Una delle condanne più pesanti della sentenza di primo grado del processo Rinascita Scott è quella inflitta all’avvocato Francesco Stilo. Per lui 14 anni di reclusione a fronte di una richiesta della Dda di 15 anni.
Al professionista, nello specifico, viene contestato di “avere concretamente contribuito, pur senza farne formalmente parte, al rafforzamento, alla conservazione ed alla realizzazione degli scopi dell’associazione mafiosa denominata ‘ndrangheta”, operante nel Vibonese e in altre zone d’Italia ed estere. Secondo l’accusa avrebbe instaurato con le cosche (Mancuso, Lo Bianco-Barba, Pardea-Ranisi, Fiarè.-Razionale-Gasparro e Accorinti) uno “stabile rapporto di tipo collusivo, mettendo a disposizione le possibilità offerte dall’esercizio della sua attività di avvocato” consentendo “all’organizzazione di eludere le investigazioni delle autorità, acquisire notizie riservate, mettendo a disposizione dell’organizzazione informazioni su indagini in corso, ottenute attraverso appoggi e contatti con soggetti istituzionali”. Inoltre, sempre secondo l’accusa, il penalista indagato avrebbe creato “un ponte tra l’articolazione dell’organizzazione formatasi all’interno della casa circondariale di Vibo capeggiata da Giuseppe Antonio Accorinti e gli associati in libertà”.
Determinanti le rivelazioni dei pentiti e in particolare anche quelle del nuovo collaboratore di giustizia Antonio Guastalegname, imputato in Rinascita Scott per associazione finalizzata al traffico di droga e detenzione di sostanze stupefacenti, che sono state aggiunte come nuove prove nel corso del processo. Le dichiarazioni di Guastalegname non risparmiavano gli avvocati come Francesco Stilo, pronti a sistemare processi in Cassazione e nella Corte di Appello di Catanzaro. Nel verbale di interrogatorio del febbraio scorso il collaboratore di giustizia davanti al magistrato della Dda Antonio De Bernardo riferiva di aver saputo queste notizie da Nicola Barba, presunto esponente dell’omonima famiglia di ‘ndrangheta di Vibo e luogotenente dei Mancuso Nazzareno Colace
Barba in un’occasione gli parlò dell’avvocato Francesco Stilo, sostenendo che anche lui aveva il potere di sistemare i processi e che riusciva ad acquisire notizie riservate per avvertire le varie cosche nell’imminenza di indagini o arresti. “Questo particolare riguardo a Stilo mi venne riferito nel 2015-2016 prima che mi arrestassero per omicidio anche da Giuseppe Antonio Lo Piccolo, il quale mi disse di aver saputo tramite l’avvocato Stilo di essere indagato, non ricordo per quale reato, quando ancora le indagini non erano state scoperte e quindi prima che la Procura gli avesse notificato qualcosa. Piccolo mi disse anche che l’omicidio ai danni del tabaccaio doveva essere addebitato al figlio del carabiniere e che nel caso in cui il processo si fosse messo male per entrambi ci avrebbe pensato zio Luigi tramite Pittelli a sistemare la situazione”.
LA DIFESA DI STILO
L’avvocato Stilo ovviamente ha cercato di difendersi in tutti i modi ma evidentemente non è bastato a convincere i giudici. Ha raccontato in particolare che un esponente di spicco della criminalità organizzata gli avrebbe confessato di aver consegnato 200 mila euro a due avvocati per “comprare” la sentenza in un processo di primo grado per omicidio. Invece una coppia di avvocati, stando sempre al racconto di Stilo, avrebbe potuto garantire il successo nei ricorsi in Cassazione. In particolare “riusciva a corrompere i giudici di alcune sezioni della Suprema Corte. Questo – aggiungeva Stilo – era chiaro a tutti, anche a me quando avvenivano le consegne di denaro alle quali ho assistito”. Ben 250 mila euro sarebbe costata la dichiarazione di incompetenza con cui un processo fu trasferito al Tribunale di Roma. I boss avrebbero “regalato” anche macchine e yacht per ottenere detenzioni ai domicilari.
LE TALPE
Stilo puntava il dito anche sui rapporti tra determinati avvocati e alcuni amministrativi degli uffici giudiziari del distretto. Raccontava per esempio che un suo collega si sarebbe fatto carico delle rate di un pignoramento che gravava su un dipendente del Tribunale per ottenere in cambio informazioni. Un boss suo cliente gli avrebbe riferito che un avvocato riceveva delle informazioni da un cancelliere che lo “informava subito se c’era un arresto, un sequestro o un’operazione imminente”.
Nella nota integrativa del Ros si faceva riferimento ad almeno tre avvocati che a Catanzaro riuscivano a sapere in anticipo indagini coperte da segreto. Si faceva riferimento anche a una importante inchiesta condotta dalla Guardia di Finanza, i cui nomi erano venuti a conoscenza di un avvocato grazie “ad un commesso che lavorava all’interno della cancelleria della Dda di Catanzaro”. Infine Stilo raccontava di un avvocato che venendo a conoscenza dell’imminente arresto di un suo assistito si sarebbe messo “a fare estorsioni… andando a recuperare crediti per suo conto”… Le sue dichiarazioni tuttavia non gli hanno evitato una pesante condanna. Vedremo se in un futuro non molto lontano Stilo cercherà di aggiungere nomi e cognomi alle sue dichiarazioni. Del resto, anche gli avvocati corrotti possono fare i “pentiti”. O no?