A seguito delle polemiche sulla metro che stanno infiammando il dibattito cittadino, abbiamo chiesto un parere ad Ugo G. Caruso, storico dello spettacolo e studioso di cultura di massa, cosentino residente a Roma dalla metà degli anni settanta, che dalla prima ora si è espresso in modo molto critico nei confronti del Sindaco Occhiuto e della sua giunta.
Questa l’opinione rilasciataci.
UN TRAM CHE NON SI CHIAMA DESIDERIO,
OVVERO “COSENZA DELENDA EST!” (di Ugo G. Caruso)
I cosentini non lo faranno mai, non scenderanno in piazza, non fermeranno i lavori alla maniera forte dei No-tav, non protesteranno davanti Palazzo dei Bruzi, non invocheranno l’intervento del Prefetto o della Procura della Repubblica. Non è cosa da cosentini, non è nella loro natura e nella loro storia.
Prevedo invece un arcipelago di comitati con leader, portavoce, rappresentanti e tante riunioni inconcludenti per decidere il da farsi. E poi disaccordi, come avviene in democrazia, sulla strategia più efficace, sulla linea da adottare. E poi ancora discussioni, scissioni, divisioni. Forse addirittura qualche sparuto corteo ma non dico una sassaiola poiché non sono di formazione un estremista ma neppure un uovo marcio o un pomodoro maturo, tanto per fare capire che si è incazzati per davvero. E nel frattempo si ritroveranno a vivere in una città irriconoscibile, sempre più congestionata, tossica, faticosa che gli ruba tempo vitale e li dissuade dall’uscire di casa.
A Roma per anni ho assistito e denunciato con i miei esiguissimi mezzi un lungo processo degenerativo. L’unica novità di tutta l’area urbana sarà una rete ferrotramviaria che solcherà anche Rende, un tram che non si chiama desiderio, per parafrsare Tennesse Williams. Senza che i problemi della mobilità resi farseschi dalla gimkana decisa dal sindaco e subìta anche questa dai cosentini ne abbia il minimo giovamento. D’altronde, va pure detto per onestà, nessuno ha mai detto che Cosenza ha problemi di mobilità e di trasporti e che per quanti come me venendo in treno per qualche giorno, non sono muniti di vettura propria, ogni spostamento diventa un poema epico. Ma per decenni il problema è sembrato del tutto ininfluente ai cosentini, disponendo ciascuno di una fitta rete di parenti, amici, fidanzati, ecc. che suppliscono all’assenza di mezzi pubblici, autocondannandosi così ad essere la città con gli abitanti più interdipendenti che io conosca.
I cosentini non sono diversi da tutti quegli italiani – la netta maggioranza – che pensavano di essere civili, democratici, partecipi e capaci d’indignazione solo perchè per 30 anni sono rimasti in casa col culo sulle poltrone a vedere Santoro, Floris, Giannini, Formigli, eccetera anziché uscire per andare a teatro, al cinema, ad un concerto e presidiare una cultura fragile e declinante che aveva bisogno di sostegno – e i guai venuti dopo lo dimostrano inconfutabilmente – accumulando invece solo astio, risentimento, senza il baluginìo di una minima consapevolezza. I cosentini sfogano ed esauriscono nei social la loro esasperazione. La protesta vera esige un altro tasso etico, una diversa determinazione. Prendersela con il sindaco Occhiuto solo ora per la metro, non avendo compreso anzi avendo plaudito ai tanti scempi già compiuti, è come decidersi a definire assassino un serial killer solo alla 27^ vittima.
La metro e il modo in cui è stata decisa ed imposta ai cittadini non è uno strappo, non è l’improvvisa scoperta di un tradimento che decreta la fine della luna di miele tra Occhiuto e i cosentini ma il logico compimento di un disegno che ha già stravolto, involgarito ed irrimediabilmente, sottolineo irrimediabilmente, bruttato la città. E con il consenso della stragrande maggioranza dei cosentini su cui ricadrà per sempre questa colpa tanto più grave perchè reiterata. E con il solo dissenso di poche voci che senza tv, giornali, partiti, associazioni alle spalle, si sono esposti a loro rischio.
Personalmente ne ho ricavato calunnie e contumelie inoltrate via Fb da profili fake e anche non. E l’elusività di conoscenti cordiali che ora invece imbarazzati e soprattutto intimiditi mi sfuggono quando m’incontrano per strada, le volte che torno a Cosenza. La cosa non mi fa piacere ma non mi sorprende più di tanto, né mi turba. Vengo dalla politica sin da quando ero adolescente, dal confronto delle idee in anni duri e pericolosi, ho studiato alla Sapienza di Roma in pieno ’77 e anche la mia attività professionale l’ho condotta sempre nel disprezzo di calcoli e convenienze, collezionando inimicizie molto temibili. Non ricordo però mai un clima politicamente così irrespirabile a Cosenza. Per non dire del silenzio eloquente di architetti, urbanisti: tutti o coinvolti nei dividendi o intimoriti. Più volte li ho esortati pubblicamente a prendere posizione, a battere un colpo. Niente, non pervenuti.
D’altronde, come scriveva Manzoni a proposito di Don Abbondio, “se uno non ce l’ha, il coraggio non se lo può dare”. Tralascio per non ripetermi le responsabilità di stampa, media, partiti, società civile, ecc. Il destino di Cosenza da tempo, se non ve ne foste accorti, signore e signori che vi scambiate nel web e sulle chat vignette e facezie sul nuovo ordine occhiutiano, non è solo segnato, è già compiuto. “Cosenza delenda est!”. Così ha deciso il triumvirato composto dal kitsch, dal malaffare e dalla megalomania.
Da Catanzaro giustamente ci fanno notare che non abbiamo ancora raccontato tutto sul cerchio magico di Occhiuto. Perché per un cerchio magico che si...