Vito Teti e la scirubetta: “Pratica alimentare, memoria e poesia”

dalla pagina FB di Vito Teti – Schegge di Ultimità –

La SCIRUBETTA. Pratica alimentare, memoria e poesia.

Adesso che, grazie a Dario Brunori, la sciubetta diventerà termine, motivo, elemento identitario, parola evocativa, poetica e, speriamo di no, anche slogan e brand, mi sono ricordato che nel 1987 avevo parlato delle neve e della scirubetta in un mio saggio sulla memoria e sull’antropologia dell’acqua. Ne riporto alcune parti, anche perché si colga come il riferimento di Brunori alla neve e al miele nasce da un rapporto con la storia, la cultura, la memori, la fatica, il linguaggio, le pratiche alimentari delle popolazioni di Calabria.

“… Ancora alla fine degli anni Cinquanta, in tutte le località di montagna della Calabria, la neve veniva conservata, d’inverno, e poi venduta e consumata durante i mesi estivi. Nei paesi silani, come ho avuto modo di accertare direttamente, erano soprattutto i carbonai a raccogliere e a conservare la neve, nei mesi invernali, quando preparavano il carbone. I robusti carbonai battevano la neve bianca e soffice con delle grosse e larghe tavole, poi la mettevano in larghe buche scavate nella terra, in zone umide e alberate, e infine la coprivano con rami e foglie. D’estate, i carbonai portavano la neve ciciarusa (dura e a forma di granelli come i ceci) sugli asini e la vendevano a bicchieri nei paesi della collina e delle marine.

In Sila con la neve veniva preparata una bevanda, la scirubetta, a base di miele di fichi o di vino cotto.
A Serra S. Bruno, i proprietari dei bar facevano scavare nei boschi, in genere in mezzo ai castagni, larghe e profonde buche (a volte fino a 5 metri). Gli operai addetti alla conservazione della neve lavoravano non meno di cinque giorni. Essi portavano grossi rotoli di neve nelle buche e poi ballavano lungamente sopra, accompagnati dalla musica dei suonatori di zampogna e di pepita. Mi ha detto un vecchio zampognaro: «La conservazione della neve per noi era una festa. Era come quando si faceva la vendemmia, quando l’uva veniva schiacciata con i piedi scalzi». La neve, una volta pressata, veniva ricoperta con un fitto strato (di oltre mezzo metro) di foglie, felci e rami d’alberi. L’estate, quando veniva scoperta e tirata fuori, doveva essere tagliata con dei seghetti tanto s’era conservata dura e fitta. La neve veniva venduta nei bar o portata nei paesi vicini. Da luoghi lontani arrivavano baristi a Serra per acquistare la neve. Fino al secondo dopoguerra nell’Ospedale Civile di Vibo Valentia veniva fatto largo uso della neve delle Serre. D’inverno, quando nevicava, o d’estate con la neve conservata si preparava la scirubetta con il mosto, o con il vino cotto, o con il limone. Più recente la preparazione della scirubetta con il liquore (molto usato il liquore Strega).

I gelati di neve costituivano il grande richiamo alimentare delle fiere e delle feste estive. A Vallelonga, paese del versante tirrenico delle Serre, la seconda domenica di luglio ha luogo una delle più importanti festività della Calabria. Dai lontani paesi del Tirreno arrivavano i pellegrini devoti della Madonna di Monserrato. Un grande afflusso conoscevano le improvvisate baracche dove si vendevano la carne di capra, fatta a spezzatino, la trippa e il vino. Il lusso alimentare era rappresentato dai gelati preparati con la neve dei paesi vicini. Nello stesso paese, analogamente a quanto avviene in altri paesi, a Zungri (Catanzaro) e a Verbicaro (Cosenza), in agosto veniva festeggiata la Madonna della Neve (la festa è tuttora nota come ‘Mbonserrateja, Piccola Monserrato). L’origine della festa è sconosciuta alla gente ed anche alla Chiesa, ma i più anziani ricordano che la Madonna faceva spesso cadere la neve, I’acquanivi (acqua neve) che favoriva la produzione nei campi e scongiurava, interrompendo un periodo di lunga siccità, i pericoli di una «cattiva annata» e della «fame nera».
Una Madonna miracolosa, quella della Neve, se è vero che uno degli eventi irrealizzabili era considerata la caduta della neve in agosto. In uno dei tanti canti popolari dell’impossibilità, dove s’intravede l’idea del mondo alla rovescia, è detto: «Vidisti mai ad agustu nivicare – E a menzu mari mu guagghiau la nivi?».
La festa estiva della Madonna della Neve, in un paese flagellato dalla siccità e dalle alluvioni, parla del bisogno e della nostalgia dell’acqua. E una festa che conferisce senso alle «lamentele» dei contadini che si vedevano perseguitati dalla natura, dalla sorte, dai padroni.
La ricerca, I’uso a fini igienici, il consumo alimentare della neve ci conducono nel mondo delle necessità e delle privazioni delle popolazioni calabresi e, nello stesso tempo, rivelano l’angustia del loro rapporto con la natura, una natura tiranna anche perché angusti erano le relazioni tra gli uomini, i rapporti tra le classi.

La neve ci introduce anche nel mondo della fantasia, dell’inventiva, delI’intelligenza delle popolazioni di Calabria. Nel mondo di creazioni e invenzioni alimentari esplorate e perseguite non appena veniva abbandonato il mondo della necessità. La neve-acqua, la neve-alimento, la neve-gelato, la neve-bevanda lussuosa e desiderata, si colloca all’interno di un’arte della sopravvivenza dei calabresi, che dal «poco» riuscivano a ricavare «l’assai», dal «niente» il «tutto», dalle «pietre» il «pane», dalla «cannizza» un’«aschia» (da una scheggia di legno un grande legno), come affermano alcuni tradizionali modi di dire.
Anche le fitte reti del bisogno e la nera tela della povertà venivano squarciate dai lampi della poesia, dell’inventiva, della fantasia alimentare. E se le acque che cadono abbondanti e rovinose invitano a cautela quanti sono attratti dal mito di una Calabria tutta «sole e mare», la tradizionale scarsezza e penuria di acqua potabile invitano ad accortezza quanti inventano e sognano la «buona cucina del passato».
Diceva Padula: «La poesia è sorella della miseria, ed entrambe si trovano nel nostro popolo. Bisogna che I ‘una resti, e l’altra sparisca».

Vito Teti, “Acque paesi uomini in viaggio: appunti per un’antropologia dell’acqua in Calabria in epoca moderna e contemporanea, in «Miscellanea di Studi Storici», V, a. 1985-86, Dipartimento di Storia, Università degli Studi della Calabria, 1987, pp. 75-118.

Ph. Foto Vito Teti, La foto arriva da una Calabria dell’esodo. La devo a mio figlio che, da Zurigo e da Berna, mi manda i paesaggi di quei luoghi. E del resto, il magico termine “nostalgia” è nato in Svizzera nel 1686.