Roma. Ieri la Marcia, oggi fasci di fiori

(di Antonio Padellaro – Il Fatto Quotidiano) – “Quando avuta la notizia che Renzi e i suoi e i senatori a vita…”. Un altro significativo appunto di Silvio Berlusconi in Senato, scovato da “Propaganda Live”

Nel suo “L’anno del fascismo”, cronache del 1922 e della Marcia su Roma, Ezio Mauro scrive della assoluta imprevidenza con cui la vecchia classe dirigente liberale e cattolica subì il colpo di Stato prima di essere spazzata via.

Primo episodio. I treni speciali partiti da Roma e diretti a Pinerolo “trasportavano l’intero governo (meno i ministri Schanzer e Paratore), magistrati, sindaci, ambasciatori, il principe d’Aragona, l’ammiraglio Cagni, il governatore della Tripolitania conte Volpi, verso la città in festa attorno al banchetto d’onore allestito per celebrare i trent’anni di vita parlamentare del capo del governo”. Il nome di costui, Luigi Facta, resterà impresso nella storia come simbolo del cedimento alla incombente dittatura in un clima, “fantasmagorico”, di voluta cecità: “Così forse per contrastare l’estensione della minaccia incombente, si era finito per esagerare, in una domenica dilatata a dismisura nelle musiche, negli encomi, negli inchini, nei piatti di portata e negli applausi”. Mancano un mese e quattro giorni alla Marcia su Roma.

Secondo episodio. “A metà settembre don Sturzo ha ricevuto una lettera firmata da otto senatori del gruppo popolare che è un vero altolà preventivo”. Nella quale missiva si prende atto dell’avanzata del fascismo (“la cui azione ebbe incontestabili risultati utili”) ma “senza che il comunismo sia scomparso”. A giudizio degli otto, tuttavia, l’unico pericolo è a sinistra: “Intese parlamentari ibride con chi ha per divisa ‘senza Dio, senza patria, senza famiglia’ sarebbero un errore e corromperebbero l’anima del nostro popolo”. Amen.

Cento anni dopo, lo spettacolo si ripete in forma di farsa. Non ci sono le camicie nere pronte a sfondare le porte del Parlamento, perché non ce n’è più la necessità. Dal momento che un anziano nostalgico del duce e un giovane cultore dell’intolleranza civile possono legittimamente occupare i vertici delle istituzioni, tra applausi, sorrisi e fasci di fiori. Mentre, nel ruolo che fu di quei popolari che preferirono piegarsi al manganello pur di accelerare la rovina della odiata sinistra, oggi abbiamo i 19 voti arrivati in soccorso dai banchi della finta opposizione. Subito a disposizione, come allora, per interessi di bottega e cupidigia di servilismo. Infine, abbiamo gli appunti di un vecchio padrone, stanco, deluso – e irritato dall’insubordinazione della futura premier, un tempo sottomessa – che annota come una notizia l’apporto alla causa della destra del suo giovane amico fiorentino. Che, intanto, osserviamo scorrazzare per l’emiciclo, garrulo e operoso. Come un topo nel formaggio.