Calabria. Massomafia, la faida e la deriva dei media di regime

Il 9 dicembre 2019, appena dieci giorni prima del blitz “Rinascita Scott” grazie al quale sono stati arrestati, tra gli altri, l’avvocato Giancarlo Pittelli, il sindaco di Pizzo Gianluca Callipo, l’ex consigliere regionale Pietro Giamborino e l’ex commissario della Sorical Luigi Incarnato, insieme a boss e gregari del clan Mancuso, il procuratore Gratteri aveva lanciato messaggi molto preoccupanti al sempre più penoso “sistema” dell’informazione calabrese. E mai come adesso è venuto il momento di tirarli fuori, specie dopo aver visto l’inchiesta di PresaDiretta e dopo aver ricordato, sull’onda degli stralci del libro-inchiesta “Porto Franco” di Francesco Forgione, i fasti dell’avvento delle tivù di Berlusconi in Calabria tra morti e attentati nell’era del plenipotenziario Toni Boemi e del coraggioso (perché non protetto dalla ‘ndrangheta) Elio Riga (http://www.iacchite.blog/mafia-stato-sangue-e-fininvest-la-storia-delle-tv-di-berlusconi-in-calabria-morti-bombe-angelo-e-toni-boemi/).

La ‘ndrangheta, del resto, è un fenomeno in continuo mutamento e in costante evoluzione. Tiene sotto scacco la Calabria non permettendone lo sviluppo e produce ricchezza altrove riciclando i capitali accumulati con il narcotraffico e sfruttando i “paradisi normativi” di molti Stati europei dove la legislazione antimafia è debole e la sua esistenza addirittura spesso negata.

Arcaicità e modernità, un mix micidiale che era proprio il filo conduttore del penultimo libro scritto a quattro mani da Nicola Gratteri e Antonio Nicaso, “La rete degli invisibili”, presentato il 9 dicembre 2019 a palazzo Gagliardi a Vibo Valentia nel corso della prima giornata dell’Expo dell’editoria calabrese a chilometro zero. In una sala stracolma e gremita in ogni ordine di posto con centinaia di persone che hanno assistito all’evento anche all’esterno attraverso i maxi schermi, i due autori hanno svelato l’altro volto della ‘ndrangheta. Un cancro che si infiltra nella pubblica amministrazione, nel tessuto produttivo ed economico, e persino nell’editoria, comprando pezzi di televisioni e di giornali. “I capimafia – ha spiegato Gratteri a tal proposito – si comportano come gli imprenditori e le mafie, proprio come l’impresa, hanno bisogno di pubblicità”. Oltre a trasmettere timore, i “nuovi” boss hanno quindi bisogno di creare consenso sociale rifacendosi l’immagine, producendo lavoro ed occupazione, aiutando chi ha bisogno: “Comprano pezzi di televisioni e di giornali – aveva aggiunto Gratteri – per manipolare il pensiero della gente”.

Ora, figuratevi voi la faccia dei preoccupatissimi tycoon calabresi quando hanno appreso il messaggio proveniente da Gratteri. Già gli leccavano il culo prima che lo dicesse, onde evitare qualsiasi tipo di problema, figurarsi dopo quella “legnata”… Non dobbiamo certo essere noi a ricordare quale sia il mesto panorama dei media calabresi, le cui “corazzate” sono rappresentate da tivù e siti tutt’altro che limpidi. 

Grazie alla faida (mai termine sarebbe stato più appropriato) andata penosamente in scena poco dopo la metà di luglio tra le due maggiori “corazzate”, tuttavia, è emerso con chiarezza che Gratteri ha sempre avuto un rapporto di “collaborazione” – chiamiamolo così – con Paolo Pollichieni, il direttore del Corriere della Calabria recentemente scomparso, per come ha rivelato il procuratore di Castrovillari Eugenio Facciolla (http://www.iacchite.blog/salerno-la-trappola-di-gratteri-a-facciolla-la-fuga-di-notizie-sul-sito-amico/).

E allora, per esclusione, il riferimento di Gratteri non può che essere diretto a LaCNews, tv e portale dell’imprenditore Domenico Maduli. Che non a caso aveva provato a tirare fuori illazioni rispetto a presunte “rivelazioni” di Pittelli che chiamavano in causa proprio il defunto direttore per indurre l’avversario ad abbassare la guardia. Una sorta di “attacco preventivo”. Oggi finalmente abbiamo capito che a far tirare fuori quelle illazioni a LaCNews è stato il mafiosissimo avvocato difensore di Pittelli ovvero Salvatore Staiano, che tra un summit e una messa in piega ha trovato il tempo di “sussurrare” all’orecchio dei tirapiedi di Maduli tutto il veleno nei confronti di Pollichieni.

All’epoca, il Corriere della Calabria aveva reagito e così, se ci fosse stato ancora qualche dubbio su chi fosse ‘o malamente tra i due contendenti, ce l’ha fugato proprio il Corriere della Calabria, che ha vuotato il sacco rivelando urbi et orbi il volto nascosto del tycoon di Limbadi (http://www.iacchite.blog/massomafia-maduli-e-i-clan-di-vibo-su-giamborino-garantisco-io/).

Domenico Maduli

Poi, il Corriere della Calabria aveva ribadito con un editoriale del direttore Paola Militano, che Pollichieni non aveva mai rivelato nulla a Pittelli e lo aveva fatto con molta energia, non nominando mai i rivali ma mandando certamente un messaggio chiaro e netto. In giro si dice che ci sarebbero prove schiaccianti e ultimamente sono arrivati ancora altri “messaggi” al tycoon, che nel frattempo si è tragicomicamente “allargato” verso la Capitale… 

Intanto, c’è da dire che di sicuro per potersi permettere il suo ruolo, Maduli è sceso a patti con la malapolitica e i boss e tutto quello che comporta. E non a caso il suo giornale è servile con il procuratore Gratteri, che dal canto suo – nonostante sappia tutto da anni – al di là dell’annuncio di cui sopra non è andato finché è stato possibile. Ma adesso, come si fa?

L’elenco di fatti oggettivi, del resto, con tanto di riferimenti a quel Giamborino prima sbandierato come “salvatore” e adesso trattato da “uomo nero” è davvero impossibile da smentire per il semplice motivo che non è smentibile. E al fatto che Maduli sia “vittima” non ci crede nessuno. L’unico fatto positivo è che stavolta non c’è stato neanche il tentativo di farsi scudo con i colleghi, dal momento che diverse “firme” del Corriere sono passate proprio al “nemico” e ovviamente hanno già chiarito da che parte stanno. Con ulteriore figuraccia per il “reuccio” di Limbadi. 

Certo, i tempi sono cambiati. Dieci anni fa, quando Luigi De Magistris sferrava il suo attacco alla malapolitica e alla massomafia, i media calabresi si erano tutti magicamente ricompattati contro il magistrato napoletano, che era stato ostacolato in tutti i modi da Nicola Adamo, Marco Minniti, i fratelli Gentile, l’avvocato Pittelli, il presidente Chiaravalloti e tutti gli altri elementi della “loggia coperta” che erano stati beccati con le mani nella marmellata. Anche e soprattutto grazie al “lavoro” dei giornalisti nei media calabresi di regime. Tutti uniti contro il magistrato scassacoglioni.

Oggi questi soggetti, praticamente in mutande sotto il profilo politico, non sono più in grado di comandare ai loro servi nelle redazioni di siti e giornali di regime di puntare la penna sul magistrato di turno, il quale si può permettere addirittura il lusso di “mascariarli” com’è accaduto a Vibo senza che nessuno abbia il coraggio di dire una sola parola. Certo, è vero, i tempi sono cambiati ma ancora il sistema dei media di regime servili e proni al potere riesce in qualche modo a galleggiare.

I più importanti media calabresi (soprattutto quelli che fanno ancora televisione e credono di dettare legge con qualche sito leccaculo e borderline) somigliano tanto a quella tv privata siciliana, diretta da un magistrale Pino Colizzi, che compare nel celeberrimo sceneggiato La Piovra degli anni Ottanta. Quello in cui il protagonista è Michele Placido nel personaggio del commissario Cattani.

Sono un concentrato di fellatio politica, di disconoscenza delle basi culturali e deontologiche del giornalismo, utile solo ad ingrassare i corifei – alternativamente a seconda di quanti soldi mascherati di pubblicità “elettorale” versano nelle loro casse – di Minniti, Renzi, Oliverio, Adamo e Bruno Bossio, don Magorno, Falcomatà o della Santelli (ormai defunta ma sponsorizzata alla grandissima da tutti i media di regime, nessuno escluso), di Occhiuto il cazzaro e del fratello “Robertino” o dei fratelli Gentile della famiglia dei Cinghiali, persino di Ciccio “bummino” Cannizzaro, di Mimmo Tallini, Claudio Parente&”Vivere Insieme” e Sergiun Abramo, dei leghisti e di Fratelli di ‘ndrangheta, pardon d’Italia… (tanto lo sanno tutti che giocano con la stessa squadra da decenni anche se fanno finta di litigare) e più in generale di tutta la massomafia di stato che ammorba la Calabria da 30 anni.

E che si azzuffano come le galline di Battiato per dire quanto sono belli, sani e forti (se pagano) o quanto sono corrotti, truffatori e degenerati (se non pagano…) l’agente segreto di Reggio, l’ebetino di Rignano, lo statista di Palla Palla di San Giovanni in Fiore, la magara di Grimaldi e ru vruacculuni du Spiritu Santu, la capra prestata alla politica, il bummino e il Ciccio Bello di Reggio, l’impresentabile per eccellenza di Catanzaro, l’affiliato diamantese del clan Muto, i Cinghiali e il cazzaro di Cosenza e compagnia cantante.

Però adesso le carte sono state sparigliate e chiaramente il braccio di ferro tra le due corazzate, prima soltanto sporadico, ora è arrivato alla stretta finale. Con la differenza che Pollichieni non solo si è guardato la mano ma ha lasciato ai suoi ragazzi tutte le “armi” necessarie per affossare il rivale. E Gratteri a questo punto non può più fare finta di niente. Che la massomafia di stato compra pezzi di televisioni e giornali (e questo lo vedono ormai anche i bambini) lo sanno tutti ma adesso sappiamo anche i nomi. E le “carte”, oltre ai seguaci di Pollichieni, iniziano ad averle in mano anche altri. Che facciamo? Giochiamo ancora a nasconderci? O ni mindimu na mascherina? Qualche testa eccellente, a questo punto, sia “politica” che di “colletti bianchi”, dovrà cadere. Non le pare, dottor Gratteri? Ne va della residua credibilità della magistratura e, se vogliamo, anche dello stesso giornalismo di regime.