Studiare i call center in Calabria: la Cosenza Valley (a cura del Centro sociale Sparrow)

Quando il ricatto si confonde con riscatto. Studiare i call center in Calabria

a cura del CENTRO SOCIALE SPARROW

Il numero di operatori dei call center presenti in Calabria si aggira intorno alle 10.000 unità; stima, questa, approssimativa, visto l’elevato livello di turnover presente in questo settore. Il cuore principale – e l’area regionale originale – dei call center calabresi è Catanzaro, capitale amministrativa del lavoro in cuffia. Tuttavia, la città in cui il lavoro dei call center genera il maggior numero di profitti è Cosenza.

Ad oggi, infatti, la Cosenza Valley risulta essere una vera e propria miniera d’oro per le ditte nazionali del settore, soprattutto per via del flusso di studenti-neo-laureati-precari che orbitano attorno all’Università degli studi della Calabria, situata sulla collina di Arcavacata di Rende. Attorno al centro cosentino e di Rende, più che altrove si trovano le condizioni ‘ideali’ per imporre contrattazioni atipiche in maniera totalmente selvaggia, pur di aumentare i profitti. Basti pensare che nell’ultimo periodo la scadenza media dei contratti di lavoro si è ulteriormente flessibilizzata e ristretta, riducendosi da 2 e mesi ad 1 settimana, con una conseguente diminuzione della retribuzione percepita per ogni ora lavorata.

Quello che cercheremo di fare in questa breve e parziale analisi è proporre una serie di quesiti su cui avviare riflessioni situate e laboratori di studio, per comprendere la realtà oggetto di analisi critica e modificarla: come avviene che Cosenza si stia caratterizzando come un luogo di enorme concentrazione dei call center, anche rispetto al resto della superficie nazionale? Che cosa significa questo in termini di composizione sociale del precariato cognitivo e come si può pensare di agire nella dimensione politica e di conflitto, invisibilizzata e annientata attorno ai meccanismi di riproduzione delle attuali realtà dei call center calabresi?

I punti proposti di seguito non hanno la pretesa di essere una bozza già compiuta di conricerca ma, in ogni caso, essi esprimono un tentativo di narrazione prodotta da militanti politici che hanno incrociato il lavoro dei call center, sia per esperienze di vita (lavorandoci dentro) sia come soggettività che individuano in tale dimensione un potenziale piano di azione e di rivendicazione, in cui il conflitto è ancora quasi inesploso.

Un punto di partenza: la composizione sociale del territorio. L’Unical e i suoi utenti: una “miniera umana”

Al fine di entrare nel merito dei quesiti proposti, è necessario porre lo sguardo sulla composizione sociale di quella che definiamo qui la Cosenza Valley, così come è stata denominata dai manager regionali e nazionali, identificando in questo modo il territorio intorno all’Università della Calabria e ai comuni di Rende, Cosenza e Montalto.

LA COSENZA VALLEY

Come ricorda Francesco Maria Pezzulli (in “La solitudine del telefonista”, il manifesto 05/07/2013) l’area tra le colline di Arcavacata di Rende e la città-provincia di Cosenza viene denominata Valley dal management dei call center, proprio in virtù della importante presenza di forza lavoro cognitivo, “immateriale”, a prezzi molto bassi. In questo senso, la tipologia di conurbazione, la struttura normativa predisposta dalle politiche regionali, nazionali ed europee, diventano cruciali su un territorio – la valley – che offre lavoro cognitivo a basso costo: tutto questo risponde perfettamente ad una domanda di lavoro che richiede massima flessibilità come quella attuale, e in particolare dei call center. In questa combinazione ‘viziosa’, i centri chiamate possono realizzare i loro profitti anche per via della quasi totale inesistenza di implicazioni giuridiche che possono derivare dal rapporto tra gli operatori e manager aziendali.

In questo senso, anche nella valley cosentina dei call center, i profitti vengono fatti imponendo un regime disciplinare tra i lavoratori che impone di firmare un documento in cui si rinuncia a qualsiasi azione legale nei confronti dei titolari dell’impresa per cui si lavora. Questo è quanto emerge dal racconto di una ragazza di circa 30 anni, che lavora per un’azienda che si occupa di recupero crediti nella città di Cosenza.

Da quanto ci ha detto, dei circa 86 operatori, tutti con un contratto a progetto annuale, in questa sede, nessuno si è rifiutato di firmare questo documento. L’altissima ricattabilità di questa forza lavoro fa sì che in un’altra azienda di call center, Almaviva, la valle cosentina rappresenti un posto dove investire, assumendo 250 unità, per, evidentemente, compensare con nuovi profitti le perdite generate dalla chiusura della sede di Roma, che ha comportato, invece, la Cassa Integrazione di 632 dipendenti.

È evidente che la presenza dell’università caratterizza il nodo centrale intorno al quale si è costruita tutta la Cosenza Valley. Infatti, la presenza sul territorio di un elevato numero di giovani con alto livello di scolarizzazione, buone capacità relazionali e comunicative, ha consegnato ai manager dei call center, calabresi e non, una enorme quantità di forza lavoro cognitiva, estremante flessibile, ricattabile e poco incline al conflitto, tra le ragioni additabili si metta in evidenza il fatto che il lavoro nei call center rappresenti per molte e molti, la prima esperienza lavorativa o una fase transitoria;  in generale, poi, l’alto livello di precarietà sul territorio e i meccanismi di competizione che si innestano di conseguenza, sono tra le ragioni funzionali tanto allo sviluppo del suddetto mercato quanto agli scarsi livelli di conflittualità registrati. Ciò sta rappresentando, praticamente, una miniera d’oro umana per tutto il settore del knowledge worker. Una più approfondita analisi circa i fattori che hanno concorso a creare questa enorme possibilità di profitto, oltre proprio a questa invisibilizzazione del conflitto e alla messa in opera di meccanismi di controllo interno ai call center che impongono una vera e propria disciplina di fabbrica tardo-capitalista.

Il dato numerico

L’ateneo cosentino risulta essere il più grande della Calabria e il terzo del meridione per numero di iscritti, contando attualmente circa 35.000 immatricolazioni; inoltre, a questi vanno aggiunti tutti quegli ex-studenti che permangono sul territorio, nella città-provincia, una volta terminati gli studi. fenomeno, questo, eterogeneo circa il panorama di soggetti coivolti ma in constante aumento. Infatti, a fronte della drastica riduzione degli sbocchi occupazionali prodotta dalla crisi la maggioranza, molto del precariato giovanile regionale prodotto dall’Unical, come azienda e insieme come luogo di formazione, o sceglie la strada della migrazione all’estero o al Nord Italia, oppure permane sul territorio cosentino andando cos’ ad aumentare il num di individui, idonei ad esseri inseriti all’interno del mercato del lavoro cognitivo precario.

Nel boom dell’inbound e outbound telefonico tra vendite, servizi per le grandi aziende telefoniche, della cosmesi o di ogni tipo, assistenze tecniche di svariato genere e consumo, il business redditizio del recupero crediti; immerso tra programmi al computer e cuffie alle orecchie, un numero elevatissimo di studenti calabresi popola le postazioni nella Valley cosentina. Sia quando sono ancora studenti, per arrotondare la paga proveniente dalla rete familiare, sia subito dopo aver conseguito la laurea, lavorano nei centri di smistamento chiamate di ogni sorta del 2013.

Nei call center non ci sono solo studenti o laureati, però l’ossatura della Cosenza Valley si regge in maniera predominante sul bacino di ‘utenti’ che orbitano attorno al baricentro economico dell’Università della Calabria: flotte di giovani che ogni anno aumentano e cambiano, permettendo la possibilità continua di turnover all’interno di queste aziende. Pur con qualche eccezione, negli ultimi dieci anni, l’industria dei call center calabresi ha avuto una crescita esponenziale, che non può non essere letta in maniera congiunta al fatto che sul territorio cosentino i lavoratori in questo settore hanno un’età compresa tra i 25 e i 35 anni, pur con le numerose eccezioni.

1 – (continua)