La seconda guerra di mafia

Il boss Lanzino

Con la sentenza di appello del processo Garden e in particolare per effetto della sopravvenuta uscita dal carcere di esponenti di primo piano dei clan storici Pino e Perna, cambiano nuovamente gli equilibri.

Dagli arresti del 1994 in poi, è Francesco Bruni detto Bella Bella a muoversi in prima persona per creare una ‘ndrina autonoma e indipendente svincolata dalle vecchie. Egli aveva accorpato intorno a se´ soggetti ormai perdenti delle zone di Castrovillari, Cassano, Paola e Cosenza e, pertanto nel corso del 1999, aveva iniziato a svolgere più ampie attività illecite: traffico di droga, rapine, estorsioni a commercianti e sui lavori pubblici e così via, ponendo a capo di ogni attività un proprio referente e su ogni singola zona del territorio.

Ma la reazione non si fa attendere e cosi si registra la ripresa violenta dello scontro armato proprio nei confronti del clan Bruni e relativi affiliati: su Cosenza (dove nel giro di pochi mesi vengono eliminati in modo spettacolare personaggi del calibro dello stesso “Bella Bella”, Vittorio Marchio, Enzo Pelazza Enzo, Antonio Sena); – su Paola (omicidi di Marcello Calvano e Salvatore Imbroinise);– su Castrovillari (tentato omicidio in danno di Antonello Esposito);– su Cassano allo Jonio (omicidi di Giuseppe Cristaldi e Biagio Nucerito, di Giovambattista Atene, di Antonio Forastefano e di Giuseppe Romeo). Si è trattato in sostanza di una riconquista immediata del territorio perduto da parte dei clan storici, e in particolare ciò che il clan Bruni aveva messo insieme nel corso di alcuni anni è stato annientato nel giro di pochi mesi.

“Sono gli anni della mattanza cosentina. Una guerra in cui le regole d’un tempo non contano più. Anni in cui l’utilizzo della spietata ala militare delle cosche è servita a riaffermare il dominio sul territorio messo a rischio, a metà degli anni ‘90, dall’offensiva della magistratura inquirente, dalle “cantate” dei pentiti e dal clan della criminalità nomade che minaccia le vecchie cosche.

Per ristabilire l’ordine occorre ricorrere a una brutale azione di repulisti. Azione che non assicurava margini di garanzia e sicurezza nemmeno ai vecchi padrini degli anni ‘80. Così almeno hanno raccontato i pentiti. Tutto comincia quando le cosche presenti sul territorio, un tempo tenacemente contrapposte, attuano un processo di confederazione.

La ‘ndrangheta riassume il controllo dei subappalti collegati alla realizzazione delle opere pubbliche, impone il “pizzo” a tappeto a piccoli e grandi esercenti, costruttori, titolari di concessionarie e, in occasione della Fiera di San Giuseppe, persino ai venditori ambulanti.

I padrini pretendono il dominio assoluto e, quindi, la sottomissione dei “picciotti” dei quartieri, dei rapinatori, dei nomadi, degli spacciatori, degli usurai. Ciascuno di loro dovrà essere autorizzato a svolgere le proprie attività illecite e dovrà sempre offrire un una parte del ricavato alla “bacinella”, la cassa comune dei clan. Pena, per chi sgarra, la morte.

Primiano Chiarello è scomparso per lupara bianca già nel ’98.

Poi tocca a Giacomo Cara, 45 anni, sorvegliato speciale, che viene assassinato la mattina del tre maggio 1999, nel cantiere di una casa in costruzione, nell’area di Piano Monello. Due killer gli scaricano addosso dieci colpi di pistola calibro 9”.

(Vincenzo Brunelli, Il Garantista)