Rende, le nuove prove di Gratteri agitano Marcello Mazzetta e i suoi (sempre più… pochi) seguaci

Marcello Mazzetta è su tutte le furie. Sì, nonostante gli abbiano tolto la ridicola misura cautelare disposta dal “fratello” (di loggia) Gattopardo e sia ritornato nelle sue stanze al Comune, non è per niente tranquillo, anzi… Continua a sentirsi accerchiato perché persino la procura di Salerno ha chiesto per lui 6 anni (!) di reclusione per le mazzette a Petrini, poi c’è sempre la relazione della Commissione d’accesso che ha messo nero su bianco con tanto di prove sul fatto che nel Comune di Rende la massomafia regna sovrana e ci sono ancora bruttissime “novità” che arrivano direttamente dalla Dda di Catanzaro, che nel frattempo attende la nuova udienza al Riesame e non vede l’ora di rispedire ai domiciliari l’uomo che sussurra alle banconote dentro le bustarelle, preferibilmente bianche o gialle.

Ma procediamo con ordine. La prima battaglia di Marcello Mazzetta è concentrata sui 12 voti che gli servono per approvare il Psc (Piano strutturale comunale) ovvero i palazzi e il cemento per i suoi compari mafiosi, dai parenti di Patitucci e Artese al suo stesso cugino Massimino baffetto. I compari non vogliono sentire ragioni: si deve fare subito. Però, servono 12 voti e non è per niente facile portarli a casa.

Bisogna vedere però cosa faranno Chiara Lolli, Brogno, anche la stessa Rachele Cava (perché potrebbe essere incompatibile) e persino la Ferrante, che di fatto vota con la maggioranza ma che sul Psc potrebbe essere dissuasa a partecipare al Consiglio. E Mazzetta sa perfettamente che eventuali assenze saranno determinanti in maggioranza come in minoranza. Insomma, è una partita sul filo di lana. Qualcuno gli ha consigliato di far girare le solite bustarelle bianche e gialle che fanno parte dell’arredamento a Rende ma pare che non bastino, mannaggia… 

Eugenio Aceto, che rappresenta Forza Italia in Consiglio, è in bilico. Di fatto continua a comportarsi come organico alla maggioranza all’interno, mentre all’esterno si dichiara autonomo da essa in vista di un riposizionamento generale alle prossime elezioni, ammesso che il Consiglio non venga sciolto. Ma anche in previsione di uno scioglimento…
Formalmente anche Marchiotti e Corina hanno costituito un gruppo autonomo, ma soprattutto sul secondo non c’è nessuno che pensa che abbia mollato Manna. Ma non basta, mannaggia, ancora non basta.

Manna sta scommettendo tutto sul Psc, che è a tutti gli effetti una variante al Piano regolatore, e sta promettendo ai caggi che se non sciolgono il Comune (come lascia intendere ai suoi con una faccia da culo degna di miglior causa) farà il rimpasto di giunta per fine consiliatura e li nominerà assessori: Corina, Gagliardi, Provenzano, De Rose Marisa, Fanello e tutto il cucuzzaro. Insomma, non solo mazzette ma anche poltrone. Direte voi: allora è fatta e invece no, mannaia. 

In queste ultime ore sono tante le notizie che agitano il sonno e anche l’andatura del Nostro, diventata incredibilmente incerta e caracollante quando un tempo era perfetta quasi come quella del professor Tersilli quando camminava per i corridoi della sua clinica. Oggi invece lo si vede quasi “furtivo” aggirarsi tra i corridoi del Tribunale e c’è persino chi ride sotto i baffi quando passa e chi lo apostrofa senza nessuna paura. Cose dell’altro mondo!

Dalle indagini della Dda di Catanzaro e quindi di Gratteri, sono scaturiti altri filoni che riguarderebbero altre ipotesi di reato relative a politici e imprenditori locali. La circostanza non è per niente un mistero. Del resto, la Dda ha certamente presentato nuove prove alla Cassazione, altrimenti non avrebbe vinto il ricorso contro il sindaco di Rende. Ma non è tutto: ci sono altri distinti profili ulteriori rispetto all’indagine “Reset” che sono in pieno corso e che potrebbero costituire un altro scossone al “sistema rendese” degli ultimi anni. Mazzetta lo sa e lo sanno anche i suoi stessi consiglieri di maggioranza (fedeli e meno fedeli) e di conseguenza ognuno ci pensa bene prima di andare a mischiarsi con il voto al Psc, che ovviamente è tenuto sotto stretta osservazione dalla Dda con tanto di cimici sparse qua e là. 

Diciamo che tranne Provenzano, Esposito, Cava, Greco e Gagliardi tra i consiglieri e Artese, Ziccarelli, Sorrentino e Totera tra gli assessori, tutti gli altri consiglieri sono da considerare in bilico, ma certo non rientrano più nello zoccolo duro di Manna e non ci sono mazzette che tengano, arimannaggia… 

Al momento, i consiglieri perduti dalla maggioranza sono stati Bonanno e Superbo (sul quale continuano a fare pressione ma al momento senza esito). Poi Aceto (con le riserve del caso); Lolli (titubante); Corina e Marchiotti (che non hanno ancora deciso cosa vorranno fare da grandi).

Di contro invece la Ferrante (sorella di Giovanni) eletta nella minoranza con Principe, risulta essere da più di un anno la “stampella” della maggioranza. Ma come abbiamo accennato, le sarebbe stato imposto di non “immolarsi” ancora perché stavolta ci potrebbe rimettere le penne e Giovanni questi rischi non li vuole correre. E meno che meno per una mezza mazzetta. 

Il finale, decisamente tragicomico, lo riserviamo al leggendario Franchino De Rango, alias il re dei voltagabbana, che ha evidentemente peccato di vanità. Ha pensato di poter fare ciò che a Rende evidentemente “non s’ha da fare”. Voleva “superare” l’impasse e la paralisi amministrativa guardando oltre le contingenze del momento. Approfittare della debolezza di Manna e Artese, per tentare la rottura dello schema che paralizza la città, e guardare alle prossime amministrative. Un’idea legittima, che passava attraverso non proprio un azzeramento (con l’uscita dalla Giunta di Artese, Sorrentino, Petrusewicz e Totera) ma quasi per far entrare persone (della maggioranza) più spendibili in prospettiva di un nuovo assetto politico in vista della prossima campagna elettorale.

Una botta al cerchio con la nomina la Badolato su richiesta di Manna, e una al “timpagno”, con la cacciata degli assessori più “mazzettiani” e più compromessi con altri sempre “manniani” ma più spendibili. E persino una strizzata d’occhio a qualcuno di minoranza tentando di trovare una “sua” maggioranza bipartisan. Una riedizione della già tragica “maggioranza alla Franchino” di petrassiana memoria. La verità è che Franchino ha non solo ha peccato di vanità, ma ha pensato d’essere il più credibile ed il più furbo. Non era certo lui il più credibile e neppure è stato il più furbo. In sostanza, un mezzo disastro. Le rivoluzioni si fanno e non si annunciano. Lui ha annunciato di voler fare rivoluzioni, peraltro al giornalista servo di Manna…-, ed ha favorito la restaurazione. Non è più il Franchino di una volta, gli anni passano anche per lui. 

Per non saper né leggere e né scrivere, tuttavia, ha abbandonato la nave con il comandante, la sua vice e la sua piccola ciurma, che non conosce il mare e sfida la tempesta. E se tanto ci dà tanto, dopo Romanelli, Franchino è il secondo “topo” che lascia la nave e non è per niente un buon segnale. Intelligenti pauca.