di Carlo Macrì
Fonte: Corriere della Sera
«Mi hanno pestata a sangue solo perché ho cercato di prendermi cura di alcuni cagnolini denutriti. Nessuno mi ha difesa». Parla con difficoltà Beatrice Orlando, 42 anni, sposata, ricercatrice in economia e innovazione sostenibile presso l’Università di Ferrara. La bruttissima avventura che le è capitata mentre si trovava in vacanza a Tortora, località balneare calabrese ai confini con la Basilicata, le è costata la rottura di denti, mandibola, lesioni cervicali e agli occhi. Una prognosi di 24 giorni.
A provocarle le lesioni, denunciate prima ai carabinieri di Paola poi ai colleghi di Potenza, dove la ricercatrice risiede, sarebbero stati i componenti di una famiglia napoletana, che abita nelle vicinanze della professoressa. Tutto ha avuto inizio il 4 agosto scorso. «Mi trovavo in vacanza a Tortora con i miei genitori che hanno una casetta, vicina al mare. Come ogni mattina sono uscita con il mio cane Charlie per fare una passeggiata. Ad un tratto, ho sentito dei guaiti provenire da sotto un’auto, posteggiata nei pressi della mia abitazione. Ho riportato a casa Charlie e sono uscita nuovamente per capire cosa fossero quei lamenti. Ho potuto notare una cagnolina, denutrita, con il collarino e tre cuccioli, anche loro molto debilitati» – dice la ricercatrice.
La prima cosa che Beatrice Orlando ha pensato di fare è chiamare qualche volontario o l’Enpa, per prendersi cura delle bestioline che stavano soffrendo anche per il gran caldo di questi giorni. «Dalla protezione animali mi hanno detto che sarebbero arrivati dopo tre giorni e mi hanno chiesto la cortesia di rifocillare i cagnolini e metterli in sicurezza e dargli da bere e da mangiare. Cosa che ho fatto, anche con l’aiuto di un altro signore che abita nelle vicinanze». La sera stessa la ricercatrice è uscita con alcune amiche e il suo cane per fare una passeggiata.
Al rientro prima di andare a letto, Beatrice ha preso una bottiglia d’acqua per dare dai beni ai cagnolini. «Non ho fatto in tempo di uscire dall’abitazione che sono stata aggredita con cattive parole, pronunciate in stretto dialetto napoletano, da una signora che mi si è fatta incontro gesticolando. Gridando, mi accusava di aver lasciato le ciotole vicino la sua porta. Ho spiegato che non ero stata io a metterli lì e, intanto per paura di rappresaglie, sono rientrata in casa. Anche i cagnolini impauriti per le urla della donna si sono messi paura e mi hanno seguito, tanto che li ho fatti entrare nel mio cancello».
Il giorno successivo, 5 agosto non è successo nulla. Il 6 agosto i cagnolini sono stati presi in cura dai volontari dell’Enpa. «Dopo averli salutati, erano circa le sette di sera, ho preso la bici per andare a comprare le sigarette. Al ritorno la signora che mi aveva insultato, il marito, il figlio e la fidanzata del figlio, mi hanno sbarrato la strada. Hanno iniziato a minacciarmi “adesso ti faremo vedere noi chi siamo”, e intanto si avvicinavano a me. Ho cercato di chiamare con il cellulare i carabinieri, ma non me l’hanno permesso. La prima a farsi avanti è stata la signora che mi ha schiaffeggiato e con le unghie mi ha graffiato il viso, poi il marito mi teneva le mani, mentre la fidanzata del figlio, sempre con le unghie mi ha ferito la schiena e cercava di tapparmi la bocca per non farmi gridare. Infine il figlio, ha iniziato a prendermi a pugni e non ho potuto difendermi visto il suo fisico muscoloso. Mi ha colpito ovunque: in faccia, negli occhi, nello stomaco» – ricorda Beatrice.
La ricercatrice è rimasta a terra dolorante per parecchio tempo. «La strada è trafficatissima, ma nessuno ha osato soccorrermi. Sono riuscita a raggiungere casa trascinandomi. Mia madre ha chiamato i carabinieri e l’ambulanza che è arrivata un’ora e mezza dopo» dice la ricercatrice. I medici del pronto soccorso di Paola le hanno diagnosticato parecchie fratture e dopo diverse ore è stata rimandata a casa. « Il giorno dopo il cancello di casa mia era rotto. I miei aggressori continuavano a passare dal mio giardino in segno di sfida e attraverso il passaparola mi hanno fatto recapitare la minaccia che se avessi denunciato ero morta».