Volpi in pellicceria, Ghino di Renzi e Matteo di Tacco

di Antonio Padellaro

Fonte: Il Fatto Quotidiano

Non so perché (anzi lo so) ma quando mercoledì ascoltavo l’accaldato Matteo Renzi, rivolto a Giuseppe Conte, minacciare sfracelli mi veniva in mente una famosa frase di Bettino Craxi a proposito dell’astuto, astutissimo Giulio Andreotti. Ovvero che “prima o poi tutte le volpi finiscono in pellicceria”. Certo, parliamo della lontana Prima Repubblica ma quello che andava in scena mercoledì sera nell’aula del Senato non sembrava forse uno sketch del Bagaglino? Di quelli, per intenderci, dove gli inarrivabili Pippo Franco e Oreste Lionello cucinavano la ribollita dei rimpasti, delle verifiche, dei doppi sensi sui gabinetti ministeriali, e altre simili prelibatezze, con la platea del Salone Margherita a sganasciarsi. Purtroppo, l’altra sera mancava Pamela Prati e non rideva nessuno. Dobbiamo ammettere però che la battutissima del senatore del Mugello sul perché propiziare la caduta del governo, con novecento morti al giorno, l’Italia in ginocchio e l’annunciata terza ondata del Covid, neppure Pingitore (o Dracula) l’avrebbe mai pensata. Perché (tenetevi forte) lui dice: “voglio salvare l’Italia”. A proposito di volpi e volpini qualcuno potrebbe obiettare che Renzi nel reparto delle pelli sartoriali c’era già finito dopo il catastrofico (per lui e i suoi cari) referendum costituzionale del 2016. Quando (insieme alla Boschi) aveva promesso, giurin giurello, che se sconfitto si sarebbe ritirato dalla politica.

Così non è stato e lui ha preferito costruirsi un partitino che ricorda quell’altra maschera che fu coniata, sempre a proposito di Craxi (corsi e ricorsi della politica). Chiamato da Eugenio Scalfari, Ghino di Tacco, come il trecentesco brigante di Radicofani che controllava l’accesso alla strada che da Firenze porta a Roma esigendo al passaggio un pesante tributo. Collocatosi proprio al confine tra la risicata maggioranza e l’opposizione, a Ghino di Renzi si dev’essere dilatato l’ego e adesso non si accontenta più “di qualche strapuntino”. Un altro paio di ministri? Di più, di più. Una bella fetta della torta del Recovery (per “salvare l’Italia”, beninteso)? Fuochino. Poi, non ha resistito e a Barbara Jerkov del Messaggero ha confidato il suo sogno nel cassetto: un governo con “un’ampia maggioranza parlamentare” per arrivare alle politiche del 2023. Magari con Matteo di Tacco premier? Mai dire mai. Siccome, in fondo, ci è simpatico vorremmo dargli, aggratis, due consigli non richiesti. A proposito di furbacchioni da Bagaglino, tenga d’occhio Matteo Salvini che si è subito fatto avanti scambiandosi con Conte un paio di messaggini dialoganti (come diceva Clémenceau: i cimiteri sono pieni di persone indispensabili). Infine, ci duole segnalargli il seguente titolo della Stampa (con puntuale cronaca di Fabio Martini) che la chiama in causa: “‘Stavolta sono tutti d’accordo con me’. Ma nessuno si fida di lui”. E qui non può mancare quell’altro proverbio che dice: quando la volpe predica, guardatevi, galline.