Sono passati 30 anni dall’omicidio di Antonio Fava e Vincenzo Garofalo, gli appuntati scelti dei carabinieri uccisi allo svincolo autostradale di Scilla in un attentato della ‘ndrangheta: crivellati di colpi d’arma da fuoco. Era il periodo in cui – come hanno mostrato le ricostruzioni giudiziarie e storiche – Cosa Nostra e ‘Ndrangheta hanno collaborato nell’elaborare una stratega della tensione che doveva destabilizzare lo Stato italiano.
- L’attentato
Era il 18 gennaio 1994, Antonino Fava, 36 anni, di Taurianova (Reggio Calabria) e Vincenzo Garofalo, 31 anni, di Scicli (Ragusa) viaggiavano su un’Alfa 75 del Radiomobile di Palmi. Proprio da Palmi erano partiti per svolgere un controllo sull’autostrada. All’altezza dell’uscita per Scilla si vedono affiancare da un’auto sospetta, riescono a segnalarla, ma non a sfuggire, poco dopo, alla raffica di mitragliatrice che non lascerà loro scampo. La Gazzella a bordo della quale guidavano, sbanda e va a finire contro il guardrail.
L’omicidio di due appartenenti alle forze dell’ordine lascia attonita l’Italia intera: è la dimostrazione che le organizzazioni criminali ormai si sentono al di sopra dello Stato al punto da affrontarlo a viso aperto.
- Il processo
Per l’omicidio di Fava e Garofalo sono stati condannati all’ergastolo, sia in primo che in secondo grado, il boss di Brancaccio Giuseppe Graviano e Rocco Santo Filippone, esponente della cosca Piromalli di Gioia Tauro. La sentenza nell’ambito del processo ‘Ndrangheta stragista, per cui la corte d’Assise d’appello di Reggio Calabria ha pronunciato, nel marzo dello scorso anno, pesanti condanne. Un processo, che grazie al procuratore aggiunto Giuseppe Lombardo, ha riscritto un pezzo di storia italiana e di attentati nei primi anni ‘90. Secondo la ricostruzione storica e processuale una precisa volontà di “’Ndrangheta e Cosa Nostra, come una cosa sola” di attentare alla sicurezza dello Stato.
Tuttavia c’è ancora da chiarire quali sarebbero stati i prossimi passi della strategia stragista di Cosa Nostra, dopo che “i calabresi” si erano “mossi” per uccidere i due appartenenti all’Arma. Nel corso del processo infatti è emerso che a Graviano sarebbe stato chiesto di proseguire con gli attentati al cuore delle istituzioni, altri sarebbero cadere sotto il fuoco mafioso. Il boss non ha mai rivelato i particolari e dunque sono ancora molti gli interrogativi aperti su quel periodo di storia della Calabria, della Sicilia e del Paese.
- Le commemorazioni
I carabinieri di Reggio Calabria in occasione del 30esimo anniversario hanno deposto una corona proprio al cippo commemorativo che ancora oggi (al chilometro 420+850 dell’A2) ricorda i due appuntati uccisi. E’ invece la cattedrale di Palmi, dove prestavano servizio, il luogo della messa officiata da Don Aldo Ripepi, cappellano militare.