Tutti pazzi per Sinner. Pof. Pof. Il senso di Panatta per la telecronaca

di Raffaella Silipo

Fonte: La Stampa

Pof. Pof. In televisione, Adriano Panatta è come sul campo: ironico, felpato e all’occorrenza micidiale. Un servizio in slice. Non parla molto, ma piazza con esattezza chirurgica le battute, quasi fossero palline sulla riga. Su Rai2 (e su Sky) va in onda la partita dell’anno, il campione di casa Jannick Sinner contro il numero uno al mondo Novak Djokovic, per un posto in semifinale alle Atp Finals. 2 milioni e 543mila spettatori, share del 14,6%: il miglior risultato per il tennis in Rai degli ultimi dieci anni e per Rai2, di questi tempi, una vera manna. Merito anche del serve and volley verbale del campione del Roland Garros 1976, benché lui preferisca dire «scendere a rete». «Ma tu che sei inglese…».

Panatta è un cavaliere dei gesti bianchi, dell’estetica e dell’armonia (il «pof pof» è il rumore della pallina sulla racchetta, come spiega nell’impagabile cameo del film La profezia dell’Armadillo) contro la muscolarità del tennis attuale. Ma sa bene che alla fine quello che conta è portare a casa il risultato e quindi il consiglio che darebbe a Jannick se fosse il suo allenatore è assolutamente pragmatico: «Tirare, forte, sulle righe», sogghigna facendo la parodia di se stesso. La palla corta? «Mah.. Non gliela deve fa’, quello è un gattone di 36 anni».

A onor del vero, è proprio Panatta l’unico a prevedere la vittoria di Sinner a inizio match: «Può farcela, è molto migliorato. E Djokovic lo sa, infatti lo teme». Poi lungo la partita rivela pian piano la sua ricetta per vincere. Sana autostima, che nel tennis è già un passo verso il match point, seppur condita di autoironia. Per citare il suo personalissimo algoritmo, «30% di consapevolezza, 30% di conoscenza e 40% di follia». Per cui massimo rispetto per Djokovic, che è elastico «come Tiramolla» e soprattutto «astuto, malizioso, con i suoi toilet break mirati e le sue sceneggiate. Le prova tutte… A me questo atteggiamento non piace per niente». Ma nessun timore reverenziale, dopotutto, ripete volentieri, «lui è Nole, ma io so’ stato Adriano».

Panatta è il complice perfetto per commentare una partita come se si fosse al circolo del tennis, a litigare con il compagno di doppio che ti ha fatto perdere la finale del torneo sociale. Tecnico ma non troppo tecnico, capace dei più disparati aneddoti e citazioni, uno a cui piace «l’ironia di Totò e la cattiveria di Paolo Villaggio» e che liquida con indulgenza i «carota boys»: «Carini». I suoi battibecchi con Bertolucci, il mattino dopo la vittoria, nel podcast «La telefonata» (Fandango/Il tennis italiano) sono impagabili: «Uomo di poca fede, vuoi farmi i complimenti?» attacca Panatta, ricordandogli che la vittoria lui l’ha predetta. «Sono talmente contento – ribatte l’altro – che arrivo a dirti: “Avevi ragione”. Prima e ultima volta nella vita». Pof. pof. Godiamoci la Panatta way of life, il bel tennis, questi miracolosi giorni torinesi, la mano tesa sopra la rete tra due generazioni di sportivi, lo smagato boomer e la freschezza della Generazione Z. È solo un gioco? Sarà, ma sembra di sentire la voce strascicata, gli occhi socchiusi: «Gioco a tennis, conosco il diavolo».