Sistema Catanzaro: i peccati del vescovo in attesa di giudizio. La parola a Gratteri

Il deserto del cuore e dei sentimenti, quei valori contrari alla dottrina cattolica sono la caratteristica ormai riconosciuta della curia catanzarese. Questo è un dato che ciclicamente ritorna in ogni narrazione, ma soprattutto dietro ogni diversa angolazione del romanzo del sistema Catanzaro: una complicità diffusa a tratti criminale che ripropone e recupera sempre la triangolazione politica, massoneria e Chiesa, la ormai famosa qualità riconosciuta della massomafia.

Non c’è nessuna volontà di un sussulto, di una riconciliazione con il valore della verità, perché la preghiera del denaro è troppo forte, una sorta di invito “privato” alla Mensa del Signore dove il profitto si sostituisce al pane ed al vino, rimettendo in conciliazione i pochi eletti della curia catanzarese, il cerchio del vescovo Bertolone. Siamo ormai certi che da parte nostra non si tratta di invenzione o di una voglia di dissacrare il Divino, ma è purtroppo il risultato di tutto quello che abbiamo incontrato ed incontriamo ancora nello studio della prospettiva del sistema Catanzaro volando a bassa quota fra la falsità della ritualità ecclesiastica, dove si nasconde il marcio, la cui puzza di rancido viene sapientemente nascosta dal profumo dell’incenso.

Cartina al tornasole di questo meccanismo perverso dove la curia catanzarese è la terza gamba del sistema Catanzaro è la vicenda della Cattedrale della città, un cumulo di macerie dimenticato e lasciato all’abbandono della volontà del popolo solo in ragione di un profitto. Quello che si ripropone è il tentativo della politica di recuperare i soldi necessari al recupero della Cattedrale mettendoli a disposizione della curia insieme all’esecuzione pratica, i cui lavori rientrano sempre nella utilità marginale delle ditte amiche, la perfetta costruzione piramidale di consorterie ed interessi del sistema Catanzaro che la Procura di Catanzaro di Nicola Gratteri ha in parte svelato. La politica ritorna ad essere collettore di risorse, la curia e le ditte amiche gestori delle stesse, che ritornano sotto forma di mazzette, di assunzioni o consulenze alla politica della massomafia ed alle sue utilità.

La curia di Catanzaro seguendo un itinerario francescano a retromarcia, sembra essere un fenomeno appaltato al “caso”, al profitto ed in particolare subappaltato all’indifferenza, mentre la città ha bisogno di fare pace con se stessa, di recuperare una sua identità distante dalla caratterizzazione massomafiosa, di ritrovare una guida ed un buon pastore con i piedi ben piantati nel valore della verità e che non sia un errante tragediatore.

“In verità, in verità io vi dico: chi non entra per la porta nell’ovile delle pecore, ma vi sale da un’altra parte, quello è un ladro e un brigante; ma chi entra per la porta è il pastore delle pecore. A lui apre il portinaio; le pecore ascoltano la sua voce, ed egli chiama le sue pecore per nome e le conduce fuori. E, quando ha fatto uscire le sue pecore, va davanti a loro; e le pecore lo seguono, perché conoscono la sua voce. Non seguiranno però alcun estraneo ma fuggiranno lontano da lui, perché non conoscono la voce degli estranei”. Gesù disse loro questa similitudine ma essi non capirono di che cosa stesse loro parlando. (Giovanni 10,1-6)

Avremmo voluto parlare di un umanità degna di essere raccontata, della certezza che la luce della Resurrezione non offende mai nessuno, di una Chiesa che cammina nel vero solco del Vangelo, ma questo diventa veramente impossibile. Abbiamo incrociato a Catanzaro una Chiesa nella Chiesa, il crocevia dei fanatici, la crociata dei balordi, prelati procacciatori d’affari con le tasche piene di soldi mentre Papa Francesco ricorda: “che non si può servire Dio ed il denaro”, l’esercizio dell’ostia intinta nell’arsenico, vescovi che siedono all’Oriente in buona compagnia di grembiuli e cappucci delle diverse obbedienze, ma soprattutto preti che commettono gli stessi errori. Ecco perché noi torniamo ad essere “dissipatio”, un giornale nel giornale: la chiatta dei corsari, il punto d’imbarco degli eretici e degli eresiarchi, l’isola che non c’è, la Babele al rovescio. O meglio. L’altra faccia della notizia, il retro dello specchio, la camera delle meraviglie. Se vi piace: è la dissidenza il nostro metodo di agire, di capire e di scoprire. Già, siamo i disturbatori di noi stessi, in lotta anche quando dormiamo.

Il sistema Catanzaro, quello della curia cittadina è il metodo che può essere facilmente sovrapponibile ad altre Diocesi calabresi, dove la speculazione edilizia con il cemento di Dio è una costante, dove accoglienza ed assistenza restano nella disponibilità di singoli capitani di ventura ottimi traghettatori di disperati o mediatori in anticipo sulle volontà divine, che spengono l’altrui memoria e dignità, riuscendo però a cantare il Te Deum laudamus, come si trattasse di una canzone neomelodica. Già, una Chiesa calabrese capace di traslare la Misericordia allo stesso livello di un insulto evangelico, che ha le mani e la coscienza sporca di sangue, incapace di “ricordare gli agnelli quotidiani” citati da Papa Francesco, che perpetua i suoi peccati, quello che per noi se non è pregiudizio, allora è reato.

Fare un parallelo senza per questo dare lezioni di storia, ci riporta alle speculazioni della curia di Catanzaro per la sede del TAR Calabria e del palazzinaro di Squillace, padre Piero Puglisi per la sua “cattedrale”, più o meno la stessa storia che si è verificata nella curia di Cosenza, che affiora da un’attenta lettura di uno dei business dei prelati: il cimitero di colle Mussano. Un affare condotto in prima persona da Salvatore Nunnari, ex arcivescovo e capo intoccabile della chiesa cosentina. Neanche il servizio shock de “Le Iene” lo ha disarcionato. Ha incassato la difesa del pavido Nolé, che lo ha giustificato ed elevato addirittura a vittima, ha gridato alla gogna mediatica e negato la colossale evidenza dei fatti. Niente da fare.

Anche Nunnari non si tocca anzi non si può toccare al pari di Bertolone. A pochi passi da un fazzoletto di terra che è stato, pochi anni fa, teatro di una frana si è costruito un complesso funerario che frutterà, alla Curia di Cosenza, qualche milione di euro. Tutto funziona come per una speculazione edilizia, né più né meno. La Curia di Cosenza potrebbe guadagnare, quando la struttura sarà completa, quasi 8 milioni di euro. Una bella cifra, appunto. Ma, non siamo davanti a una ditta privata, che fa speculazione fine a se stessa, mentre le casse della diocesi dimenticheranno di aprirsi alle tante emergenze del territorio, come sempre e come da sempre avviene anche nella curia di Catanzaro.

Per regalare un’emozione a chi vuole farsi veramente una sua idea sulla verità della curia catanzarese, come l’altra faccia della medaglia del metodo corrotto della Chiesa calabrese, non possiamo infatti non parlare di ciò che abbiamo visto e udito – “non enim possumus quae vidimus et audivimus non loqui” – e questo ci porta dritti dritti all’affare della sanità, quella gestita dalla curia catanzarese attraverso Fondazione Betania, che per metodi e risultati ricalca lo scandalo del Papa Giovanni XXIII di Serra d’Aiello.

Luberto e Nunnari

La storia dell’Ipg XXIII ci consegna il peggiore scandalo finanziario, sociale e morale della Chiesa calabrese a trazione cosentina e con la complicità dei vescovi calabresi, riuniti nella CEC sotto la guida di Monsignor Giuseppe Agostino vescovo di Crotone, prima di diventare vescovo della diocesi di Cosenza-Bisignano, una specie di Papa di Calabria molto attento alla conservazione ed alla collaborazione con gli ambienti forti della massoneria calabrese e cosentina. Nel narrato delle cronache giudiziarie dopo il crack e dopo le ruberie dell’ultimo presidente don Alfredo Luberto a sua volta arrestato e allo sgombero coatto della struttura, c’è la negazione dell’idea e della missione dell’Opera e del suo fondatore don Giulio Sesti Osséo anche lui accoltellato dall’invidia e dalla smania di potere della curia e dalla banda di predatori, che trasformano la croce in pugnale solo per riempire il forziere.

C’è dietro un terribile intreccio d’eventi, che vede coinvolta la Chiesa, la massoneria e la finanza locale, che da un giorno all’altro ha colpito il benefattore vero di quella comunità, don Giulio Sesti Osséo, e la sua creatura: ingigantita al di là di ogni previsione possibile, al di là delle forze del suo stesso fondatore, al di là dell’accettabile per chi, qualcuno o qualcosa, probabilmente stava già progettandone la distruzione. Dietro gli eventi vi sono le azioni e gli uomini e, anche in questa storia, spesso si tratta d’uomini sì in carne e ossa, ma con una tonaca addosso. Si tratta di preti e prelati che, a un certo punto, smettono di osservare passivamente la crescita di quella ch’era considerata la “Fiat del Mezzogiorno d’Italia” mentre attendono, con tanta impazienza, che don Giulio commetta qualche errore. Dopo lo scandalo dei soldi, degli stipendi non pagati ai dipendenti, dei licenziamenti di massa, dei pazienti lasciati nell’abbandono, delle morti in silenzio e sospette, del muro di impenetrabilità che custodiva i segreti inenarrabili, di fantomatiche cordate imprenditoriali di salvataggio a matrice romana, delle responsabilità del vescovo Agostino che sapeva tutto e taceva tanto da essere pure indagato, sono saltate fuori le cartelle cliniche taroccate. Centinaia sembravano compilate in fotocopia, tutte uguali.

La tradizione e la ripetizione a divinis dei soliti errori dei prelati è storia, senza storia non c’è commento, ecco perché abbiamo voluto riproporre un cammeo della vicenda dell’Ipg XXIII, quello che per molti versi si sovrappone alla vicenda Betania, in una replicazione diabolica di errori e di presunti crimini. C’è tuttavia una conferma ed un eccezione. La conferma è che don Biagio Amato che ha fatto di Betania un’eccellenza sanitaria e umana, inviso però al vescovo Bertolone, è stato defenestrato senza tanti preamboli, mentre l’eccezione rispetto alle ruberie della curia catanzarese è che sempre don Biagio Amato non si è arricchito usando i soldi di Betania e non ha mai collezionato opere d’arte o motociclette americane come avvenne all’Ipg XXIII. Ha però lasciato un patrimonio umano ed un insegnamento che ha sempre riconosciuto la vita come un valore non negoziabile, ma tutto è andato disperso e calpestato da quanti hanno ordito e stanno perpetrando l’assassinio di Betania nascondendo i loro crimini dietro la pandemia Covid, con la complicità della curia di Catanzaro.

In molti si domandano, magari chiedendolo a noi che siamo solo spettatori ed al contempo ricostruttori delle vicende sui documenti che continuano ad arrivarci: perché oggi Betania incarna l’eutanasia della sanità? Chi ha rubato la speranza a Betania? Qual è l’idea che dirige Bertolone nella distruzione di Betania? Quella distruzione morale e sociale che copre le “malefatte” di medici e di prelati che si nascondono grazie alle complicità ed alle appartenenze alle obbedienze di loggia e che possono esporre a titolo di merito solo l’appartenenza al G.O.I. (Grande Oriente d’Italia), ma hanno sempre le mani sporche di sangue, nella distrazione colpevole e nel disinteresse di quanti rappresentano la curia nella gestione attiva, tanto per dire il neovescovo della diocesi di Rossano-Cariati, monsignor Maurizio Aloise.

Se la vita è pellegrinaggio, molti ci domandano, perché in questo percorso è stato manipolato il tassametro della vita all’interno della mura di Betania? Perché è stato lasciato il libero arbitrio anche morale avallando la crudeltà di dover salire in cielo da soli, solo perché il Covid resta l’ultimo paravento dove nascondere quella medicina criminale ed arrogante impersonata dal massone Paolo Mazza, le cui responsabilità tanti vorrebbero fossero inedite per nascondere le complicità del governo di Betania, lo stesso che attraversa in modo trasversale la curia catanzarese, in perfetta armonia con Basso profilo e con la massomafia che è collante e caratteristica dell’ultima storia di Catanzaro.

Riconciliarsi con la certezza e con la grandezza della morte è un atto di Fede, quella che non può essere manipolata dalla mancanza delle procedure anti-Covid e dei dispositivi, peraltro anche denunciati dalle nostre colonne dal personale stesso di Betania, prontamente richiamato all’ordine con la minaccia della missiva, classicamente mafiosa, vergata dal presidente e neo vescovo monsignor Aloise, secondo quella forma imperfetta di bullismo dei prelati della curia di Catanzaro.

Imporre il silenzio non è sempre la soluzione di ogni problema, è il metodo del sistema Catanzaro quello che addomestica i controlli che i NAS fanno fuori dai cancelli, o peggio ancora dei controlli dell’Asp locale annunciati prima dai “fratelli” di obbedienza, mentre le salme dei morti di Covid uscivano in gran segreto e nel silenzio dai cancelli di Betania: ci viene detto che siano stati almeno 14 e non certamente i 3 dichiarati ufficialmente perché affetti da altre cormobilità. Perché l’ultimo atto di un genocidio, piccolo o grande che sia, è la negazione, quella che non resta nel solco di una dissertazione filosofica, ma è e resta un reato.

Betania oggi è diventata il “ground zero” dell’illegalità e della complicità fra curia e massomafia. La tragedia della verità che va oltre la fantasia e l’immaginazione, dove c’è qualcuno che ha soffiato sul dolore. Grande è il disordine umano e morale sotto una parte del cielo di Betania in mancanza di una guida autentica: un quartiere recintato, separato dal resto del mondo, separato dalla verità e dalla legge, che non sembra avere imparato nulla dagli errori e che continua in una gestione al minimo di risorse umane, quella che a tutti gli effetti resta una truffa ai danni dello Stato, secondo le prescrizioni degli accreditamenti sanitari.

C’è una città che ci chiede giustizia, che mette i lumini sui davanzali delle finestre per ricordare le vittime del Covid, quelli che sono percepiti ingiusti per le responsabilità sanitarie di chi dirige Betania, perché morti nel silenzio, dimenticati e non contati oltre che non considerati. E’ quell’umanità ferita, ma pronta a porgere l’altra guancia.

«Ma a voi che ascoltate, io dico: Amate i vostri nemici, fate del bene a coloro che vi odiano, benedite coloro che vi maledicono, pregate per coloro che vi maltrattano. A chi ti percuote sulla guancia, porgi anche l’altra; a chi ti leva il mantello, non rifiutare la tunica. Dà a chiunque ti chiede; e a chi prende del tuo, non richiederlo. Ciò che volete gli uomini facciano a voi, anche voi fatelo a loro» (Luca 6,27-31).

E’ quella città, quella comunità ferita che si interroga, chiedendosi: quale sarà la lezione morale e l’esempio pastorale che monsignor Maurizio Aloise, neo vescovo di Rossano-Cariati saprà portare alla sua comunità come pastore parlando di Covid? Magari saprà condirla con un parabola del Vangelo, nascondendo il silenzio e l’ignavia, quella che forse dovrà pure spiegare alla Procura di Catanzaro, insieme ai suoi complici materiali e morali.

Gli stessi che siedono nella curia di Catanzaro, dove Betania e le morti silenziose del Covid restano la pietra d’inciampo di responsabilità da condividere e condivise, che avrebbero forse suggerito al vescovo Bertolone non tanto di replicare “il discorso della Luna” che ci ha consegnato la grandezza morale ed umana di Papa Giovanni XXIII, ma quantomeno riconoscere anche con un monosillabo che si è sbagliato e che anche la vergogna è una grazia.