Rende, quando Principe tolse le deleghe a Pino Munno davanti a decine di testimoni

Pino Munno il pistolero

A Rende il rimpasto è cosa fatta. Dopo le nomine di Pino “il pistolero” Munno e di Iantorno e dopo quelle di Savino e Vilardi, ieri in consiglio comunale è stato ufficializzato anche l’avvento di Mario “millecolori” Rausa alla presidenza del Consiglio. La malapolitica, dunque, ha chiuso il cerchio: il Cinghiale ha piazzato le sue pedine, il quaquaraquà ha obbedito e adesso a Rende è stata sancita la tregua.

Ma non è del rimpasto che vogliamo scrivere in questa sede. A Rende infatti tiene ancora banco la squallida “piazzata” di Pino Munno alla riunione per la metro, quando ha pesantemente apostrofato il consigliere del M5S Domenico Miceli. Per niente mortificato dalle sacrosante rimostranze di Miceli, Munno non ha inteso chiedere scusa e il consigliere pentastellato non solo gliel’ha fatto notare ma ne ha chiesto le dimissioni.

Domenico Miceli, consigliere M5S a Rende

“Credevo che l’assessore Pino Munno mi presentasse le sue scuse – ha detto Miceli -. Cosa che non è successa e che non chiedo ora. Anche perché adesso chiedo, dopo quanto accaduto giorni fa, le dimissioni dell’assessore Munno. Il silenzio dell’esecutivo sull’accaduto è pari del gesto inqualificabile del neo assessore. Non arretriamo di un solo millimetro”.

Bene, a questo punto Pino Munno, non potendo intervenire direttamente, ha fatto scrivere una nota ad Eugenio Aceto di Forza Rende.

Eugenio Aceto

“Come si possono chiedere le dimissioni di un assessore – ha scritto Aceto – quando sul suo conto sono state diffuse delle informazioni diffamatorie a mezzo stampa sul suo passato da assessore dimissionario e non, come provocatoriamente affermato, “cacciato”? Semmai, se di scuse si deve parlare, queste andrebbero fatte a tutti i cittadini che sono stati mal informati sulle scelte effettuate in passato dal nostro ex capogruppo Pino Munno. Prendiamo le distanze da coloro i quali si professano nuovi e poi agiscono nella più totale distanza dalla realtà”.

E a questo punto non possiamo non ricordare al “pistolero” la verità, tutta la verità, nient’altro c’e la verità.

Munno è stato costretto alle dimissioni da parte di Bernaudo e Principe, quando scoppiò la polemica sulla crisi finanziaria del Comune. Quando si prese atto che per manutenzioni e lavori pubblici di importo inferiore a 40.000 euro si spesero in tre anni 9 milioni di euro. Quando si venne a sapere che la magistratura e i carabinieri di Rende indagavano e le indagini sembravano essere ormai terminate, il capitano Angelosante fu di colpo promosso e trasferito a Catania.

Munno era oggetto di indagine. Ne parlavano tutti a Rende in quel periodo. E nonostante la pistola sotto l’ascella, il personaggio era addirittura debole ed indifeso. Pagava per se, certo, ci mancherebbe altro ed anche per le altre tre ditte che monopolizzavano i lavori pubblici.

La sua ditta di riferimento, come abbiamo scritto più volte, era quella di Andrea Marsico: un rullo compressore per gli affidamenti diretti a Rende in quel periodo. Tanto che queste pratiche non potevano più essere tollerate. A breve vi spiegheremo perché ma prima è doveroso e quantomai opportuno ricordare un gustoso aneddoto di quell’epoca.

Correva l’anno 2008, era in corso una riunione del circolo PD e del gruppo consiliare rendese nella sala Tokyo del Museo del Presente. Sandro Principe in persona indica Pino Munno e gli dice chiaramente quello che pensa. Alla riunione erano presenti decine di persone.

“Ohi cò, tu unna capitu c’a Rende un po’ fa cumu ara casa tua. O tinni va o ti cacciamu… Ca già era nu tridici ppe tia a fa’ l’assessore a Rende. Cosicì, e quannu parru ccu tia guardami ntra faccia!”. 

Principe ovviamente non lo cacciava per moralismo ma perché toglieva lavori alle ditte che dovevano prenderli. E Pino Munno, che lo sapeva, provava a fare l’indiano e ad intrufolarsi, convinto che nessuno gli avrebbe detto niente. Ora, caro “pistolero”, come farai a sostenere ancora la tesi delle dimissioni spontanee?

Manna il quaquaraquà invece, piuttosto che farsi le lampade, dovrebbe arrossire dalla vergogna. Ed infatti non ha mai rilasciato una dichiarazione. Come poteva, come può giustificare questa bassezza? Munno è figlio di una certa cultura che a Rende ha primeggiato. Cose buone per giustificare intrallazzi e ricchezze strane ed improvvise. E lui che fa? Lo ripropone come assessore, in perfetto stile quaquaraquà. Sì, perché Manna è come le anatre che stanno nelle pozzanghere, insomma la sua vita (e soprattutto le sue “opere”) non hanno più senso e più espressione di quella delle anatre. Sciascia docet.