Tanti auguri a Monsieur Gattuso: “Al Marsiglia mi sento vivo”

Oggi Rino Gattuso compie gli anni. 46, classe di ferro 1978. Il Campione del mondo di Schiavonea li festeggia nella sua nuova dimensione, l’Olympique Marsiglia. E proprio qualche giorno fa ha rilasciato una importante intervista a L’Equipe. 

“Al Marsiglia mi sento vivo”. In questa frase della lunga intervista a L’Equipe c’è tutto lo stato d’animo di Rino Gattuso, ormai allenatore cosmopolita dopo l’approdo alla panchina di una tra le grandi del calcio europeo, l’Olympique Marsiglia. La squadra, raccolta da Gattuso il 27 settembre dopo l’eliminazione dai turni preliminari della Champions e le dimissioni di Marcelino, è adesso sesta in Ligue 1 e in corsa per un posto in Europa nella prossima stagione. A febbraio giocherà i play-off per gli ottavi di finale di Europa League con lo Shakhtar Donetsk, dopo essersi piazzata seconda, nel girone vinto dal Brighton di De Zerbi, davanti ad Ajax e Aek Atene.

Gattuso: “Non potevo dire no”

Non è di soli risultati, però, che ha parlato nel lungo colloquio con il quotidiano sportivo francese l’ex campione del mondo e mediano del Milan e della Nazionale, poi allenatore già di lungo corso a soli 46 anni (li compirà il 9 gennaio): Sion, Palermo, Ofi Creta, Pisa, Milan, Napoli e Valencia e appunto Olympique Marsiglia. I primi mesi in Ligue 1 e a Marsiglia gli hanno dato parecchio entusiasmo: “Quando sono stato contattato, venivo da una settimana in cui avevo parlato col Lione. Tre o quattro giorni dopo, Pablo Longoria, il presidente dell’OM, mi ha chiamato. Col mio staff abbiamo deciso senza esitazione: come ho già detto, bisogna avere due vite per dire di no a un’avventura come questa e io di vita ne ho una sola”.

“Qui mi sento vivo”

L’avventura è cominciata tra le difficoltà: “Se non ce ne fossero state, non mi avrebbero chiamato. Abbiamo cambiato lo stile di gioco, il metodo di lavoro. Ma abbiamo trovato un gruppo che ci ha seguito fin dal primo istante e una dirigenza che non ci ha mai fatto mancare l’appoggio e la fiducia, nemmeno nei momenti più delicati. Io vado d’accordo coi miei giocatori : mi arrabbio solo se non vedo abbastanza passione. Io non alleno per i soldi: ho avuto la fortuna di una bella carriera e non li ho buttati via. Cerco le cose che mi fanno sentire vivo e qui all’OM mi sento vivo. Ho lavorato in piazze calde e qui, come in tutti i grandi club, i risultati contano molto: hai 65mila persone allo stadio e 3-4 milioni di tifosi in Francia. La passione per la squadra è come una religione: la settimana scorsa, alla ripresa degli allenamenti, c’erano 20 mila persone: è un senso di appartenenza straordinario”.

La Ligue 1 come la Premier League

Il livello del campionato francese è alto: “Conoscevo già la Ligue 1: se si prendono in considerazione alcuni parametri, in particolare quelli fisici, è vicina alla Premier League. In ogni squadra ci sono sempre stati giocatori velocissimi, con la capacità di verticalizzare. Ma ci sono anche 6-7 squadre che amano il bel gioco: ci metto anche il Lille, il Nizza, il Monaco, il Reims. Tatticamente il campionato ha fatto molti progressi: prima, quando prendevi un difensore o un centrocampista dalla Ligue 1, dovevi dargli il tempo di abituarsi, adesso sono pronti. Il calciatore francese ha una caratteristica precisa: magari può avere qualcosa in meno tatticamente, ma è un giocatore di strada, da uno contro uno, con enormi qualità tecniche. In Italia a 14 anni si lavora già tanto sulla tattica. Qui si privilegia la tecnica, il pallone: così si formano calciatori di grande qualità. Tocca a me convincere i ragazzi che certi esercizi tattici vanno fatti per il bene della squadra. Ho una mentalità aperta: da calciatore andai a Glasgow a 19 anni e ho allenato a Creta, a Valencia, a Sion”.

I social e i leoni da tastiera

Il rapporto di Gattuso coi social, che ultimamente ne hanno condizionato la carriera con le fake news, resta freddo: “Quando mi vedo in tv, cambio canale, non leggo niente su di me, non ho profili sui social. Ai miei figli ho detto che possono fare ciò che vogliono, non sono un uomo della preistoria. Ma quando loro sono con me, io non voglio apparire. Non vedo perché dovrei mostrare dove sono o che cosa mangio”. La vecchia etichetta di “Ringhio” è difficile da scollare: “Ho perso la speranza, non posso cambiare il mondo. Viviamo nel mondo dei cosiddetti leoni da tastiera, che col loro odio ti possono distruggere in dieci minuti. Bisogna avere la forza di credere in ciò che si fa. Io amo il calcio, ancora più di quando giocavo. È un’altra cosa. Da calciatore mi mettevo una pressione folle, ho sprecato tanta energia per questo. Oggi la pressione è diversa, penso di sapere parlare ai miei giocatori, di sapere entrare nella loro. Non credo che oggi i calciatori siano cambiati: la grossa differenza è che devono avere più passione perché hanno tutto: devono riuscire a conservare la voglia. I telefonini? Se io glieli vietassi, chiamerebbero l’ambulanza e mi farebbero ricoverare: non si può fare la lotta ai tablet, sarebbe da allenatore inadeguato. Piuttosto, bisogna trovare la chiave giusta per parlare con ogni ragazzo: ognuno ha un carattere diverso, con qualcuno servono le carezze, con qualcun altro il bastone”.

La conversione al calcio d’attacco

Guardiola, Ancelotti, Lippi, Walter Smith, Zaccheroni: non c’è un solo modello d’ispirazione per Gattuso, che a 27 anni, da calciatore, aveva già iniziato a pensare al calcio propositivo che oggi è la base del suo credo tattico: “Giocavamo contro il Barcellona di Xavi, Iniesta, Ronaldinho, Messi. Correvamo per 95 minuti, io facevo la maratona e toccavo 3-4 palloni in tutto. Eppure noi avevamo 4 difensori e loro il falso nove in attacco. Semplicemente loro avevano la superiorità numerica ovunque, così ho cominciato a capire perché era la nostra mentalità dell’epoca a non dare i frutti che speravamo. Mi sono interessato alla questione, ho studiato, ho analizzato”. Da lì è nato l’attuale stile di gioco: “È il calcio che sento, quello che mi piace: costruire da dietro, fare tesoro delle esperienze. Ovviamente devi anche vedere che tipo di giocatori hai. Ti adatti, anche se l’idea resta la stessa. L’obiettivo dell’OM è qualificarsi per l’Europa: per il blasone e per gli introiti economici: bisogna essere europei, è fondamentale. Questo mi mette pressione molto più del mio contratto”.