Bergamini, 33 anni di omertà: il ruolo del camionista di Rosarno e i “segreti” del cronotachigrafo

Domani in Corte d’Assise a Cosenza si celebrerà la 29^ udienza del processo per l’omicidio volontario pluriaggravato di Denis Bergamini. Chiamato a testimoniare Raffaele Pisano, il camionista di Rosarno che sormontò il cadavere di Denis e che mente – così come l’imputata Isabella Internò – ormai da 33 anni. Ricapitoliamo quello che potrebbe essere stato il suo ruolo in questo barbaro omicidio. 

Lunedì 16 ottobre 1990 tutti i media titolano con risalto sulla clamorosa svolta nell’inchiesta per l’omicidio di Denis Bergamini. La magistratura di Castrovillari, dopo evidenti trattative a tavolino e non avendo più altro scampo per giustificare lo scempio fatto nelle indagini, dispone il rinvio a giudizio per omicidio colposo del camionista Raffaele Pisano. Il processo viene fissato per il 21 maggio 1991 e Castrovillari esce di scena perché si svolgerà in pretura a Trebisacce poiché l’omicidio di Denis Bergamini è diventato un incidente.

Per il reato di omicidio colposo o di lesioni colpose provocate in seguito a violazione delle norme sulla circolazione stradale infatti era competente la pretura (oggi ci sono l’omicidio stradale e il giudice di pace per le lesioni), e solo in casi particolari individuati dal legislatore la competenza era attribuita al tribunale. E il caso Bergamini non rientrava tra questi.

Secondo il pm Ottavio Abbate lo avrebbero stabilito le perizie tecniche e la stessa autopsia (!) effettuate dopo la riesumazione del cadavere di Bergamini. Questo scienziato delle investigazioni aveva concluso dal suo indefesso lavoro che Denis era stato investito di spalle e non frontalmente travisando completamente i risultati dell’autopsia, che come tutti sanno, aveva indicato un sormontamento e nessun tipo di scontro. Per il resto, nessuna spiegazione circa i motivi che spinsero Denis ad abbandonare il ritiro della squadra ed a raggiungere in auto, in compagnia della sua ormai ex fidanzata, la periferia di Roseto Capo Spulico. Nessuna verità. Ma almeno ci avevano detto che Denis non si era suicidato… E infatti all’epoca non mancarono le dichiarazioni sull’argomento. A partire da Maria Bergamini, la mamma di Denis. Ecco come la ricostruisce il giornalista Santi Trimboli.

“Non abbiamo mai avuto dubbi, Denis era un ragazzo splendido, pieno di vita. Non gli mancava mai nulla. A Cosenza poi si trovava assai bene. Ce lo ripeteva ogni volra che veniva a trovarci, non c’erano i presupposti per un gesto simile. Perché avrebbe dovuto suicidarsi? Ci hanno telefonato gli avvocati. Abbiamo appreso, così, della decisione della magistratura di Castrovillari di rinviare a giudizio per omicidio colposo l’autista del camion…”.

La voce rotta dall’emozione, silenzi lunghissimi, interroganti. “Perché Isabella Internò ha parlato di suicidio? Questo non riusciamo ancora a spiegarcelo. Donato non aveva segreti. Ci aveva parlato anche di lei, ci aveva detto che si erano lasciati…”.

Ma allora perché erano insieme quella sera? Una domanda dietro l’altra, l’affannoso viaggio a ritroso nel tempo. Per fermarlo e ristabilire così il contatto con la vita. Poi, drammatico, l’ultimo ricordo. La telefonata del lunedì successivo all’incontro di Monza, ancora misteriosa. Cosa si attende mamma Bergamini ora che è stata definitivamente scartata la tesi del suicidio? “La verità tutta per intero”.

Raffaele Pisano è un camionista che trasporta mandarini nella Sibaritide. Viene da Rosarno e non può non conoscere la realtà criminale che governa questo tipo di business. Abbiamo già scritto che il regista dell’omicidio di Denis deve rivolgersi per forza o al clan Cirillo o più probabilmente a quello emergente di Santo Carelli, che insieme a Pasquale Tripodoro e a Franco Pino, sta togliendo lo scettro del comando al boss campano, mandato al soggiorno obbligato e rappresentato in loco dalla moglie, donna Gina Albano e dal cognato Mario Mirabile.

Non gli servono killer. Gli serve un posto dove buttare il cadavere, un camion e un camionista dei tanti che passano in quella zona (in perfetto accordo con i clan federati della ‘ndrangheta reggina: non a caso il camionista scelto è di Rosarno!) con il quale inscenare il suicidio, un carabiniere corrotto per fare rilievi-barzelletta e un pubblico ministero e un procuratore altrettanto corrotti per evitare che qualcuno scopra gli altarini. Il resto lo avrebbero fatto i depistaggi e qualche “amico” all’interno dei media e della città di Cosenza. 

Del camion di Pisano la questura di Cosenza scrive – in una ormai famosa informativa – che probabilmente è rimasto fermo in sosta nei pressi di Cosenza fin dalla notte prima dell’omicidio. Mentre il camionista, dato in un primo tempo per morto, viene “scovato” da un giornalista di Castrovillari nel 2011, alla viglia della prima riapertura del caso.

I “SEGRETI” DEL CRONOTACHIGRAFO

Non solo: dall’esame del cronotachigrafo del camion, che viene incredibilmente lasciato nella disponibilità di Pisano e non viene neanche sequestrato (!!!) emergono alcune pacchiane incongruenze e omissioni.

La prima riguarda il chilometraggio del camion, che è stata ribadita in aula anche dal consulente Francesco Miglino.
Il conducente del tir che investì Bergamini ha sempre dichiarato di essere partito da Rosarno, diretto a Milano. Sui verbali dei carabinieri si evince che il camionista quel 18 novembre guidò per circa 170 chilometri in quattro ore, fino alle 19.10 (orario che indica della morte di Denis). Un giornalista del programma di Rai Tre fa dunque esaminare la “scatola nera” del mezzo pesante ad un consulente di infortunistica stradale, che conferma il chilometraggio dopo una prima analisi del disco del cronotachigrafo. C’è un però: Rosarno ed il punto in cui fu investito Denis non distano 170 km, ma 224. Il camionista quindi non può essere partito da Rosarno ma da un posto più vicino, una qualsiasi località nel raggio di 170 km.

C’è poi una seconda opzione, ovvero che il cronotachigrafo sia stato falsificato: ipotesi sostenuta dal fatto che sul disco del cronotachigrafo ci sono diversi “1” scritti però con diverse grafie.

Ma chi è il “regista”? Di sicuro è uno che conosce molto bene gli apparati dello Stato e, soprattutto, è sicuro, ma proprio sicuro, che nessuno mai possa risalire a lui.

Fino a vent’anni fa eravamo in presenza del classico “delitto perfetto”. Tuttavia qualcosa non ha funzionato.

LE MENZOGNE DI ISABELLA INTERNO’

Il 4 luglio 1991 il pretore di Trebisacce Antonino Mirabile assolve il camionista Raffaele Pisano “per non aver commesso il fatto” dall’accusa di omicidio colposo.

Il pretore considera del tutto credibile la versione dei fatti ricostruita nella quasi totalità attraverso la testimonianza chiave di Isabella Internò.

“La ragazza – si legge nella sentenza -, quando aveva avuto tutto il tempo per riflettere, pur conscia e consapevole di poter essere ritenuta in qualche modo moralmente responsabile (a cagione della pregressa relazione sentimentale ormai interrotta) della morte del giovane calciatore benvoluto dalla tifoseria cosentina e corteggiato dalle ragazze, ha ancora sostenuto convincentemente la tesi del suicidio, mentre invece, attese la evidente e pregiudizievole pubblicità negativa e la risonanza che il fatto ha avuto… avrebbe avuto, per così dire, interesse a sostenere comodamente la tesi dell’omicidio colposo, di un sinistro stradale”.

La procura generale di Catanzaro (e non quella di Castrovillari!!!!) presenta appello. Ecco cosa scrive il sostituto procuratore generale Aldo Fiale nel ricorso.

Il perito dott. Coscarelli ha accertato che per il camionista l’avvistabilità del pedone con il solo ausilio dei fari anabbaglianti era di 50-60 metri e, con l’ausilio dei fari abbaglianti, decisamente superiore. Lo stesso camionista, del resto, ha confermato, senza possibilità di equivoco, che Bergamini, al momento dell’impatto, si trovava in piedi sulla platea stradale.

Se Pisano, pertanto, fosse appena attento, avrebbe avvistato la vittima a non meno di 60 metri di distanza, e fin dal momento di tale avvistamento avrebbe potuto porre in essere tutti quegli elementari comportamenti di prudenza che sono doverosi in una situazione siffatta: adeguamento della condotta di marcia; uso reiterato e prolungato del segnale acustico; spostamento a sinistra nella propria corsia di marcia; arresto del veicolo di fronte alla persistenza del pedone nell’occupare la sede stradale…

ISABELLA E IL TUFFO La teste Isabella Internò, frastornata dall’improvviso accaduto, stravolta e angosciata, ebbe la sensazione che Bergamini si fosse tuffato sotto le ruote di un grosso automezzo, con lo stesso atteggiamento che si assume quando si fanno i tuffi in piscina.

Tuttavia, se così fosse, avrebbe impattato con il capo e con le braccia contro una parte di fiancata del camion e ne avremmo trovato le tracce sul suo cadavere. Nessuna lesione, invece, è stata individuata. Anche la versione fornita dal camionista – nel tentativo di ricalcare quella della ragazza – appare ingenuamente non veritiera.

Pisano ha affermato che la Maserati di Bergamini era in sosta a circa 3-4 metri dalla striscia gialla che delimita la carreggiata e il giovane era in piedi vicino allo sportello anteriore sinistro dell’autovettura.

Quegli, poi, appena l’autocarro giunse alla sua altezza, con un gesto fulmineo si lanciò (come colpito da un raptus improvviso) sotto la ruota anteriore destra dell’automezzo. Se questa versione fosse vera, Bergamini avrebbe improvvisamente spiccato un impossibile e incredibile balzo di circa 5 metri. Appare chiaro allora che il camionista si è adeguato alla prospettazione (per lui comoda) del “tuffo” enunciata da Isabella Internò; ha però esagerato ed è stato smentito dalle risultanze…

Il primo giudice ha aderito acriticamente alla ipotesi del suicidio prospettata da Isabella Internò e non ha colto tutte le contraddizioni e le imprecisioni che si rinvengono nella deposizione di lei, assunta a elemento decisivo della vicenda. La ragazza ha riferito frasi pronunziate da Bergamini e subito dopo le ha smentite, non ha mai detto però che il giovane le abbia espresso il proposito di suicidarsi.Ma perché poi Bergamini avrebbe desiderato suicidarsi? Era giovane, aveva successo, ragazze e denaro. Parenti, amici e compagni di squadra hanno concordemente riferito la sua grande volontà di vivere e della sua voglia di giocare una grande partita il giorno successivo.

Dov’è allora quel “mal di vivere” che conduce al suicidio? Non ci si uccide portandosi un testimone appresso e non ci si suicida davanti a terzi. E’ una conclusione, questa, che gli studiosi traggono anche dall’analisi statistica del fenomeno. Il suicidio è una invenzione distruttiva dell’io, che non ammette spettatori…

Fin qui il magistrato Fiale. Le cui sacrosante parole hanno trovato finalmente riscontro pieno e totale anche nel corso del processo. E che appena confermate anche dai medici legali potrebbero portare anche ad una nuova incriminazione per Pisano.

Ma qualcuno allora aveva deciso che non doveva essere così. Una procura complice e connivente con un pm, Ottavio Abbate, che non svolse nessuna indagine. Un passaggio di consegne ad un pretore, a Trebisacce, perché l’ipotesi di reato di omicidio colposo sposta anche il luogo del processo. Dopo il disastro delle indagini, però. E il pretore Antonino Mirabile conferma il suicidio. Così come farà la Corte d’Appello di Catanzaro nonostante il bel ricorso di Fiale.

Ci dev’essere per forza un regista deviato che mette in piedi la catena. Un regista che è per forza di cose compromesso e che per portare l’accordo fino in fondo deve continuare a coprire gli assassini di Denis Bergamini.

Checchè ne dicano Isabella Internò e Raffaele Pisano.