Il Gip del Tribunale di Vibo Valentia Barbara Borelli ha disposto la prosecuzione delle indagini relative al procedimento penale contro il dottore Peppino Antonio Oppedisano per la morte di Benedetto Bilotta, giovane 18enne di Maierato (Vibo Valentia), deceduto il 13 marzo 2016 a causa di una setticemia da meningococco. I genitori di Bilotta ritengono che la morte di Benedetto sia la conseguenza della negligenza del medico e della sua equipe, in servizio all’ospedale Iazzolino di Vibo Valentia, dove il ragazzo è stato ricoverato tra i mesi di luglio e settembre del 2015 prima di essere trasferito a Firenze, dove è deceduto.
Benedetto Bilotta era un giovane arbitro della sezione di Vibo Valentia. Era entrato a far parte della grande famiglia dell’AIA nel 2015. Nipote dell’ex arbitro Peppino Didiano, il giovane si era avvicinato all’Associazione spinto dallo zio, il quale sapeva dell’ambiente sano che il nipote, diventato arbitro a febbraio 2015, avrebbe frequentato.
Il 5 luglio 2015 si era svolta una manifestazione associativa che Benedetto aveva vissuto intensamente per l’ultima volta, con tanto entusiasmo e voglia di stare nel gruppo: un torneo di calcio tra arbitri organizzato dalla Sezione di Catanzaro a scopo benefico, presso il campo sportivo di Catanzaro Sala: una giornata di gioia, di divertimento, di scambio, dove non importava vincere, ma esserci e giocare. La sera del 7 luglio 2015 Benedetto ha iniziato a sentirsi male e per lui è iniziato un calvario di quasi otto mesi per il quale da tempo è in corso il procedimento penale, per il quale è stata disposta la prosecuzione delle indagini nonostante la richiesta di archiviazione della procura di Vibo.
Il Gip ha assegnato al pm il termine di tre mesi per l’espletamento degli atti d’indagine indicati. Il sostituto procuratore del Tribunale di Vibo, Corrado Caputo, aveva presentato richiesta di archiviazione per il procedimento ma l’avvocato Fabio Anselmo, legale della famiglia Bilotta, si è opposto alla richiesta e il Gip gli ha dato ragione lo scorso 1° ottobre disponendo la prosecuzione delle indagini.
Ad avviso del Gip Borelli, il procedimento non può essere – allo stato- archiviato. Ed invero, pur in presenza dell’elaborato peritale depositato in sede di incidente probatorio le cui conclusioni sono state rassegnate nei termini di cui alla richiesta di archiviazione, in presenza delle contrapposte convincenti conclusioni rassegnate dai consulenti tecnici delle persone offese nonché delle lacune argomentative emerse in sede di esame dei periti del giudice all’udienza del 5.11.2021, come evidenziati nell’atto di opposizione, ritiene il Giudice che siano indispensabili i supplementi istruttori indicati nel predetto atto.
In particolare, risulta necessario approfondire i due temi che tuttora appaiono lacunosi e non risolti in maniera del tutto esaustiva dai periti del Giudice, relativi al mancato trasferimento del Bilotta in altro reparto diverso da quello di rianimazione dopo la stabilizzazione delle sue condizioni cliniche a fine luglio del 2015 nonché la correttezza o meno della scelta relativa al trasferimento dello stesso all’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria in data 3 settembre 2015 e, dell’incidenza causale della stessa sul successivo decesso dello stesso.
I SUPPLEMENTI ISTRUTTORI CHIESTI E OTTENUTI DALL’AVVOCATO ANSELMO
“Il pubblico ministero dopo l’esame dei periti in incidente probatorio (udienza 5 novembre 2021) ha disposto nuove indagini trasmesse con nota del luogotenente Staglianò del 10 gennaio 2022 – scrive Anselmo nella sua opposizione alla richiesta di archiviazione –. Ebbene, delle risultanze di tali nuove indagini – disposte e ritenute necessarie dallo stesso pm alla luce dell’esame dei periti – non vi è il minimo accenno nella motivazione della richiesta di archiviazione, la quale risulta sol per questo carente e illogica. Lo è tanto più se si riscontra il contenuto di quanto emerso.
Due gli aspetti particolarmente significativi:
– dopo essere stato estubato (a fine luglio 2015) Benedetto si era molto ripreso e non era collegato ad alcuna strumentazione per il monitoraggio per i parametri vitali: ha subìto invece un visibile peggioramento delle condizioni di salute nel mese di agosto. Ciò a riprova del fatto che, dopo l’estubazione, non vi era necessità terapeutica e di monitoraggio nel mantenere Benedetto in un ambiente al altissimo rischio di infezioni nosocomiali come la terapia intensiva, rischio che infatti si è concretizzato;
– la notte del 2 settembre (come descritto fin da subito dai genitori nella denuncia) Benedetto lamentava di sentirsi male e di avere difficolta a respirare, sudava in modo copioso e gli usciva dalla bocca schiuma di colore rosa (il personale sanitario giustificava lo stato di malessere con l’ansia del trasferimento e la schiuma rosa con eventuali escoriazioni alle labbra o gengive); alle 6 della mattina del 3 settembre Benedetto aveva difficoltà a respirare e perdeva conoscenza (i sanitari giustificavano la perdita di conoscenza con la sedazione).
Le circostanze di fatto descritte con precisione dai genitori di Benedetto sono in realtà decisive. La schiuma rosa dalla bocca unitamente alla difficoltà a respirare sono chiari indizi di edema polmonare già in corso prima di attuare il trasferimento, e con un quadro del tutto coerente con quanto emerso al cuore e ai polmoni nella tac successiva all’arresto cardiaco: ma nemmeno su tali aspetti il pm ha ritenuto di dover prendere posizione, ignorando del tutto le risultanze istruttorie e non svolgendo nemmeno alcun ulteriore approfondimento.
La condotta di non aver disposto il trasferimento dalla terapia intensiva nei giorni dopo l’estubazione è stata affrontata dai periti con ragionamenti intrinsecamente illogici e carenti. I periti stessi ammettono a pag. 67 delle fonoregistrazioni che il rischio di contrarre infezioni nosocomiali fra cui da Klebsiella è aumentato nei reparti di terapia intensiva…
Secondo le linee guida Siaarti: “I criteri da adottare nella dimissione dei pazienti dalla TI devono essere simili a quelli utilizzati per deciderne il ricovero. Le condizioni cliniche nei pazienti ricoverarti in TI devono essere periodicamente rivalutate per individuare quei pazienti che non necessitano più di trattamento e di monitoraggio intensivo. In sintesi la dimissione dalla TI si basa sui seguenti criteri: A) venir meno della necessità di monitoraggio e trattamento intensivo per risoluzione dello stato critico e miglioramento della patologia che ha determinato il ricovero”.
In linea con tali univoche e consolidate indicazioni, il consulente delle persone offese Dott. Cristiano ha osservato:
Al 23 luglio, trascorso il periodo di svezzamento, tutte le sue funzioni vitali di (compreso quella respiratoria, motivo del trasferimento in rianimazione) erano perfettamente stabili e nella norma e non necessitavano più, come facilmente rilevabile dalla cartella clinica, di alcuna terapia rianimatoria o di monitoraggio attivo, per cui, secondo le linee guida nazionali e internazionali e la buona prassi medica, doveva essere rinviato al reparto di appartenenza per evitargli tutti gli effetti deleteri ed i rischi, per lui ormai inutili, legati al ricovero in rianimazione. […]
La conseguenza di questo mancato rinvio al reparto di appartenenza è stata quella di far aumentare per Benedetto la probabilità di acquisire una infezione nosocomiale (ad elevata mortalità) al punto tale da farla realizzare; infatti, come riferito in precedenza, considerato che il 20% dei pazienti ricoverati nelle UTI acquisisce una infezione nosocomiale durante la degenza, la probabilità per Benedetto di acquisire una tale infezione il 24 luglio (non considerando i giorni precedenti indispensabili per la stabilizzazione della sua funzione vitale) era pari a 0,20 (20%), una percentuale bassa.
Per ogni giorno di degenza in ospedale è stato calcolato che la probabilità di acquisire una infezione nosocomiale aumenta del 21 % e più (34); dal 24 luglio al 6 agosto trascorsero ben 13 giorni per cui la probabilità di acquisire una infezione nosocomiale era diventata per Benedetto il 31 luglio 0,7594 (75,94%), il 2 agosto 1,1118 (111,18%), certezza assoluta dell’evento, il 6 agosto 2,3833 (238,33%).Considerato che 1 rappresenta certezza dell’evento, è evidente che Benedetto non aveva alcuna possibilità di evitare l’infezione nosocomiale.
Quali sono invece le motivazioni addotte dai periti a sostegno della correttezza del mantenimento di Benedetto Bilotta in terapia intensiva?
Nella relazione peritale a pag. 326 si afferma genericamente: “Tale equilibrio clinico, instabile, nonostante il relativo miglioramento clinico, ha determinato un prolungamento del ricovero ospedaliero nel reparto di terapia intensiva, luogo più adatto per il monitoraggio e le cure di uno stato settico particolarmente severo, come quello che il caso richiedeva”.
I periti non motivano tuttavia nel concreto perché il miglioramento clinico non avrebbe consentito di sospendere il trattamento e il monitoraggio intensivo, e quindi imposto la dimissione dalla terapia intensiva: ricordiamo che anche secondo le voci testimoniali, a fine luglio, il monitoraggio intensivo sicuramente non era in atto.
Nel corso dell’esame i periti affermano che i parametri del 6 agosto erano migliorati, la procalcitonina era a 2,26, ma anche a tale data il trasferimento “assolutamente non è suggerito” e poteva essere eventualmente frutto di un “accordo” con altri reparti.
L’incedere argomentativo dei periti è talmente fragile da disvelare una carenza incolmabile su tale aspetto, sia dal punto di vista metodologico che contenutistico. Le osservazioni del consulente delle persone offese dott. Guarracino sono necessariamente tranchant:
Nell’udienza del 5 novembre u.s., alla domanda del PM dott. Corrado Caputo se ai primi di agosto, con una procalcitoninadi 2,2 il paziente poteva essere trasferito in malattie infettive, le risposte dei CTU sono imbarazzanti: si sente dire che una procalcitonina di 2,2 è una controindicazione al trasferimento dalla rianimazione, e che un tale valore rappresenta un rischio di morte. Una risposta almeno illogica alla luce del valore di procalcitonina registrato alle ore 8 del mattino del 3 settembre, cioè quando si ritenne il paziente pienamente trasferibile: era 5,76!
[…] non è accettabile da parte di professionisti in un confronto esprimersi rivolgendosi al magistrato nei termini “il trasferimento è possibile con un accordo …”. Il trasferimento è possibile se vi sono le condizioni cliniche, peraltro ben note a chi si occupa di rianimazione, ed in presenza di queste viene proposto ai medici del reparto accettante.Su questo punto né la documentazione clinica né i pareri dei consulenti è in grado di definire appropriato il prolungamento del ricovero in rianimazione a fine luglio 2015. Ed è solo su criteri di appropriatezza, non su “secondo me” o generiche affermazioni non suffragate da evidenza scientifica e competenza specifica, che tale aspetto deve essere interpretato.
Sempre nel corso dell’esame, con riferimento ai parametri dei giorni successivi all’estubazione, i periti rispondono:
“allora, i valori erano alterati. Il 23 luglio aveva una saturazione di ossigeno uguale al 98 per cento con ventimask. Il 24 luglio ventilava con ventimask. Alle ore 14 del 24 luglio aveva una procalcitoninaancora elevata, aveva una leucocitosi, aveva le piastrine basse, aveva un d dimero alterato, aveva cratinina alta, l’azotermia alta, il 24. Il 25 luglio ancora era trattato con ossigeno terapia a basso flusso tramite maschera facciale, era anurico, aveva questa leucocitosi neutrofila, aveva questa emoglobina elevata, questa procalcitonina elevata, aveva le piastrine basse, aveva il d dimero elevato.
DOMANDA: il deficit di funzioni vitali che richiedevano la permanenza?
RISPOSTA: queste non sono funzioni vitali? Le sto dicendo che c’era una coagulazione …”
Nell’elencazione dei vari valori alterati, la funzione vitale compromessa sarebbe stata dunque legata alla coagulazione, ma non vi è mai stato un momento in cui i periti siano stati in grado di spiegare la necessità che Benedetto fosse mantenuto in un reparto di terapia intensiva e non trasferito nel reparto di provenienza. Che i valori fossero alterati non può che essere ovvio alla luce del quadro settico: che fossero tutti valori in regressione non lo hanno osservato, se impattassero sulle funzioni vitali non lo hanno valutato.
Le osservazioni del dott. Cristino sono sul punto chiarissime e fondate su un adeguato metodo scientifico di analisi dei dati:
“Nelle note del giorno 20 luglio, riportate in cartella nel giorno dell’estubazione, non viene segnalata, come facilmente verificabile, alcuna grossa criticità, né la necessità di un qualsiasi intervento extra o d’urgenza o anche solo farmacologico rispetto alla terapia che gli somministravano da giorni; per di più, nelle ore successive all’estubazione dalle 15 alle ore 24, i parametri emodinamici (pressione arteriosa e frequenza cardiaca), controllati regolarmente ogni due ore, si mantennero costanti e a valori ottimali (PA sistolica = 139/146; PA diastolica = 70/85 mmHg; FC = 84/87 bpm) e così anche la funzionalità respiratoria (saturazione periferica di ossigeno sempre al di sopra di 95%). Allo stesso tempo, la CID era ormai completamente rientrata da giorni (la somministrazione di antitrombina III era stata sospesa dal 16 luglio), il numero delle piastrine circolanti anche se inferiore alla norma non ponevano alcuna preoccupazione (né rappresentava motivo valido di permanenza in rianimazione); l’insufficienza renale era trattata regolarmente con sedute emodialitiche giornaliere; proseguiva, invece, l’infusione di plasma fresco (2 sacche al giorno).
In sintesi, la disamina dei dati clinici e di laboratorio del 20 luglio, giorno dell’estubazione e inizio svezzamento, non rileva la presenza di alcuna grossa criticità, per cui non è chiaro a quale grossa criticità si riferiscono i CTU nel loro elaborato. La persistenza della febbre, l’aumento del D-Dimero, dei globuli bianchi e della procalcitonina (tutti peraltro in costante e progressiva discesa da giorni), erano normale espressione dell’infezione da meningococco in via di guarigione, la quale certamente non rappresentavano motivo di grossa criticità né per Benedetto, né per i medici curanti.[…]
L’insufficienza renale acuta o cronica, non associata ad instabilità emodinamica tale da richiedere monitoraggio attivo e supporto terapeutico cardiocinetico e/o vasopressorio, non rappresenta, come riportato nelle linee guida, requisito per l’accesso e di conseguenza per la permanenza nelle terapie intensive;nel caso in esame il paziente era sottoposto fin dal primo giorno a terapia emodialitica sostitutiva giornaliera e le sue condizioni emodinamiche sono state fin dall’inizio della malattia sempre stabili, lo confermail fatto che non vi è traccia alcuna nella cartella clinica di somministrazione al paziente per tutto il mese di luglio (e agosto) di farmaci inotropi, vasopressori o cardiotonici per episodi di instabilità cardiovascolare.
Negli stessi termini, anche metodologici, si è espresso il Dott. Guarracino:
La trasferibilità di un paziente è frutto di una valutazione multidimensionale. La trasferibilità del ragazzo era possibile sul piano clinico perché aveva superato la insufficienza d’organo che aveva richiesto supporto delle funzioni vitali, nello specifico la insufficienza respiratoria che aveva necessitato di ventilazione artificiale; aveva superato da giorni la fase acuta della sepsi; aveva raggiunto un chiaro miglioramento clinico-strumentale.
In ultimo, dalle testimonianze dei familiari, il paziente stesso desiderava uscire dalla rianimazione. Qui non si discute sulla possibilità di dimettere a casa, ma di trasferire al reparto specialistico di provenienza dello stesso ospedale (presso il quale sono certo vengano gestiti pazienti con procalcitonina aumentata).
Questa riflessione è importante, perché la permanenza inappropriata del paziente in rianimazione lo ha esposto al rischio di contrarre l’infezione nosocomiale da Klebsiella, che ha poi dato luogo ad un nuovo e severo aggravamento del quadro clinico.
Ecco dunque come tale profilo di colpa imputabile al primario dott. Oppedisano non è stato fatto oggetto di una indagine sufficiente né metodologicamente corretta: i periti non si misurano specificamente sulla permanenza di deficit nelle funzioni vitali, ritengono valido pressochè qualsiasi dato di alterazione per giustificare un trattenimento in terapia intensiva(compreso un valore di 2,26 di procalcitonina)e contemplano il ”prolungamento” della permanenza del reparto di Terapia Intensiva come mera scelta di opportunità a prescindere dalla valutazione specifica del miglioramento, senza misurarsi affatto con la cogenza delle linee guida che prescrivono l’uscita dalla terapia intensiva quando i pazienti non necessitano più di trattamento e di monitoraggio intensivo, ciòalla luce dei noti rischi derivanti dalla permanenza in tale reparto fra cui sicuramente l’esposizione molto maggiore al rischio di contrarre infezioni nosocomiali, ed altri rischi come la PICS (Post 9 Intensive Care Syndrome)definita come ”menomazioni nuove o in peggioramento dello stato di salute fisica, cognitiva o mentale che insorgono dopo una malattia critica e persistono oltre il ricovero per cure acute”.
Le decisioni di dimissioni o permanenza in tale reparto, per utilizzare le parole del Dott. Guarracino, devono avvenire “solo su criteri di appropriatezza, non su “secondo me” o generiche affermazioni non suffragate da evidenza scientifica e competenza specifica”e tale approccio non è stato certamente utilizzato dai peritiper valutare la correttezza dell’operato del primario.
Le indagini suppletive sotto indicate consentono di svolgere sul punto una indagine appropriata se la situazione clinica di Benedetto prima dell’insorgere dell’infezione da Klebsiella avrebbe consentito il trasferimento nel reparto di provenienza, e ridotto in tal modo grandemente il rischio di contrarre tale infezione che ha aggravato il quadro clinico del ragazzo in stretta connessione causale con il successivo arresto cardiaco e la sua morte.
3) La condotta di aver disposto e autorizzato il trasferimento di Benedetto Billotta alla mattina del 3 settembre è stata affrontata dai periti con ragionamentigravemente illogici e contraddittori, che vanno addirittura ad alterare la catena causale con cui Benedetto è giusto a morte.
Indubbio che l’arresto cardiocircolatorio del 3 settembre che ha compromesso gravemente le funzioni cerebrali sia un antecedente causale alla morte di Benedetto.
Ciò con cui i periti non si sono affatto misurati è la condizione di salute di Benedetto nei giorni antecedenti il trasferimento: la stessa con cui non si è colpevolmente misurato il Dott. Oppedisano.
La tesi del dott. Cristiano consulente delle persone offese è che l’infezione da Klebsiella, “dai dati presenti in cartella, non è mai guarita nonostante la terapia antibiotica messa in atto (a dosaggio e modalità di somministrazione errate per alcuni di essi) e a fine agosto,inizio settembre si è complicata conlocalizzazioni polmonari (broncopolmonite a focolai multipli) e con l’insorgenza di una cardiomiopatia settica evoluta a fine agosto in scompenso cardiaco congestizio(congestione polmonare e versamento pleurico bilaterale). Il risultato di tali complicanze fu una severa insufficienza respiratoria e un’altrettanta severa insufficienza cardiacanon rilevate per negligenzaed imperizia dei medici che si sono alternati al suo capezzale il 2 e 3 settembre 2015. Che tali insufficienze fossero presenti da almeno dalla notte del 1° settembre lo dimostrano i parametri vitali alterati presenti in cartella, non presi in considerazione dai CTU e dai medici curanti, e il referto TAC e gli ecocardiogrammi del mattino del 3 settembre”. Lasuccessiva –inappropriata e nociva –somministrazione di Midalozam in vena, ha condotto all’arresto cardiocircolatorio, non trattato tempestivamente,essendo stato organizzato un trasporto conambulanza senza la presenza di anestesista, e determinando il danno cerebrale gravissimo nel quale poi Benedetto è giunto a morte.
Quali erano i segnali che dovevano indurre i medici del reparto di terapia intensiva ad indagare sulle funzioni cardio-respiratorie?
Cosi li elenca il dott. Cristiano:
✓la sintomatologia lamentata da Benedetto durante la notte del 2 settembre (difficoltà a respirare, ansia, tachicardia, tachipnea, sudorazione fredda, etc.), espressione di alterazione degli scambi gassosi a livello alveolare (insufficienza respiratoria) e sospetto di concomitante deficit di pompa;
✓il ritorno della febbre dalla sera del 31 agosto, la procalcitonina il 2 settembre ancora sopra i 2 ng/ml (2,38 ng/ml), valore indicativo di infezione delle basse vie respiratorie (broncopolmonite in atto) e suo aumento a 5,76 ng/ml il mattino del 3 settembre insieme all’aumento dei globuli bianchi (espressione di infezione in atto) non molto marcato per il severo grado di immunodepressione presente e dovuto alla severa malnutrizione;
✓l’emogasanalisi su sangue arterioso delle 6:37 del mattino del 2 che mostrava una severa ipossiemia [nonostante i meccanismi compensatori messo in atto dall’organismo di Benedetto (tachicardia = aumento dell’afflusso di sangue al polmone e iperventilazione = aumento dei volumi di scambio gassoso a livello alveolare)], nonché la presenza di insufficienza respiratoria;
✓la saturazione periferica di O2 notevolmente bassa, 77% alle ore 08:00 e 90% alle ore 09:00 (valori normali nei giovani = 98 –100%), la quale, nonostante la messa in atto dei meccanismi di compensazione, la somministrazione di due fiale di Lasix in vena, una alle ore 12:00 ed un’altra alle ore 14:00 e la sottrazione di 1,5 KG di liquidi mediante dialisi, si mantenne comunque a valori bassi nel corso della giornata (SpO2 = 93% alle ore 15:00 e alle ore 18:00 e 94% alle ore 21:00) fortemente sospetti per presenza di insufficienza respiratoria ipossica, anche perché nei giorni precedenti era stata costantemente 100%.
✓La frequenza cardiaca del 2 settembre oltre i 145 bpm finoalle ore 11 del mattino e 140 bpm alle ore 15:00, nonostante la riduzione del precarico cardiaco mediante la somministrazione di 2 fiale di Lasix endovena e la sottrazione di 1500 Kg di liquidi mediante dialisi, a conferma che la difficoltà negli scambi gassosi a livello alveolare era dovuto prevalentemente a patologia polmonare (presenza di broncopolmonite a focolai multipli).
I dati obiettivi alterati su riportati non possano essere espressione di uno stato di benessere fisico o di ansia, ma sicuramente dovuti ad una insufficienza respiratoria ipossica (broncopolmonite a focolai multipli) gravata anche da un deficit funzionale cardiaco (scompenso cardiaco), quest’ultimo avvalorato dal miglioramento della sintomatologia dopo terapia con Lasix e dialisi. Il ritorno della febbre dalla sera del 31 agosto, la procalcitonina il 2 settembre ancora sopra i 2 ng/ml (2,38 ng/ml), valore indicativo di infezione delle basse vie respiratorie (broncopolmonite in atto) e suo aumento a 5,76 ng/ml il mattino del 3 settembre insieme all’aumento dei globuli bianchi (espressione di infezione in atto) non molto marcato per il severo grado di immunodepressione presente e dovuto alla severa malnutrizione…
Anche il dottor Guarracino osserva i seguenti elementi sintomatici di disfunzioni cardio respiratorie nei giorni precedenti l’arresto cardiaco:
ipotensione durante la dialisi (diario 28 agosto 2015); sovraccarico polmonare stigmatizzato dal nefrologo il 2 settembre 2015 con indicazione a terapia diuretica (sigh! Forse bastava rimuovere più acqua con la dialisi?), ma non a chiamare un cardiologo; difficoltà respiratoria (diario 31 agosto); desaturazione arteriosa severa (2 settembre alle ore 8 saturazione arteriosa 77% e frequenza cardiaca 150/min); tachicardia costante (dal 30 agosto al 3 settembre 2015 il paziente non ha mai avuto una frequenza cardiaca inferiore a 110/min con frequenti puntate sopra 130/min). Nemmeno la mattina del 3 settembre la frequenza cardiaca elevata (138/min) generò alcun sospetto, del resto la valutazione cardiocircolatoria del paziente non era mai stata al centro dei pensieri fin dal 10 luglio.
Conclude ragionevolmente il dott. Guarracino, del tutto in linea con il dott. Cristiano:
Nel caso di Benedetto la causa dell’arresto cardiaco fu la severa ipossia in presenza del grave quadro polmonare (si ricordino tutti i segni premonitori sopra evidenziati, e si veda la TAC eseguita al rientro in PS), precipitata dalla sedazione praticata con un farmaco ad effetto rapido, emivita di circa due ore (eliminazione in soggetti con funzione renale normale), spiccata azione sedativa e miorilassante (miorilassante anche dei muscoli respiratori. Si ricordi quale fosse la condizione di severa ipotonia muscolare del paziente più volte riscontrabile in cartella clinica). L’impatto della depressione respiratoria in un soggetto con funzione polmonare compromessa non potè che far arrestare un cuore affetto dalle conseguenze della cardiopatia settica. I valori elevatissimi di probnp misurati nei giorni seguenti al rientro in ospedale del 3 settembre parlano da soli.
D’altronde, sostengono i consulenti delle parti civili, la Tac e l’ecocardiogramma effettuati subito dopo il rientro in ospedale il 3 settembnre 2015 costituiscono inequivocabilmente conferma che l’insufficienza respiratoria ipossica (broncopolmonite a focolai multipli) gravata anche da un deficit funzionale cardiaco (scompenso cardiaco) erano preesistenti all’arresto cardiaco e ne sono stati fattori causali insieme alla somministrazione improvvida del potente farmaco sedativo.
Le osservazioni del Dott. Cristiano:
Un riscontro incomprensibile nella ricostruzione della vicenda clinica operato dai CTU è il fatto che ignorano completamente sia l’esito della TAC del Torace e Cranio e sia la consulenza cardiologica con ecocardiogramma effettuata la mattina del 3 settembre, al rientro di Benedetto al pronto soccorso e in reparto dopo l’arresto cardiorespiratorio; esami che, senza alcuna possibilità di dubbio alcuno, dimostrano inequivocabilmente la presenza sia di una insufficienza respiratoria di grado severo e sia di uno scompenso cardiaco congestizio, antecedenti all’episodio di arresto cardiorespiratorio. Infatti la TAC del Torace eseguita alle ore 9:52 del 3 settembre 2015 (20 minuti circa dopo il rientro) mostrò: Diffusi focolai di addensamento broncopneumonico, maggiormente ai lobi inferiori. Concomita versamento pleurico bilaterale, più marcato a ds. Anche se potrebbe sembrare superfluo, occorre precisare che i focolai broncopneumonici non si formano per magia, d’emblée, dopo un arresto cardiorespiratorio, ma richiedono ore e giorni (come nel caso di Benedetto affetto contemporaneamente da severa immunodepressione conseguente al suo stato di malnutrizione proteico energetica), per potersi formare. Considerando i dati clinici alterati su riportati e la ricomparsa della febbre la sera del 31 agosto possiamo posizionare con sufficiente certezza (>95%) l’inizio della broncopolmonite tra la sera del 31 agosto e il mattino del 1° settembre.
L’ecocardiogramma, effettuato in reparto tra le 10:15 e le 11:00 sempre del 3 settembre mostrò: “Ventricolo sinistro lievemente dilatato con spessore parietale nei limiti. Contrazione degli indici di funzione sistolica per riduzione globale della cinetica parietale. FE circa 32%”.Il severo deficit della pompa cardiaca (FE = 32% circa), ladilatazione anche se lieve del ventricolo sinistro e la presenza di versamento pleurico bilaterale, messo in evidenza alla TAC del Torace delle 09:57, dimostrano inconfutabilmente la contestuale presenza di uno scompenso cardiaco in fase congestizia qualeesito di una cardiomiopatia settica, come correttamente diagnosticata dal cardiologo nella sua consulenza del 22 settembre. Come i focolai broncopneumonici, così anche i versamenti pleurici bilaterali non si formano improvvisamente, né tanto meno dopo un arresto cardiorespiratorio, ma richiedono ore e/o giorni per potersi realizzare. I dati alterati riportati e gli episodi ipotensivi del 28 agosto, dopo la sospensione del Lasix dal 26 agosto, e il rilievo dell’ecocardiogramma di alterazioni strutturali e funzionali compatibili con la diagnosi di Cardiomiopatia settica e da malnutrizione, ci consentono di posizionare l’insorgenza della cardiomiopatia nell’ultima decade di agosto e la sua evoluzione in scompenso cardiaco congestizio a fine agosto.
Ebbene: quale è la posizione dei periti rispetto a tale quantità di segni indicativi di una disfunzione cardio-respiratoria in atto al 3 settembre che avrebbero imposto accertamenti specifici, e giammai un precipitoso trasferimento su ambulanza senza rianimatore con la somministrazione di un potente sedativo?
Nella relazione i periti –che ben conoscevano la posizione espressa dal Dott. Cristiano -scrivono che “nella documentazione esaminata non si evidenziano durante il ricovero presso la UOC di Anestesia e Rianimazione segni di scompenso cardiaco e/o di edema polmonare acutoche imponessero la necessità di effettuare un ecocardiogramma per valutare la funzione di pompa del cuore” e “all’atto del trasferimento infraospedaliero presso l’UOC di nefrologia di Reggio Calabria il paziente è stato valutato dal primario ff e dal medico in servizio sull’ambulanza e nulla faceva presagire problematiche cardiologiche”.
Ammettono,durante l’esame,che nei giorni precedenti il trasferimento non erano state indagate le funzionalità cardiaca e respiratoria (pag. 49 della fonoregistrazione); ammettono che il Midazolam “può accelerare, può determinare una depressione respiratoria”.
Tuttavia, quando vengono chiamati a misurarsi con i dati della cartella clinica da cui emergevano le criticità dal punto di vista cardiorespiratorio che avrebbero imposto accurati accertamenti, non si calano al confronto, rendendo l’esame faticoso e improduttivo:
– Sui problemi pressori nelle sedute di dialisi del 25 e 26 agosto: non rispondono e pongono un’altra domanda;
– Sull’aumento della procalcitonina al 3 settembre: non ritrovano il dato;
– Sul rialzo termico dal 31 agosto: non ritrovano il dato;
– Sulla difficoltà a respirare: non rispondono;
– Sulla saturazione bassa al 77%del 2 settembre: non trovano il dato.
Nella relazione peritale sostengono lapidariamente che “l’arresto cardiocircolatorio è avvenuto verosimilmente a seguito di una improvvisa e imprevedibile disfunzione ventricolare sinistra, sulla cui patogenesi non è possibile dare alcun riferimento certo”.
Evidente la carenza metodologica nel giungere a tale conclusione:
– non vi sono esami prima dell’arresto cardiaco sulla funzione cardiaca né esami che escludano la presenza di polmonite bilaterale;
– subito dopo l’arresto cardiaco del 3 settembre si riscontrano focolai broncopneumonici in entrambi i polmoni e versamento pleurico;
– nella consulenza cardiologica del successivo 22 settembre, il cardiologo (che vede solo la nuova cartella della rianimazione dal 3 settembre) afferma; “Quadro compatibile con cardiopatia secondaria a sepsiin pz con disfunzione multiorgano (quadro di ingresso)”;
– tanto la cardiomiopatia settica quanto la polmonite bilaterale erano patologie che –dal punto di vista medico scientifico -ben potevano presentarsi in Benedettoin ragione del suo decorso clinico,essendo stato dapprima colpito da sepsi miningococcica e poi da infezione da Klebsiella;
– entrambe le patologie erano idonee a condurre ad arrestocardiaco per ipossia in concomitanza con la assunzione di Midalozam;
In conclusione: era quantomeno doveroso da parte dei periti analizzare specificamente se, di tali patologie non diagnosticate a Benedetto Billotta prima dell’arresto cardiaco, vi fossero sintomi e riscontri nella cartella clinica dei giorni precedenti l’arresto.
Ed invece nulla di tutto ciò: Benedetto aveva una polmonite e una cardiomiopatia settica, ma l’arresto cardiaco si è verificato per una improvvisa e imprevedibile disfunzione ventricolare sinistra, sulla cui patogenesi non è possibile dare alcun riferimento certo, senza curarsi minimamente di verificare–a fronte di un’ipotesi ignota e incerta -l’ipotesi alternativa ben più plausibile e corredata di riscontriconcreti, ossia che si trattasse di patologie preesistenti al momento della dimissione, e che potevano e dovevano essere accertate prima di somministrargli unsedativo e dimetterlo senza nemmeno l’assistenza di un rianimatore.
In udienza i periti cercano di spiegare la formazione della polmonite bilaterale e della diminuzione della funzione cardiaca come possibile effetto delle manovre rianimatorie sulla base di un non meglio precisato studio del 2011: secondo tale imprecisato studio “talvolta” succede che i focolai si formino per gli sforzi rianimatori, e allo stesso modo la compromissione cardiaca. In Bilotta dovremmo pensare ad una rianimazione molto sfortunata, essendosi verificati addirittura i due eventi imprevisti e imprevedibili. Non rispondono,tuttavia, i periti alla domanda se in un’ora potrebbero, purein tal modo,crearsi focolai multipli e bilateralmente ai polmoni…
Si tratta di un argomentare, quello dei periti del Giudice, per cui è eufemistico affermare che non convince.
In conclusione si ritiene che la richiesta di archiviazione basata sull’attività peritale svolta con incidente probatorio sia assolutamente inidonea a mandare all’archivio il presente procedimento involgente la drammatica morte di un ragazzo di 18 anni.
Nello specifico appare necessario:
un approfondimento investigativo al fine di acquisire elementi di prova circa le ragioni e le condizioni in cui fu deciso e attuato il trasferimento del 3 settembre 2015, sentendo a s.i.t., previa identificazione, il personale SUEM 118 (dott. Putrino e infermiere V. Lacaria) e del P.S (dott. Giuseppe Scarmuzzino), che prestò assistenza a Benedetto Bilotta il 3.9.2015 ed al momento dell’arresto cardiocircolatorio, affinché riferisca:
a) sulle condizioni del paziente all’atto del trasferimento,
b) sull’esatta dinamica di quanto accaduto,
c) sulle manovre di rianimazione messe in atto,
d) sulle risultanze degli esami diagnostici effettuati al rientro in P.S, anche al fine di valutare la eventuale riconducibilità dello stato clinico riscontrato (Broncopolmonite a focali multipli, scompenso cardiaco congestizio con versamento pleurico bilaterale dovuto a cardiopatia settica) alle manovre rianimatorie praticate.
Si chiede inoltre che venga sentita a s.i.t. l’infermiera di turno tra la notte del 2 settembre e la mattina de 3 settembre del 2015 presso il reparto di rianimazione, la sig.ra Marica Amato, che prestò assistenza a Benedetto Bilotta, affinché riferisca:
a) circa le difficoltà respiratorie del paziente, circa la copiosa sudorazione (confermando che furono addirittura utilizzate, per tamponare la sudorazione, le traversine del letto e carta assorbente),
b) circa la natura dell’espettorato del paziente (misto a sangue), affinché riscontri quanto riferito dal padre del giovane Benedetto Bilotta, che sentito a s.i.t ha riferito della presenza di un espettorato misto a sangue, oltre che di gravi difficoltà respiratorie.
Al fine di acquisire elementi di prova circa la sussistenza a fine luglio delle condizioni cliniche ed organizzative per il trasferimento di Benedetto Bilotta presso il reparto di infettivologia del medesimo presidio ospedaliero si chiede che vengano sentiti a s.i.t. i dott.ri Franco Galati (neurologo), Domenico Teti (infettivologo), Corigliano Domenico (infettivologo), unitamente al Dr. Domenico Consoli (primario di Neurologia) ed al cappellano dell’Ospedale Don Figliano, affinché riferiscano:
a) che lo stesso indagato, a fine luglio 2015, contattò per tale motivo il reparto di infettivologia dell’ospedale Iazzolino e che tale reparto confermò la disponibilità al ricovero del paziente;
b) che, a causa dell’evidente peggioramento del quadro clinico manifestatosi dopo metà agosto 2015, i dott.ri Teti, Corigliano e Galati, unitamente al cappellano dell’ospedale Don Figliano, chiesero al dr. Consoli di attivarsi per il trasferimento di Benedetto Bilotta presso l’Ospedale Reggio Calabria e che, nonostante la disponibilità manifestata dal presidio ospedaliero reggino, il trasferimento fu rifiutato dall’indagato.
Nello specifico, inoltre, il dott. Franco Galat iaffinché riferisca:
c) sul contenuto della conversazione telefonica intercorsa con il reparto di Nefrologia dell’Ospedale Riuniti di Reggio Calabria.
Si chiede, altresì, al fine di acquisire elementi di prova circa la sussistenza, a fine luglio, delle condizioni cliniche per il trasferimento presso il reparto di Infettivologia di Benedetto Bilotta, che sia sentito a s.i.t. il fisioterapista De Nino Carlo (in servizio presso il reparto di Neurologia del medesimo ospedale) affinché riferisca:
a) che, già a fine luglio, si recava quasi quotidianamente nel Reparto di Rianimazione,su richiesta di tale reparto, per effettuare su Benedetto Bilotta la riabilitazione motoria che, con esiti positivi, permise al paziente già ad agosto di stare in piedi;
b) che sin dall’inizio (da fine luglio 2015) fu possibile praticare sul paziente una fisioterapia attiva (ossia con collaborazione al gesto terapeutico del paziente) essendo Benedetto Bilotta estubato e non più supportato di dispositivi di rianimazione e di monitoraggio.
Si chiede che siano sentiti a s.i.t. i consulenti delle parti offese, dott. Pasquale Cristiano e Prof. Fabio Guarracino affinché riferiscano
a) circa i plurimi elementi di contrasto esistente tra i dati riportati dai periti ed i dati annotati in cartella clinica, nonché circa il contrasto esistente tra elaborato peritale e letteratura scientifica. Affinché riferiscano, inoltre,
b) quanto da loro riscontrato, sulla base della documentazione sanitaria in atti e sulla base della letteratura scientifica, circa le condotte che costituirono l’antecedente causale della morte del giovane Benedetto Bilotta e circa la conformità di tale condotte alle norme cautelari di diligenza, prudenza e perizia.
Si chiede che venga acquista presso l’Ospedale Jazzolino di Vibo Valentia –reparto di Rianimazione tutta la documentazione clinica necessaria e ricostruire numero e cause dei decessi verificatisi presso tale reparto nel periodo compreso tra maggio e novembre 2015 al fine di acquisire elementi di prova circa l’eventuale esistenza di un focolaio di Klebsiella pneumonia e all’interno del reparto di Rianimazione e, conseguentemente, circa gli eventuali presidi disposti dal Primario per arginare la diffusione del contagio tra i pazienti,al fine di valutare l’adeguatezza degli stessi sulla base delle linee guida ed i protocolli applicabili;
Attesa la palese inadeguatezza metodologia e contenutistica dell’esito dell’incidente probatorio di chiede che il Pubblico Ministero richieda un nuovo accertamento tecnico –con le forme dell’incidente probatorio –per accertare la causa di morte di Benedetto Billotta e la correttezza dell’intervento sanitario operato dall’indagato”.