due giovanissimi killer della cosca di ‘ndrangheta dei Lo Giudice’, Giuseppe Calabro e Consolato Villani.
E’ il quadro ricostruito dalla Dda di Reggio Calabria, coordinata da Federico Cafiero de Raho, che ha portato oggi alla sbarra Giuseppe Graviano, boss del mandamento palermitano di ‘Brancaccio’ e Rocco Filippone, di 77 anni, di Melicucco, indicato dagli inquirenti come colui che, per conto della potente cosca Piromalli di Gioia Tauro, teneva i rapporti con la destra eversiva e la massoneria occulta. I due sono ritenuti i mandanti degli agguati ai carabinieri in Calabria, da inserire, secondo la Dda reggina, nella strategia stragista messa in atto da Cosa nostra tra il 1993 ed il 1994 con gli attentati a Firenze, Roma e Milano.
Il processo, scaturito dall’inchiesta denominata “‘ndrangheta stragista” coordinata dal procuratore aggiunto di Reggio Calabria Giuseppe Lombardo, è iniziato stamani davanti ai giudici della Corte d’assise di Reggio Calabria. A Rocco Filippone viene contestato anche il reato di associazione mafiosa in quanto ritenuto capo del suo clan, incaricato dai Piromalli di tenere i contatti e preparare i summit con i capi delle altre cosche calabresi “per rendere più efficaci le decisioni di particolare rilevanza criminale licenziate di volta in volta dalla ‘cupola’ mafiosa calabrese”.
Graviano – presente alla prima udienza in videoconferenza – e Filippone saranno dunque chiamati a rispondere su quella che gli inquirenti di Reggio Calabria definiscono come “l’univocità della strategia stragista e mafiosa”, con l’obiettivo di destabilizzare lo Stato e la democrazia. “Obiettivo – scrivono i giudici nelle loro ordinanze – che ‘ndrangheta e Cosa nostra condividevano, contrariamente a quanto finora creduto rispetto ad un rifiuto delle principali cosche della ‘ndrangheta (Piromalli, De Stefano e Papalia) alla richiesta di Totò Riina di entrare in guerra contro lo Stato”.
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