‘Ndrangheta a San Giovanni in Fiore: Giovanni Spadafora, l’equilibrista tra il boss Grande Aracri e i cosentini

Giovanni Spadafora alias il ciommo

L’ultima operazione della Dda di Catanzaro sulla cosiddetta mafia dei boschi è figlia di altre due che qualche anno fa avevano già tracciato non solo gli scenari di questo business ma anche le gerarchie criminali tra il Crotonese e la Sila cosentina.

Secondo i magistrati della DDA di Catanzaro, il quadro offerto dalle dichiarazioni del pentito Francesco Oliverio si connota per essere gravemente indiziante della partecipazione di Giovanni Spadafora alias il ciommo al sodalizio mafioso per cui è oggetto di indagine. Non a caso in primo grado, e poi anche in appello, è stato condannato a 10 anni e 8 mesi di reclusione.

La chiamata in correità offerta dal collaboratore, che inquadra lo Spadafora nella ‘ndrina di San Giovanni in Fiore, con la carica di camorrista di sgarro, è corroborata da numerosi elementi di riscontro che ne delineano una figura di sicuro spessore ndranghetistico e particolarmente attivo nelle diverse attività che vedono impegnate la cosca.

Un insuperabile riscontro alle dichiarazioni del collaboratore viene fornito dalle intercettazioni acquisite da altro procedimento e che attestano la sua partecipazione a diversi “summit” di mafia intrattenuti presso il locale tavernetta dove si trovava Nicolino Grande Aracri, indiscusso capo locale del sodalizio sedente in Cutro ed assurto recentemente a vero e proprio punto di riferimento per le consorteria ndranghetistiche della provincia andando a ricoprire il ruolo per molto tempo occupato dai cirotani (i Farao e Marincola Cataldo).

Il boss Nicolino Grande Aracri
Il boss Nicolino Grande Aracri

In tali incontri, infatti, viene affrontata proprio la problematica della responsabilità formale della ‘ndrina di San Giovanni in Fiore e delle pretese di Spadafora Giovanni, soggetto inviso al Grande Aracri, oltre che per i suoi trascorsi (attesa la sua presenza in occasione dell’omicidio di Dragone Antonio), anche per la sua supposta vicinanza ai cosentini che il boss non vuole includere nella spartizione delle lucrose attività (“quei quattro cosentini non comandano niente…), e le rassicurazioni fornite dal boss ad Agostino Marrazzo (“…sei tu a Belvedere Spinello e ci sono pure io….è la stessa cosa”)…

Del resto è lo stesso Spadafora Giovanni che si recherà da Grande Aracri per prospettare una problematica legata al “locale” ormai orfano di OLIVERIO Francesco e conteso nella gestione con i MARRAZZO.

Nel prospettare la problematica al boss GRANDE ARACRI Nicolino, SPADAFORA Giovanni riconosce esplicitamente un ruolo di preminenza nell’ambito del “locale” belvederese a MARRAZZO Giovanni, chiedendo se dovesse rivolgersi a lui per chiarire la vicenda.

Agostino Marrazzo

Di rilievo, ai fini che interessano sono anche altre vicende che si comprendono dall’ascolto delle intercettazioni presso la tavernetta.

MARRAZZO Agostino, infatti, viene convocato da GRANDE ARACRI per una vicenda afferente un contenzioso legale tra due soggetti – MAURO Pasquale Domenico, dentista e LOMBARDO Giovanni Battista, immobiliarista (arrestato lo scorso anno dalla DDA e ritenuto la mente finanziaria del clan Marrazzo, ndr) – che aveva assunto connotazioni preoccupanti in quanto il contrasto era poi sfociato in un attentato dinamitardo ai danni del secondo.

Questi, ovviamente, non sporge una normale denuncia, ma, accompagnato dal rappresentante della ‘ndrangheta di San Giovanni in Fiore (SPADAFORA Giovanni n.d.r.), si rivolge all’autorità riconosciuta: GRANDE ARACRI Nicolino, attualmente capo della citata “provincia” che per dirimere la divergenza chiama a sé i MARRAZZO, ovvero gli attuali maggiori esponenti della “locale” di Belvedere Spinello.

Ma emblematiche del suo ruolo sono anche le conversazioni successive ed intercorse nel periodo in cui egli era stato costretto ad allontanarsi dalla Calabria, ma continuava a gestire le problematiche inerenti il controllo del territorio (si tratta della vicenda relativa ai furti subiti da soggetti della sua cerchia familiare e per la quale egli aveva fatto valere tutto il suo peso ndranghetistico).