Tropea “sciolta” per mafia, la relazione del Ministro. Gli agganci con la locale di Mileto e il “premio” a Trecate, l’uomo del cimitero

«Nel comune di Tropea, i cui organi elettivi sono stati rinnovati nelle consultazioni amministrative del 21 ottobre 2018, sono state riscontrate forme di ingerenza da parte della criminalità organizzata che compromettono la libera determinazione e l’imparzialità dell’amministrazione locale, nonché il buon andamento ed il funzionamento dei servizi con grave pregiudizio dell’ordine e della sicurezza pubblica». A metterlo nero su bianco è il ministro dell’Interno, Matteo Piantedosi, nella richiesta per chiedere lo scioglimento del Consiglio comunale di Tropea. Così poi puntualmente avvenuta con deliberazione del Consiglio dei ministri lo scorso 23 aprile.

Tra i motivi vengono citati i rapporti di parentela di alcuni amministratori con persone collegate direttamente o indirettamente alle “locali consorterie”.

Inoltre da registrazioni relative all’operazione Olimpo è emerso che alcuni esponenti della locale cosca di ‘ndrangheta avrebbero sostenuto la compagine del sindaco alle elezioni del 2018. La relazione del prefetto di Vibo in particolare  “pone in rilievo – evidenzia il ministro Piantedosi – il sostegno elettorale della cosca di ‘ndrangheta storicamente egemone sul territorio di Tropea” – ovvero il clan La Rosa, riconosciuto tale con diverse sentenze definitive – “al sindaco ed alla sua lista in occasione del turno elettorale del 21 ottobre 2018”.

L’esame delle risultanze dell’operazione giudiziaria denominata Olimpo condotta dalla Dda di Catanzaro e in particolare i contenuti di fonti tecniche di prova registrate nei giorni antecedenti la tornata elettorale attestano il sostegno prestato dalla locale cosca di ‘ndrangheta a colui che è stato eletto sindaco”, cioè l’avvocato Giovanni Macrì espressione della lista “Forza Tropea”, compagine locale di Forza Italia. La relazione del ministro sottolinea poi che la “Commissione di indagine ha analiticamente esaminato il profilo dei singoli amministratori, ponendo in evidenza un’intricata rete di rapporti parentali e di assidue frequentazioni tra questi ultimi, componenti dell’apparato burocratico ed esponenti delle locali consorterie, sottolineando come tale stato di cose abbia condizionato l’attività amministrativa in favore di ambienti controindicati. In particolare per il sindaco, il vicesindaco e un assessore comunale sono posti in rilievo gli stretti legami per rapporti parentali e assidue frequentazioni intercorrenti con esponenti della locale criminalità organizzata, interessati anche da reati associativi”.

Viene poi citata la foto in cui parenti degli eletti hanno cenato ad una festa assieme alla moglie di un rinviato a giudizio per i delitti di cui all’art. 416 bis. L’immagine dava conto della presenza di Tomasina Certo (ora rinviata a giudizio nell’operazione Olimpo), moglie del boss Tonino La Rosa, al compleanno della moglie del sindaco Giovanni Macrì, in compagnia anche della madre dell’assessore Greta Trecate e della compagna del pluripregiudicato Domenico Polito (condannato a 18 anni di carcere nel maxiprocesso Rinascita Scott).
E anche alcuni dipendenti comunali hanno avuto analoghe frequentazioni.

Il sindaco avrebbe acquistato un’auto di seconda mano da un’anziana signora i cui generi sono esponenti della criminalità organizzata. Tale vicenda per il prefetto “rappresenta un sintomo evidente dell’assoluta vicinanza del sindaco di Tropea agli ambienti della criminalità organizzata, sottolineando che nessun amministratore locale, o aspirante tale, che impronti il proprio operato a principi di integrità porrebbe in essere rapporti commerciali con individui controindicati, fornendo evidente appoggio agli stessi al fine di evitare l’applicazione di misure patrimoniali disposte in loro danno”. Nel caso di specie si tratta di una Audi A6 sottoposta a provvedimenti di sequestro e confisca da parte del Tribunale di Vibo del 2007 in danno del boss Antonio La Rosa, a capo dell’omonimo clan di Tropea.

Il comune di Tropea ricade poi negli enti comunali che hanno fatto ricorso a ditte poi rivelatesi collegate alla “locale di Mileto” durante l’operazione “Maestrale-Cartago”. Collegate, “anche se non formalmente facenti parte della stessa organizzazione mafiosa”.

Un’altra motivazione è quella relativa ai molteplici affidamenti sotto soglia alla medesima ditta per la gestione ordinaria e straordinaria della rete idrica, per eludere l’obbligo di indizione di una procedura comparativa. Nell’appalto per la conduzione, gestione e manutenzione del sistema depurativo Argani, il bando del comune prevedeva che la ditta operasse esclusivamrnte con propri mezzi e personale. Ma la ditta, senza autorizzazione del comune (sic!), ha appaltato alcuni lavori a svariate ditte.
Una di queste svariate ditte era destinataria di un’interdittiva mentre un’altra di un deposito di fermo.

Un abuso di procedure di affidamento diretto sotto soglia, insomma, perché l’amministrazione ha usato questa forma troppe volte con due ditte in particolare (110 con la prima e 68 con la seconda, cioè quasi 2 affidamenti al mese per una e più di una al mese per l’altra).

Questo il passaggio testuale nella relazione del Ministro: “… Nel corso dell’attuale consiliatura l’amministrazione ha effettuato più di 110 affidamenti diretti in favore di una stessa ditta e 61 affidamenti in favore di altra impresa senza che siano state disposte gare”. Ulteriori affidamenti diretti sono stati disposti in favore di un “ristorante per lo svolgimento di cene istituzionali. La titolare dell’attività – ricorda la relazione del ministro – è coniugata con un pregiudicato, gestore di fatto del ristorante, tratto in arresto per associazione a delinquere di tipo mafioso. Tali affidamenti sono stati disposti sebbene fosse diffusamente noto che l’esercizio commerciale era luogo di abituale ritrovo di soggetti appartenenti alla locale cosca ed utilizzato come luogo di incontri per meeting criminali. Come rilevato dal prefetto, gli amministratori dell’ente, ed il sindaco in primis, non hanno posto in essere alcun intervento volto ad evitare che si procedesse sempre agli affidamenti diretti mediante contrattazione con un unico operatore economico ed a favorire, invece, le procedure di evidenza pubblica, soprattutto in un contesto ambientale assai delicato come quello di Tropea. La stessa commissione d’indagine ha al riguardo posto in rilievo come in tale settore sia stato constatato un deciso intervento del vertice politico con una sorta di “sovrintendenza’ sui lavori e sulle opere eseguite che attesta oltre alla conoscenza da parte dello stesso primo cittadino delle dinamiche sottese a tale strategico ambito di attività anche un’illegittima ingerenza dell’organo politico nelle attività di competenza dell’apparato burocratico”.

Per il prefetto sarebbe chiaro come questi affidamenti “appaiano sintomatici di una plausibile permeabilità dell’ente agli interessi di imprese contigue alla criminalità organizzata” .

C’è poi il problema della scelta del medesimo ristorante per banchetti istituzionali. De gustibus [… ] est disputandum, almeno in questo caso. Perchè in quel locale ci sarebbero andati spesso a mangiare degli appartenenti alla cosca locale.

Inoltre, gli impiegati di alcuni uffici comunali non avrebbero operato con solerzia alla repressione di abusivismi edilizi di alcuni soggetti imparentati con assessori.

La relazione prefettizia ha certificato “la manifesta inadempienza da parte dell’Amministrazione nel dare esecutività a provvedimenti formalmente adottati nei confronti di un soggetto, storico esponente di vertice della locale cosca, relativi ad abusi edilizi su un immobile di edilizia pubblica illecitamente occupato. Come rilevato dal prefetto, i citati provvedimenti non risulta siano mai stati eseguiti, così indebitamente favorendo il menzionato esponente malavitoso. Al riguardo, viene evidenziato che, in sede di audizione davanti alla commissione di indagine, il primo cittadino ha riferito che l’esecuzione materiale dello sfratto era stata sospesa poiché pendente un giudizio amministrativo. In realtà, come sottolineato dal prefetto, la pendenza di un ricorso giurisdizionale non avrebbe dovuto impedire al Comune di emettere le dovute sanzioni rispetto alle condotte tenute dal soggetto in questione. Ad oggettivo riscontro della colpevole omissione – continuata per ben quattro anni ed interrotta solo a seguito dell’intervento operato dalla commissione di indagine – viene evidenziato che il Comune ha emesso un’ordinanza di ingiunzione di pagamento nei confronti del menzionato esponente della cosca malavitosa proprio nella stessa giornata della richiamata audizione del primo cittadino”.

Non manca l’accenno ad un riconoscimento pubblico conferito ad un dipendente comunale, l’ormai famigerato Franco Trecate, destinatario di una richiesta di rinvio a giudizio per truffa ai danni del comune nella vicenda del cimitero.