L’inchiesta portata avanti dalla procura antimafia di Catanzaro va avanti senza sosta. L’operazione di Rende è il primo dei tasselli da incastrare.
I PM, al lavoro da tempo, non lasciano niente di intentato. Ogni parola pronunciata dai pentiti è stata oggetto di analisi e valutazioni. Ed ogni singolo episodio riscontrato e verificato. Ma non si va avanti solo con le dichiarazioni dei pentiti. Molte sono infatti le intercettazioni che gli investigatori hanno prodotto captando politici, talpe e insospettabili. Una rete fitta di collusione, come diciamo da tempo, pronta a sostenere e a coprire ogni genere di malaffare a Cosenza.
Non manca nessuno: dirigenti pubblici, carabinieri, poliziotti, professionisti, giudici, agenti penitenziari e i soliti avvocati. Oltre che a qualche centinaio di malandrini che a breve saranno trasferiti in cella.
Un lavoro certosino, quello degli investigatori, che da tempo hanno posto sotto osservazione tutti coloro i quali in un modo o nell’altro sono finiti nei faldoni dell’inchiesta: chi perché chiamato in causa dai pentiti, chi perché scoperto (attraverso intercettazioni) ad intrallazzare con malandrini e guappi locali.
Ogni singolo episodio è stato corredato da prove che a quanto traspare sarebbero inoppugnabili. A cominciare da chi forniva informazioni ai clan e ai politici coinvolti, sulle indagini in corso.
Tutto parte dal ritrovamento in casa di Rinaldo Gentile, oggi al 41 bis, di molti verbali di pentiti. La malavita e i politici corrotti sapevano prima di ogni altro le dichiarazioni dei cantarini. Fogli che fanno capire ai PM, per come si presentano, che le informazioni che arrivavano a Rinaldo Gentile erano di prima mano: direttamente da qualche pezzotto dei carabinieri o dei servizi, legati in un modo o nell’altro alla potente massoneria cosentina.
E, dopo questo ritrovamento, presi dal panico, e con la paura di essere scoperti, qualcuno ha provato a metterci una pezza inondando la città dei verbali in questione con la speranza di confondere le acque.
Ma la differenza tra i verbali ritrovati a Rinaldo Gentile, e quelli fatti circolare successivamente, sta nell’intestazione. Quelli recapitati, per esempio a noi, portano l’intestazione della procura distrettuale antimafia, timbri, numero di procedimento, firme dei PM e protocollo. Mentre quelli di Rinaldo Gentile sono privi dell’intestazione.
Segno evidente che arrivano di prima mano. Direttamente dal computer di qualche ufficio di polizia giudiziaria impegnata in questa indagine. Ed è qui che mafiosi, massoni e politici coinvolti, allarmati per questo ritrovamento, chiedono all’avvocatone Sammarco di dargli una mano a coprire il fatto, prima che qualcuno risalga e scopra da dove sono partiti i verbali destinati a Rinaldo Gentile.
E così, l’avvocatone inonda la città di verbali omettendo parti e aggiustandoli come più gli aggradava e giustificando la manomissione e la divulgazione degli “omissis” con uno sbaglio tecnico.
La logica era questa: più ne circolano più sarà difficile risalire a chi li ha divulgati. Ma noi non ci siamo cascati e dal primo momento abbiamo denunciato il fatto, sia pubblicamente che alle autorità competenti. Era chiaro che l’arrivo dei verbali alla redazione fosse una manovra atta a depistare le indagini e a mettere in cattiva luce i pentiti. Ma purtroppo per l’avvocatone le cose si sono messe male. Ed oggi è chiaro al pool investigativo sia chi è la talpa che forniva informazioni ai politici sulle indagini, sia il tentativo dell’avvocatone di inquinare le prove. Mo’ so cazzi!
Insomma, pare che l’inchiesta sia più grossa di quello che pensiamo. I PM hanno riscostruito con tanto di prove (ripeto, intercettazioni ambientali e telefoniche dei politici coinvolti) quello che da tempo giornalisticamente definiamo il “patto tra lazzaroni”, ovvero la filiera del malaffare a Cosenza, quelli che coprivano mafiosi e politici intrallazzati. Il punto più importante di tutta l’inchiesta.
Perché ad essere coinvolti come fiancheggiatori di assassini e strozzini e politici malavitosi, è quella parte di città che di giorno si veste da serio professionista e di notte trama contro i cittadini, vendendosi al diavolo per qualche dollaro in più. Senza di loro, come diciamo da tempo, non si fanno affari in città.
Ora siamo alle battute finali, i riscontri ci sono, e le conferme alle dichiarazioni dei pentiti sono più che concrete. A questo punto non serve neanche più sapere chi si è pentito o meno. Perché non è questo che conta oramai, i giochi sono fatti. E poi qualcuno dovrà pagarli questi reati.
Per cui, se un personaggio come Francesco Patitucci, di cui noi non abbiamo mai scritto che si è pentito, ma abbiamo solo analizzato il suo strano arresto, e le perplessità che da questo sono scaturite, a cominciare “dall’ambiente”, ci tiene a farci sapere che lui è nu cristianu e che non si pentirà mai, beh, fatti suoi, si vede che in galera ci sta bene.
Così come non siamo stati noi a dire dell’ammanco nella bacinella, ma a dirlo sono proprio i suoi amici. O presunti tali, cosi come si legge nei verbali, che se la cantano tutta, addossando la responsabilità proprio a lui.
Di più: in molti ci fanno sapere che dopo l’arresto di Patitucci, avvenuto dopo una telefonata giunta al 112, di cui esiste la registrazione, che lo segnala armato su viale Parco, non è mai salito in sezione, ed è stato subito trasferito. Senza neanche aspettare il classico interrogatorio di garanzia. Perché?
Senza contare la “coincidenza” del suo arresto un po’ di giorni prima del blitz di Rende, che lo vede come imputato principale. Prendiamo atto del messaggio che ci fa giungere Patitucci, e ribadiamo che nessuno ha scritto che si è pentito (basta saper leggere, non ci vuole molto). Anzi, se non lo ha fatto, gli consigliamo di pentirsi subito, perché a breve scatterà il blitz, e dopo, come si sa, inizierà, come è successo nell’operazione Garden, la corsa a chi si pente per primo. Ma a quel punto il rischio è quello di non trovare più posti perché tutto esaurito. Ed ogni tentativo dopo sarà vano.
GdD